Gira una battuta nei corridoi del vino trentino. Ed è più o meno questa: “Almeno Vinitaly 2016 è servito a qualcosa: a riportare a casa, in Trentino, Carlo De Biasi”. Sì, perché si dice che le trattative per portare alla direzione generale della Produttori di Toblino lo Chef Agronomist di Casa Zonin, siano cominciate proprio nei salottini riservati dei padiglioni della fiera veronese dello scorso anno. Sia come sia, dagli ultimi mesi del 2016 l’agronomo di origine trentina, è nato a Trento nel 1968, ha preso in mano le redini di una delle più belle coop vinicole del distretto provinciale, quella più vocata al biologico e quella inserita in uno dei contesti paesaggistici più suggestionanti del Trentino Vinicolo, la Valle dei Laghi.
Carlo De Biasi, diplomato in enologia a San Michele e laureato in Scienze Agrarie a Milano, nei giorni scorsi è stato nominato vicepresidente dell’associazione internazionale Lien de Vigne, di cui era diventato consigliere qualche anno prima; e vedremo poi con lui di cos’è e di cosa si occupa questa accademia internazionale. Prima ancora due parole sul professionista e sul suo legame con il Trentino, che non conosce solo perché ci è nato e perché ci ha studiato. Lo conosce, soprattutto, perché ci ha lavorato da quasi ragazzo prima di prendere la strada del Veneto. Dal 1992 al 1997 ha collaborato con il Gruppo Viticolo e con l’Unità Operativa di Pedoclimatologia dell’Istituto di San Michele all’Adige; in questo periodo si è occupato di progetti di ricerca nell’ambito dello studio del territorio. E, fra gli altri, ha firmato l’”Atlante Viticolo” edito dalla Cantina La – Vis. Il resto, poi, appartiene alla sua esperienza veneta. Che magari racconteremo un’altra volta.
Il direttore di Toblino, dunque, oltre ad un enologo di vaglia – e restiamo in impaziente attesa dei suoi vini -, è anche un uomo di scienza e di sperimentazione, ma soprattutto un uomo di territorio capace di uno sguardo che, per fortuna, travalica gli orizzonti dolomitici: nel 2013 è stato insignito del premio Green Personality of The Year dai giurati della rivista inglese The Drink Business. La sensazione è che il suo “rientro” in Trentino alla direzione di Toblino sia solo un passaggio intermedio, quasi una palestra per un obiettivo più alto. Ed è per questo che qualcuno benedice ancora i salottini di vinitaly 2016: perché potrebbe essere lui l’uomo del vino trentino del futuro. Ma qui siamo, appunto, nel ambito della futurologia e per ora soprassediamo e ci riserviamo le domande imbarazzanti e “pesanti” alla prossima intervista. Se ci sarà.

Torniamo, invece,  a Lien de la Vigne, di cosa si tratta: «È un’associazione creata nel 1992, con sede a Parigi e interamente dedita alla vitivinicola internazionale il cui scopo principale è quello di promuovere l’innovazione e la cooperazione all’interno della filiera vite-vino ».

Come è strutturata? «Raggruppa due collegi, uno composto da rappresentanti del mondo accademico internazionale e il secondo da professionisti».

Di cosa si occupa? «L’associazione tratta ogni anno una tematica importante facendo capo alle competenze di un’ampia cerchia mondiale di specialisti di tutti i settori interessati della filiera vitivinicola internazionale (pubblica e privata). Attraverso la consultazione mondiale, avvalendosi di questionari e diffondendoli grazie alla collaborazione dei differenti referenti nazionali, si raccolgono le opinioni relative alla tematica trattata, opinioni che vengono sintetizzate nel corso di un seminario di specialisti, quindi sviluppate e presentate alla filiera nel corso di una conferenza annuale. Il rapporto di sintesi dell’intera procedura sarà poi consegnato a ogni partecipante».

