Ha insegnato a parecchie generazioni di studenti dell’Istituto Agrario di San Michele, oggi FEM, e dalle colonne di giornali  e riviste, Vita Trentina in primis, ha raccontato i cambiamenti, le speranze, le difficoltà, gli entusiasmi e i timori dell’agricoltura trentina degli ultimi 50 anni. E’ stata, ed è, una voce autorevole e severa di una narrazione territoriale, che non ha mai fatto sconti alla politica e non ha mai ceduto alla piaggeria cortigiana  che abita spesso la cronaca di questo settore. Perché Sergio Ferrari, il professore giornalista, o il giornalista professore, è fatto così: un uomo colto e severo. Competente e arguto.  Coraggioso e provocatorio, ma sempre con moderazione. E ragionevolezza.

Con Trentino Wine ha accettato di parlare di cooperazione e di vino. Di quel che è stato, ma soprattutto di quel che, secondo lui, dovrebbe essere. Una lunga intervista che affronta con lucidità molti dei temi di cui ogni giorno ci occupiamo anche noi.

Professore, cosa pensa delle recenti modifiche allo statuto di Cavit, che hanno escluso Sait dalla compagine sociale del consorzio di secondo grado? E delle altre modifiche, che in nome della regolazione dei rapporti concorrenziali fra primo e secondo grado, riducono ulteriormente gli spazi commerciali delle cantine sociali?
“La dismissione del Sait dalla compagine sociale di Cavit (Consorzio di secondo grado) è giustificata dalle mutate condizioni tecnico economiche rispetto alla metà degli anni ‘50. Allora e per alcuni lustri successivi, la presenza del Sait nella compagine sociale di Cavit era giustificata dal fatto che attraverso gli spacci e le famiglie cooperative si vendevano decine di migliaia di bottiglie di Casteller, vino da pasto quotidiano soprattutto in ambiente urbano. In linea teorica si poteva ipotizzare che la dirigenza Sait potesse fornire consigli utili a Cavit per il mercato dei vini . Cosa che non mi risulta sia avvenuta.
Quale è la su opinione sul nuovo servizio di assistenza tecnica centralizzato in mano a Cavit?
Il nuovo servizio di assistenza tecnica ai viticoltori attivato autonomamente da Cavit ha riportato la situazione a quanto avveniva nei primi anni ’60 del ‘900. Quando la cantina La Vis e le cantine sociali della Vallagarina, queste ultime attraverso la Sav, assunsero propri tecnici per fornire ai viticoltori un’assistenza tecnica che tenesse conto non solo delle situazioni agronomiche e fitosanitarie nei vigneti, ma anche e soprattutto delle scelte varietali già prese o da prendere per elevare la qualità dei vini prodotti. La scelta di Cavit ha comportato la messa in ombra e in qualche caso la dismissione dei tecnici della Fondazione Mach che operavano sul territorio, prestando servizio di consulenza ai viticoltori. C’è da sperare che i tecnici scelti autonomamente da Cavit mantengano necessari contatti con il Centro di trasferimento tecnologico della FEM e che questo sia in grado di fornire adeguato supporto tecnico e scientifico.
Quale sarà cooperazione del futuro, nel settore dell’agricoltura, il primo grado tonerà a ritagliarsi un ruolo o è destinato ad un’ulteriore marginalizzazione?
La cooperazione di secondo grado in tutti i settori produttivi dell’agricoltura trentina è nata per aiutare i singoli comparti a realizzare progetti di settore condivisi con gli amministratori delle cooperative di primo grado e dare supporto, se necessario, alla commercializzazione dei prodotti, in misura totale ed esclusiva nel campo ortofrutticolo (mele, susine, piccoli frutti, ecc.) o parziale come nel caso dei vini e di Cavit. A questo schema hanno fatto eccezione in tempi successivi la cantina di Mezzocorona e poi quella di Lavis che hanno preso in carico e portato avanti da sole e con successo produzione e vendita diretta dei vini. Per il futuro primo e secondo grado potranno (dovranno) coesistere e collaborare. Rifuggendo i consorzi di secondo grado da tentazioni di imposizione egemonica di indirizzi e progetti non condivisi e le cooperative di primo grado a spinte verso una rischiosa indipendenza. Nel caso dei vini il problema grosso da risolvere sta nella ripartizione dei compiti: vini di qualità buona-ottima prodotti in quantità industriale e destinati soprattutto all’esportazione affidati a Cavit; vini di territorio di eccellente qualità venduti in bottiglia personalizzata anche in collaborazione con i vignaioli che operano nei singoli territori“.
L’attuale sistema dei disciplinari che regolano le denominazioni, è ancora adeguato?
Il Trentino vitivinicolo e di enti (forse troppi) che ne guidano le sorti dovrebbe avere il coraggio di puntare decisamente alla DOCG per alcuni vini di caratura esclusiva e di storica eccellenza. Esempi: Vino santo trentino Doc, I migliori Trento Doc (metodo classico), il Teroldego Rotaliano. Alcune zone, ad esempio la Valle di Cembra per il Mueller Thurgau, ma non solo (produce anche Chardonnay e Pinot nero da spumante oltre che bianchi diversi dal Mueller Thurgau) meriterebbero la sovradenominazione e non la denominazione minoritaria di sottozona di una Doc. Molte cantine scelgono di produrre vini IGT solo per poter sfuggire a parametri troppo restrittivi di resa di quintali d’uva a ettaro. La Doc dovrebbe rappresentare il comun denominatore di una vitivinicoltura di qualità e di montagna“.
Secondo lei, quale è la ragione del mancato riconoscimento dei vini da uve resistenti nell’ultima riforma del disciplinare della Trentino Doc?
La doc è preclusa ai vini ottenuti da uve di vitigni resistenti. Il divieto è sancito dall’Unione Europea e pare destinato a sussistere almeno fino a quando non si avrà cognizione precisa e validata dell’effettiva qualità dei vini prodotti“.
Il nuovo PSR, che idea se ne è fatto?
Del nuovo PSR 2014-2020 ho conoscenza diretta solo per avere collaborato alla stesura di alcuni articoli divulgativi destinati agli utenti. Conosco i contenuti e le misure con relativi finanziamenti di supporto e criteri di assegnazione dei contributi o meglio delle graduatorie di accettabilità dai numerosi comunicati pubblicati sui quotidiani locali e sui mensili editi e diffusi dai sindacati agricoli. Dalla consistente mole di testi e comunicati esplicativi emergono alcune scelte determinanti che in linea di principio mi sento di condividere: preferenza ai giovani, attenzione alle zone di montagna e in particolare alla zootecnia, sostegno alla qualità dei prodotti agricoli. Devo però costatare che il sostegno all’agricoltura biologica è quasi esclusivamente limitato al premio a ettaro.
La scelta tra produzione integrata e produzione biologica è di là da venire perché i settori dominanti quali la frutticoltura e la viticoltura e gli enti che li supportano temono, a mio avviso infondatamente, che integrato e biologico devono coesistere per essere oggetto di libera scelta da parte di chi produce e di chi consuma i prodotti”.