L’altra notte quella che in gergo giornalistico ormai siamo abituati a chiamare roncola selvaggia  ha colpito il vigneto Tavernaro (Riesling mi pare di ricordare) di proprietà dell’avvocato e viticoltore Elvio Fronza.
Fronza non è solo un avvocato in disarmo (la definizione è sua)  e non è solo un viticoltore. E’ anche l’ex presidente di Consorzio Vini del Trentino e attualmente ricopre l’incarico di presidente della Cantina Trento Le Meridiane.
E’ un uomo elegante e forbito. Ed è stato, ed è, un amico di Trentino Wine. Non solo un lettore come tanti. Un amico. Che il blog e Cosimo li ha difesi quando c’era bisogno di difenderli. E’ un uomo leale e rigoroso, il vecchio avvocato Fronza. Per questo mi sento di esprimergli tutta la mia, nostra, affettuosa solidarietà per quelle 500 viti recise di netto.
Non so immaginare quale sia stato, questa volta, il movente di roncola selvaggia. So però che questo è uno sfregio che si ripete spesso, da sempre, nelle campagne trentine. Uno sfregio, appunto. Uno sfregio figlio della cultura atavica e ancestrale della vendetta contadina. Una barbarie che si scaglia cieca contro il patrimonio, non, o non solo, per provocare un danno economico. E’ uno sfregio, come lo stupro di una figlia o di una moglie o di una sorella, che colpisce l’intimità e l’insieme di valori di un uomo e della sua famiglia. É uno sfregio sociale. E privato. E’ violenza contadina. Carnale. E’ violenza terra terra. Semplice e cattiva nella sua banale semplicità. Roncola selvaggia, appunto. E che questa volta abbia colpito l’avvocato Fronza mi dispiace. Sinceramente.

Ma la violenza nelle campagne del Trentino non è solo roncola selvaggia. C’è dell’altro, c’è una violenza di classe che si manifesta quotidianamente nei confronti dei soci cooperatori e del territorio. E’ la violenza che si esprime, per esempio, nei rapporti fra management cooperativo e contadini. Una violenza che in questi anni si è acuita ancora di più grazie all’introduzione di piattaforme tecnologiche che spogliano il viticoltore della sua competenza esperienziale in cambio di una digitalizzazione minuziosa della prestazione d’opera che lo trasforma in un umiliato salariato della vigna.  E’ una relazione violenta e di classe perché ha creato uno iato incolmabile fra il potere esercitato dai vertici e i soci cooperativi,  che ai vertici hanno consegnato la loro proprietà, la cura tecnica dei loro vigneti, la loro identità e i loro sogni cooperativi, partecipativi e democratici. Ritrovandosi ad agire un ruolo di mezzadria che era stata la condizione umiliante dei loro nonni. E’ l’incubo orwelliano che si materializza nelle campagne del Trentino e che grazie alla tecnologia concentra potere e saperi ai vertici della piramide industriale, escludendo la base. C’è della violenza nell’umiliazione inflitta a tante cantine di primo grado, a cui viene impedito di possedere una linea di imbottigliamento. E ad alcune perfino di imbottigliare con proprie etichette. C’è della violenza di classe in un meccanismo cooperativo che marginalizza quotidianamente, e nei fatti, i soci cooperatori.
C’è della violenza nelle campagne del Trentino. E non è solo quella di roncola selvaggia.