Chi ne fa parte? «Lien de la Vigne riunisce 106 membri e 250 associati di 25 nazionalità diverse. Il collegio scientifico è composto tra gli altri dall’INRA di Bordeaux, Montpellier, Anger, Colmar, dall’Università di Bordeaux, di Poitiers, Paris Sud, Dijon (F), Università di Lisbona (P), Università della Rioja (ESP), Milano e Verona (I), Cornell e Davis (USA), dalla stazione di ricerca di Geilweilerhof (D) e Agroscope (CH), dall’ADVID (P), Australian Governement – Grape Wine Research Development Corporation (AUS), l’American Vineyard Foundation (USA), dal Centro Interprofessionale della Champagne (CIVC), Cognac (BNIC), Interloire, nonché da Institut Français de la Vigne et du Vin (IFV). Il collegio professionale è garante della indipendenza dell’associazione nel definire le misure prioritarie per il settore ed è composto fra gli altri da Schenk (CH), Freixenet, Torres (ESP), Amorim (P), Robert Mondavi Winery, E.&J. Gallo Winery, (USA), Hennessy, Moët&Chandon, Rémy Cointreau, Vaslin-Bucher, Rémy Martin, Pernod Ricard, Roederer, ForceA, Fruition Science (F), Bolla, Zonin1821, Ruffino, Vivai Cooperativi Rauscedo, Antinori, Cantina Toblino (I), Gusbourne (GB). Presiede l’Associazione Peter Hayes, australiano già Presidente di OIV Office International de la Vigne e du Vin ».

E lei come ci è arrivato ? «Ho cominciato a far parte dell’associazione alcuni anni fa e con grande impegno ho partecipato alle attività, perché credo che sia una possibilità imperdibile per un sano e costruttivo confronto internazionale. Le persone che ne fanno parte e che partecipano con assiduità agli incontri ed alle riunioni sono molto aperte al confronto perchè tutte animate dall’idea di arricchirsi di esperienze per poter poi portare nel loro lavoro quotidiano stimoli e conoscenza. Per questo mio impegno l’assemblea plenaria mi ha nominato vice presidente, un riconoscimento importante ma soprattutto un impegno per il futuro».
Che effetto fa la vitivinicoltura italiana, da una prospettiva internazionale? «Viene osservata con grande attenzione all’estero soprattutto per i cambiamenti a cui è andata incontro negli ultimi anni e per come questi hanno impattato sui mercati internazionali e qui mi riferisco ai due fenomeni principali Prosecco e Pinot grigio. Purtroppo della nostra storia, della nostra incredibile varietà di territori, climi, suoli e soprattutto di vitigni, poco traspare a livello internazionale anche in contesti tecnici. Devo però constatare con piacere che anche nell’ambito dell’associazione la compagine italiana è cresciuta notevolmente negli ultimi 5 anni, segno questo che c’è una forte apertura verso la conoscenza ed il confronto con culture e sistemi produttivi diversi, verso l’innovazione e la possibilità di collaborazione transnazionale. Ottimo presagio per il futuro e per la crescita della qualità e della competitività delle nostre produzioni vitivinicole».

E quella trentina? «Se la conoscenza delle vitivinicoltura italiana e delle sue peculiarità è poco conosciuta viene da se che quella trentina lo sia ancora meno. Per quello che è nelle mie limitate possibilità mi sto adoperando per far conoscere ed apprezzare nei contesti che frequento le peculiarità della vitivinicoltura trentina. Credo che riportare all’interno della nostra realtà i risultati o le indicazioni che scaturiscono da collaborazioni internazionali non possa fare solo che bene».

E visto da dentro, ma arrivando da fuori come le sembra il Trentino del vino? «Lo vedo alla ricerca della sua identità, ci sono correnti di pensiero e produttive diverse a volte quasi antitetiche, ma penso che queste differenze quasi filosofico-produttive possano essere invece uno strumento importante di crescita e di valorizzazione qualora trovino un tavolo di confronto serio e costruttivo. Io personalmente non ho mai avuto paura di visioni diverse, anzi ho sempre creduto che dalle divergenze di pensiero attraverso il dialogo ed il confronto si possano mettere in discussione le proprie convinzioni, rianalizzarle, riadeguarle al contesto e crescere».

Parliamo di lei. E’relativamente giovane, eppure si è guadagnato un palcoscenico internazionale di primo piano. Si ha l’impressione che sappia muoversi bene sul palcoscenico del mondo. Cosa piuttosto rara per un trentino. Soprattutto in questo settore. Da dove le arriva questa propensione?
«La mia propensione al mondo nasce negli ultimi anni di università quando grazie a Mario Falcetti e Attilio Scienza sono stato portato in giro per l’Europa a convegni internazionali e a visitare territori e aziende vitivinicole straniere. Poi ho incontrato Gianni Zonin che mi ha sempre spronato ad andare in giro per il mondo, a vedere cosa fanno gli altri, a cercare di capire le filosofie di produzione, le tecniche, a conoscere i vitigni e soprattutto a parlare con le persone. Le sue parole erano sempre le stesse: “Lei dottor De Biasi vada a conoscere ed osservare che porterà sempre a casa qualcosa ed anche quando le sembrerà di non avere tratto vantaggio da un viaggio o da una conoscenza nel tempo si renderà conto che non è così ma che anche in quella occasione aveva imparato qualcosa” Con questa filosofia mi sono formato e con la stessa opero quotidianamente, anche all’interno dell’associazione Lien de la Vigne».

