Il vino inizia con la vite, e la vite è una liana, che si intreccia agli alberi e alla storia dell’uomo: per questo si studia viticoltura al corso di sommelier.
Quando in ottobre sono stato alle tenute Sella a Lessona (non ne ho più scritto e colgo ora l’occasione) era il momento della vendemmia. L’enologo Paolo Benassi mi ha mostrato il vigneto di Nebbiolo (“perfetto”) sotto una pioggerellina leggera e mi ha fatto assaggiare l’uva. Abbiamo assaggiato separatamente la buccia, che contiene i polifenoli, pigmenti antiossidanti, e gli antociani (nell’uva rossa, come in questo caso): era ancora un po’ troppo spessa: bisognava attendere un paio di giorni prima di vendemmiare. Poi la polpa, che contiene gli acidi tartarico, malico e citrico; e gli zuccheri e gli aromi. Infine i vinaccioli, li abbiamo masticati per sentire i tannini.
È stata una esperienza sul campo di che cosa è la viticoltura; e me la sono ritrovata tutta nella lezione del corso di Sommelier.
La vendemmia quindi è la ricerca di un punto delicato di equilibrio tra le varie componenti, alcune in aumento con lo scorrere del tempo, come gli zuccheri, altre in diminuzione, come gli acidi, per ottenere il risultato finale voluto. Certo, è possibile utilizzare degli strumenti tecnologici, come ad esempio la misurazione dei gradi Brix, o Babo, per determinare il punto di maturazione dell’uva. Ma questa è solo la maturità tecnologica e ci sono cinque o sei valutazioni diverse di maturità dell’uva che devono coincidere.
E poi bisogna cercare un equilibrio nel vigneto. Le foglie sono il “motore” che accumula sostanze nel grappolo d’uva; aumentando la quantità di uva prodotta da ogni pianta diminuisce fatalmente la qualità.
La storia della vite è lunga e comincia nel Caucaso, ancora nel neolitico, con l’inizio dell’agricoltura; le prime testimonianze di vinificazione risalgono al 3500-3100 a.C.. A quell’epoca la vite impiegata era soprattutto la Vitis Vinifera Silvestris, quella selvatica. Pian piano verrà sostituita dalla Vitis Vinifera Sativa, quella domestica.
Nel 1860 circa fa la sua comparsa in Europa la fillossera, un insetto importato dall’America che rischia di distruggere l’intera viticoltura europea. Ci si salva adottando dei porta innesti americani su cui vengono innestate le viti europee. Ad oggi, la maggior parte delle viti coltivate in Europa sono viti innestate. Quelle poche che sono sopravvissute alla fillossera sono le cosiddette viti “franche di piede”, oramai ultracentenarie.
Si parla poi delle forme di allevamento della vite, a guyot, a cordone speronato, a pergola, ad alberello … Per esempio, in luoghi aridi e ventosi, la vite si coltiva ad alberello. Anche questo è un equilibrio, tra pianta, terreno, ambiente, vitigno: tutto questo concorre a definire il terroir; ma soprattutto l’uomo con la sua storia e cultura. Del resto, come diceva M.me de Rothschild, “non è difficile fare vino, solo i primi duecento anni possono dare qualche problema”.
Erano mesi che venivo descritto da un Lorem Ipsum e non mi decidevo mai a cambiarlo. Un po’ per pigrizia, ma anche perché mi piaceva che a descrivermi fosse un nonsense poetico, che parlava di un luogo remoto, lontano dalle terre di Vocalia e Consonantia … oggi però sento che è venuto il momento.
Lombardo di nascita e residenza, trentino di origine e di cuore, qualche affetto mi lega anche al Piemonte. Di mestiere faccio altro, il consulente di ICT Management; fino a non molto tempo fa il vino lo ho frequentato solo dall’orlo del bicchiere.
Conosco Cosimo Piovasco di Rondò da quando eravamo bambini; un giorno ho cominciato a scrivere su Trentinowine, per gioco, su suo suggerimento, e per gioco continuo a farlo. Seguo il corso di sommelier della FISAR Milano, divertendomi un sacco.
Più cose conosco sul vino, meno mi illudo di essere un professionista o un esperto. Qualcuno, ogni tanto, dice di leggermi e di apprezzare questo mio tono distaccato; io mi stupisco sempre, sia del fatto che mi leggano, sia che apprezzino. E ne vado fierissimo.