“Ma com’è il vino delle tue parti?”. Era un a domanda un po’ così, di quelle che si fanno tanto per rompere il ghiaccio, quando sei lontano da casa, in un ambiente dove non conosci alcuno. E vorresti essere da tutt’altra parte, fuorché lì. In quel posto bianco e asettico. Ma tant’è.

E’ un vino un po’ così“, ho risposto. Pensavo alle Ambrusche Terradeiforti, Enantio e Casetta. Massì è un vino un po’ così. Un vino po’ obliquo. Obliquo come la Val d’Adige, tagliata dalle anse del fiume, costretto a farsi spazio sgomitando fra le montagne incombenti. E’ un vino un po’ malinconico. Un po’ malinconico come la gente che abita la Val d’Adige, con lo sguardo disorientato fra il nord e il sud, fra il richiamo austero delle Alpi e il magnetismo mediterraneo del Garda. E’ un vino un po’ selvatico. Come lo siamo un po’ anche noi, che non abbiamo ancora capito bene da che parte stare. Però è un vino rigoroso. È un vino con la schiena diritta. È un vino sincero e per questo non ti fa sconti; si cela, a volte, dietro un’ingenua ritrosia, quasi a nascondersi. Poi, se hai pazienza, con calma si svela e si lascia capire. E allora ti trasmette un intimo senso di felicità. E a volte te ne innamori. E allora ti resta nel cuore. E nel sangue.

Chissà cosa ha pensato il mio mesto interlocutore, l’altro giorno lontano dal Trentino, quando ho risposto con queste parole alla sua domanda circa la natura del vino delle mie parti. Ben che vada avrà pensato che fossi ubriaco.

Ieri ho visto scorrere su Facebook, le immagini della cerimonia milanese di presentazione di Vitae 2017, la somma guida della sommellerie italiana.

Ho osservata la faccia del mio amico Albino Armani, mentre ritirava il premio più prestigioso dell’AIS assegnato alla sua cantina; credo ottenuto soprattutto per il suo Foja Tonda Terradeiforti 2012 che è stato segnalato al vertice dell’enologia nazionale con le Le 4 Viti.  E lo ho riconosciuto. Ho riconosciuto il suo sorriso obliquo. E il suo sguardo vagamente malinconico. L’accenno alla timida felicità che ogni tanto vince la ritrosia della gente della Val d’Adige. E la sua schiena dritta, la schiena dritta di chi ha dedicato un bel pezzo della sua vita ad immaginare e a costruire concretamente, mattone su mattone, il riscatto delle Ambrusche. Sottraendole all’oblio di un’attualità senza memoria e senza futuro, che le ha relegate ingiustamente ad icona offuscata di un mondo che qualcuno ha voluto cancellare. E dimenticare. Ma non Albino, che dentro quel mondo, il mondo contadino e dignitoso delle Ambrusche, ci è nato e cresciuto. E che ieri, dopo trent’anni di paziente lavoro, è riuscito a farle entrare, dalla porta principale e con il tappeto rosso, nel gotha del vino italiano e internazionale.

Ho pensato, ieri, mentre sfogliavo quelle foto che quel vino un po’ così, il Terradeiforti, sia proprio il suo vino. E che lui ne sia l’interprete più fedele. E rigoroso. E ostinato. Perché Albino Armani, fra le tante altre cose, è anche un uomo po’ così. Per fortuna.