Pinot Grigio delle Venezie Doc, un’occasione per dare una maggiore impronta territoriale alla Doc Trentino o un incubo globalista che si avvera? «Penso che Pinot Grigio delle Venezie DOC sia un passo importante per il comparto produttivo italiano, l’introduzione della DOC permette di dare una maggior garanzia del prodotto a livello internazionale qualificandolo. In questo contesto penso che la Doc Trentino possa giocarsi una carta importante sul fronte della differenziazione e della qualificazione. Se vogliamo giocarci questa carta e posizionare il Pinot grigio Trentino DOC a livello superiore della piramide della qualità forse è venuto il momento di fare delle scelte, anche forti ed in contrasto con quelle fatte solo un paio di anni fa, ma il momento penso sia quello giusto per rivedere il disciplinare alla luce delle specificità territoriali».

In una battuta: quale modello per il futuro del vino trentino? L’Alto Adige o la Valpolicella? «Il modello da costruire penso sia specifico per il Trentino, analizzare ciò che succede in altri contesti può solo aiutarci a fare bene».

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CHI È CARLO DE BIASI

Nato a Trento, il 6 marzo 1968, sposato.
Ha conseguito il diploma di Enotecnico presso l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige (Tn) e successivamente la laurea magistrale in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Milano.
Dal 1992 al 1997 ha collaborato prima con il Gruppo Viticolo ed in seguito con l’Unità Operativa di Pedoclimatologia presso l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige (Tn); nel corso di tale periodo si è occupato di progetti di ricerca nell’ambito dello studio del territorio (“terroir”) e delle sue risposte a livello di produzioni viti-vinicole (“zonazione viticola”). Per essersi particolarmente distinto nel campo della ricerca, della sperimentazione, della divulgazione e della valorizzazione dell’agricoltura trentina nel 1996 gli viene riconosciuto dall’UDIAS il “IV P REMIO ENRICO A VANZI ”.
E’ autore e curatore di numerose pubblicazioni in campo viti-enologico, delle quali si ricordano principalmente i volumi “Atlante Viticolo” edito dalla Cantina La Vis (TN) e “D’Uva e Vino – Prontuario del Viticoltore” edito dalla Cantina Sociale di Colognola ai Colli (VR).
Al libro “Recioto di Soave” edito dall’omonimo Consorzio di Tutela, di cui De Biasi è stato curatore e co-autore, è stato riconosciuto nel corso di Vinitaly 2000 il “PREMIO INTERNAZIONALE DI ENOLOGIA E VITICOLTURA GIUSEPPE MORSIANI ”.
Dal gennaio 2000 De Biasi fa parte dello staff tecnico della C ASA V INICOLA Z ONIN SPA con il ruolo DIRETTORE AGRONOMICO. Svolge mansioni di coordinamento tecnico, programmazione, gestione e controllo delle attività svolte nei vigneti delle Aziende Agricole di proprietà della famiglia Zonin. Complessivamente si tratta di 2.000 ha investiti a vigneto, dislocati in 7 regioni italiane: Friuli Venezia Giulia (Tenuta Cà Bolani, Tenuta Cà Vescovo), Veneto (Podere Il Giangio), Lombardia (Tenuta il Bosco), Piemonte (Castello del Poggio), Toscana (Castello d’Albola, Abbazia Monte Oliveto, Rocca di Montemassi), Sicilia (Feudo Principi di Butera), Puglia (Masseria Altemura) e in Virginia negli Stati Uniti (Barboursville Vineyard).Coordina uno staff tecnico composto attualmente da 20 agronomi.
E’ membro del comitato tecnico scientifico di Tergeo, progetto nazionale di vitivinicoltura sostenibile promosso da Unione Italiana Vini.
Nel 2013 viene nominato dalla rivista inglese The Drink Business “GREEN P ERSONALITY OF THE YEAR ” per il suo impegno nello sviluppo di programmi di viticoltura sostenibile. E’ il primo italiano a ricevere questo prestigioso riconoscimento internazionale.
Nel 2016 lascia Casa Vinicola Zonin e assume la direzione generale di Cantina Produttori di Toblino.
Nel 2017 diventa vicepresidente dell’associazione francese LIEN DE LA VIGNE con sede operativa a Parigi.