È un po’ che non racconto delle lezioni del corso di sommelier. In effetti mi sono fermato alla fine della terza lezione, e ne sono passate parecchie da allora: forse un giorno recupererò il terreno perduto, magari anche solo in parte.
Però recentemente ho assistito a una lezione sulla Francia e, com’è come non è, mi è venuta voglia di scriverne. Scrivere due o tre aneddoti, niente riguardo alle regioni, ai vitigni, ai vini. Roba vissuta e non riportata.
Primo aneddoto: nessun vigneron francese parla male del vicino, neanche a provocarlo. “Il vino del vicino? Ottimo. Io, credo anch’io di fare del buon vino, ma il suo vino è ottimo”. Anche questo, per i francesi, vuol dire “fare sistema”.
Secondo: si sussurra che, nelle degustazioni alla cieca, il Romanée-Conti non arrivi sempre primo. Anzi, non arriva quasi mai primo. Però, nessuno ne mette in dubbio il primato e, nelle degustazioni ufficiali, vince sempre. Perché serve da locomotiva e la locomotiva deve trainare: se no, se si mette in discussione quella, anche i vagoni soffrono.
Terzo: qualche anno fa, una grande maison della moda si è accaparrata quasi tutte le grandi case produttrici di champagne, i grandi marchi. Poi, ha cominciato a offrire cifre spropositate per le uve. Molti vignaioli, a fronte di prezzi che andavano dai cinque ai dodici euro al chilo, hanno perso la capacità di produrre champagne e sono diventati conferitori.
Ma alcuni, temendo di perdere il controllo sul proprio futuro, o perlomeno di consegnarlo in mano ad altri, hanno preferito non vendere l’uva e continuare a produrre il proprio champagne. Sono diventati, o sono rimasti, “Recoltant-Manipulateurs”. Vendono i propri champagne, première crus o grande crus, a meno di venti euro alla bottiglia in cantina. Guadagnano il giusto e sono liberi. E lo champagne è ottimo, garantito.
E quindi, direte voi? Quindi niente. Sono storie di ordinaria normalità. Però è una bella lezione su come si fa, con poche mosse, a difendere prodotti e margini di guadagno.
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