I PIWI
“Vini Naturali” naturalmente
I PIWI (acronimo tedesco per pilzwiderstandsfähige Rebsorten, varietà resistenti ai funghi) sono prodotti da incroci fra viti europee e americane. Il loro vantaggio è che permettono al viticoltore di ridurre la chimica nel vigneto, lo svantaggio è che il loro gusto lascia talvolta un po’a desiderare. Ma i PIWI moderni danno vini abbastanza sorprendenti in determinate condizioni di crescita e consentono ai bio-viticoltori una produzione vinicola più rispettosa dell’ambiente.
Andreas März
(traduzione di Angelo Rossi)
[CONTINUA #MERUM2017] – Emozionante è la storia dei PIWI in Francia: con la comparsa delle malattie della vite a metà del XIX sec. viticoltori francesi che non emigrarono in Algeria, importarono ibridi resistenti dall’America. Grazie a questi primi prototipi di PIWI – Isabella e Concord – fu scongiurata alle uve la vera e falsa peronospora. Ma c’era un antipatico effetto collaterale: gli ibridi importati erano resistenti anche alla fillossera, della quale erano contaminati, cosicché il pericolo non fu riconosciuto. Su questa base le cose presero una piega devastante…
La produzione francese si rimise in pista, così che da una situazione deficitaria dov’era caduta, negli anni ‘30 si tornò alla sovrapproduzione. Questo grazie in particolare alla produzione algerina e ai nuovi impianti molto produttivi di PIWI nel sud della Francia. Fu così che alla fine del 1934 vennero bandite dalla Francia quelle amate bastarde varietà euro-americane: Isabella, Noah, Clinton, Jacquez e Herbemont furono buttate, davano un gusto bestiale, carico di metanolo, che le esposero al pubblico ludibrio. La legge ordinò la distillazione dei vini di queste uve.
I controlli però erano scarsi. Solo nel 1953 l’Institut français de la Vigne e du Vin notò che ben poche di quelle varietà vietate erano state estirpate. Con una politica del bastone e della carota, si proseguì con lo sterminio di questi proto-PIWI con sanzioni e premi all’espianto. Alcuni viticoltori si opposero, come nella povera Cevenne, dove il vino da Clinton divenne simbolo di resistenza al potere dello Stato centrale.
Col declino dei PIWI in Francia in definitiva non cambiò nulla, poiché il divieto poggiava in larga parte su infondate denigrazioni scientifiche, ma in realtà ci fu probabilmente un’altra causa: perché i viticoltori PIWI non compravano più pesticidi …
Riabilitazione con resistenze
A tutt’oggi i PIWI sono riusciti molto lentamente a smarcarsi dall’incomoda posizione, le autorità stanno loro criticamente sul collo come un tempo. Tuttavia, non ostacolano gli sforzi per affrancare le viti da funghi e fillossera tramite incroci e innesti. I PIWI, detti anche varietà interspecifiche, vitigni ibridi o produttori diretti, nascono da incroci di varietà resistenti ai funghi, fra viti americane non idonee alla produzione di vino con viti europee sensibili ai funghi. Alcuni dei moderni PIWI si rifanno alla genealogia storica di decine delle più diverse varietà.
I primi PIWI si chiamavano Noah (Noè) e Isabella: la rossa e la bianca uva Fragola. Il loro sapore di foxì (il volpino e penetrante sentore di fragola) e la tendenza a formare alcool metilico in fermentazione, ne ha bloccato la diffusione come varietà da vino, malgrado la loro immunità da malattie e fillossera.
Gli obiettivi della ricerca puntano su nuove varietà in grado di assicurare i livelli qualitativi della Vitis vinifera europea mantenendo al tempo stesso la resistenza alle malattie fungine. Un obiettivo difficile da raggiungere perché spesso questi nuovi incroci danno vini con difetti sensoriali o hanno una resistenza insoddisfacente.
Josef Terleth responsabile per varietà, cloni, portainnesti della Sezione Viticoltura del Centro sperimentale di Laimburg in Alto Adige: “Oggi i migliori PIWI non sono più costituiti da incrocio di due sole varietà come era per gli ibridi produttori diretti. Nel tempo, si sono incrociate sempre più varietà di vite europea per mantenere i caratteri delle nostre varietà senza perdere le proprietà di resistenza. Si cerca così di riuscire a conservare oltre il 90 percento dei geni europei”.
Quando il discorso cade sulla resistenza alle malattie, ci si riferisce alla vera e falsa peronospora, ma non anche alla Botrytis. La resistenza alla botrite dipende molto più dalla consistenza delle bucce e dalle singole caratteristiche varietali.
