Andando avanti così, Trentino Wine diventerà Trentino Beer, e sarà colpa mia.
Dopo l’evento sulle birre maltesi, la sera dopo, la FISAR aveva organizzato una degustazione delle birre trappiste. Sono birre che conosciamo bene, le possiamo trovare facilmente al supermercato, quasi tutte.
A condurre la serata c’era Simone Uras, che è un degustatore di birre della ADB (associazione degustatori birra), oltre che allievo sommelier della FISAR.
La storia delle birre trappiste comincia con i monaci cistercensi, che nella loro regola avevano la possibilità (e forse l’obbligo) di bere circa un quarto di litro di vino. Nel Nord Europa, però, le condizioni per coltivare vigneti non erano sempre favorevoli e la logica conseguenza è stata il passaggio alla birra.
Dai monaci cistercense derivano i monaci trappisti (“cistercensi della stretta osservanza“), che hanno continuato la tradizione di produzione della birra. Dopo varie vicissitudini storiche, comprese liti in tribunale, oggi le birre trappiste possono essere prodotte solo dai monaci trappisti. Le altre birre, che si richiamano alla tradizione trappista ma sono prodotte da birrifici non trappisti (di norma industriali), sono dette “birre di abbazia”.
Il disciplinare trappista non garantisce o certifica la produzione né la filiera, quindi in realtà non esiste uno “stile trappista”.
Tra le birre trappiste ce ne sono 11 nel mondo che aderiscono al disciplinare stretto, che consente loro di fregiarsi del logo “Authentic Trappist Product”. Noi ne abbiamo assaggiate cinque.
Prima della degustazione, però, parliamo della spillatura, cioè del modo in cui si versa la birra nel bicchiere. Una spillatura non corretta garantisce una sensazione di gonfiore pressoché immediata.
Per spillare correttamente una birra trappista (è diverso per altre birre, quelle inglesi ad esempio) bisogna tenere il bicchiere inclinato a 45°, versare la birra abbastanza dall’alto, senza che la bottiglia tocchi il vetro del bicchiere, poi raddrizzare il bicchiere e proseguire con la spillatura. “Non bisogna avere paura di fare schiuma”, dice Simone.
La prima birra è la Orval. È una birra assolutamente particolare. Al naso emerge subito l’odore di lievito, di crosta di pane e qualche nota agrumata. È molto persistente, piuttosto fresca (inteso come acidità) e secca.
Può essere avvicinata al prosecco, nel senso che gli abbinamenti possono essere gli stessi. Ad esempio, si sposa bene con i formaggi pastosi, come la fontina.
La seconda birra che assaggiamo è la Chimay tappo rosso. La schiuma è più fine, il colore “tonaca di frate”. Al naso è molto complessa, si sentono, pera, banana, lievito, ciliegie sotto spirito, frutta secca. Una giusta dose di diacetile dà anche una nota di caramella mou (se fosse troppo avremmo uno spiacevole odore di burro rancido). Al gusto emergono note di mela cotta, liquirizia, castagna.
La terza è la Achel. Color giallo dorato, schiuma fine, moderatamente intensa al naso. Si sentono profumi di frutta gialla (mela golden, pesca), canditi, salvia. In bocca l’ingresso è dolce, poi emerge l’amaro. Sia questa birra che quella precedente si sposano bene con le focacce, con stuzzichini come i grissini con le olive, con il pecorino.
La quarta birra è la Westmalle. È una tripel, la schiuma persistente, il colore giallo paglierino tendente al dorato. Ha profumi di lievito e di pepe, note agrumate, floreali (tiglio, sambuco, gelsomino), miele. Di intensità media, ha parecchio corpo, è molto secca, quasi tannica. Se volete un abbinamento inusuale, provate ad abbinarla a una bistecca alla fiorentina.
La quinta è la Rochefort. È una belgian dark strong ale, scura, color tonaca di frate, ha una schiuma meno fine, non molto intensa, non troppo persistente.
Al naso emerge subito la liquirizia, poi il cacao, il caramello, la frutta sciroppata, la frutta secca (carrube). Al gusto, cioccolato, caffè, pepe e poi amaro nel retrogusto.
Splendida abbinata al cioccolato e alle mandorle (biscotti gocciole dark, baci di dama), ma anche in abbinamento al gorgonzola.
Consiglio gastronomico: risotto alla parmigiana con una punta di Roquefort aggiunta alla fine, riduzione di Rochefort fatta cuocere con un po’ di zucchero. Buon appetito.
Erano mesi che venivo descritto da un Lorem Ipsum e non mi decidevo mai a cambiarlo. Un po’ per pigrizia, ma anche perché mi piaceva che a descrivermi fosse un nonsense poetico, che parlava di un luogo remoto, lontano dalle terre di Vocalia e Consonantia … oggi però sento che è venuto il momento.
Lombardo di nascita e residenza, trentino di origine e di cuore, qualche affetto mi lega anche al Piemonte. Di mestiere faccio altro, il consulente di ICT Management; fino a non molto tempo fa il vino lo ho frequentato solo dall’orlo del bicchiere.
Conosco Cosimo Piovasco di Rondò da quando eravamo bambini; un giorno ho cominciato a scrivere su Trentinowine, per gioco, su suo suggerimento, e per gioco continuo a farlo. Seguo il corso di sommelier della FISAR Milano, divertendomi un sacco.
Più cose conosco sul vino, meno mi illudo di essere un professionista o un esperto. Qualcuno, ogni tanto, dice di leggermi e di apprezzare questo mio tono distaccato; io mi stupisco sempre, sia del fatto che mi leggano, sia che apprezzino. E ne vado fierissimo.
Grazie Stefano. A breve potrebbero esserci novità su altre serata, una in particolare a cui non puoi mancare.
Buona giornata,
Simone