Ma la resistenza alle malattie dei PIWI si spinge fino ad annullare il bisogno dei trattamenti in vigna? Terleth nicchia: “Il concetto che con i PIWI in generale si possa fare a meno della lotta fitosanitaria è sbagliato. Dipende molto dalla pressione dell’infestazione”. La consistenza della malattia dipende dalle condizioni climatiche come temperature, piogge e umidità. Senza la copertura della lotta fitosanitaria si salvano solo gli appezzamenti in alta quota, più in basso in certe annate, il viticoltore deve mettere in conto determinati accorgimenti, se proprio vuole eliminare ogni trattamento.
In Italia, i PIWI godono di una certa popolarità soprattutto in Alto Adige e in Trentino. Terleth: “I PIWI si propongono come scelta varietale in particolare laddove le viti sono a dimora in zone residenziali, asili o piste ciclabili. In quei posti i sistematici trattamenti fitosanitari sono stati messi alla sbarra. L’Alto Adige è un territorio vocato alla viticoltura, ma è anche importante meta turistica: per mezzo milione di abitanti ci sono 30 milioni di pernottamenti turistici. Sul tema non possiamo permetterci di essere avventati. Con i PIWI è possibile riportare la gestione della lotta fitosanitaria entro limiti accettabili. E’cosa ben diversa se ho da fare due o tre trattamenti, piuttosto di 13 o 14”.
Werner Morandell (Lieselehof, Caldaro) sul tema della protezione delle piante è categorico: “Accetto varietà di PIWI che debbo trattare una o al massimo due volte, ma non tre o quattro volte. Rifiuto tali varietà, non hanno senso, perché allora posso lasciar stare il Cabernet dov’è. Io sto cercando di farcela senza trattamenti fitosanitari”.
I pionieri altoatesini dei PIWI
Morandell è viticoltore biologico dal 1993. Alla fine degli anni ’90 ha perso due raccolti a causa delle malattie fungine. Caddero esattamente nel momento della ristrutturazione della cantina e della nascita dei suoi gemelli. Finiti i soldi, la banca cominciava a brontolare, come pure sua moglie: “Quand’è che finalmente cominceranno nuovamente ad entrare dei soldi con questa agricoltura biologica, dobbiamo ripagare i nostri debiti”. Morandell: “Non si poteva andare avanti. Ma l’assistenza per noi produttori allora non era quella di oggi, chi lavorava nel biologico doveva arrangiarsi per conto suo. Dato che non potevo permettermi altri fallimenti, all’inizio degli anni 2000 mi sono appassionato ai PIWI”.
A Friburgo in Brisgovia gli dettero 100 ceppi di Solaris che a casa mise a dimora. Fu in grado di vinificare i primi grappoli già al primo anno e ottenne un “vino meraviglioso”. L’anno successivo piantò subito dei Johanniter e Bronner. Morandell: “Nel 2002 dovetti procedere illegalmente all’impianto di queste varietà allora non autorizzate ed ebbi i miei problemi con le autorità. In qualche modo si trovò una soluzione considerandole semi-legali come vigneto sperimentale. Nel 2005 da Roma ci furono ancora fiere resistenze al movimento PIWI. Soprattutto anche perché si trattava di varietà straniere, specie della Germania (Freiburg), anche della Svizzera, mentre in Italia non c’era nessuna”.
Un altro impiego dei PIWI è per vigneti posti in siti difficili da lavorare e per piccole zone marginali. Terleth: “L’idea di non dover fare i trattamenti è allettante. Le cantine sociali però mostrarono scarso interesse. Per la ragione che la gamma con disponibilità di oltre 20 varietà diverse era già molto ampia. Oggi tuttavia, singole cantine cominciano a prendere in considerazione i vini PIWI per il loro assortimento”.
La percentuale di superficie totale coltivata è marginale anche in Alto Adige e in Trentino. Terleth: “Sosteniamo i viticoltori con la ricerca e predisponiamo la certificazione ufficiale per il riconoscimento delle varietà e quanto necessita dal punto di vista agronomico, enologico e sensoriale. Le prime prove sperimentali sui PIWI in campo hanno già avuto luogo negli anni ’80, a cominciare dal rosso Regent e dal bianco Bronner che nel 2009 sono stati inclusi nel Catalogo nazionale delle varietà”.
I PIWI, tuttavia, erano stati piantati anni prima, ancorché in modo non del tutto legale. E questo perché, a eccezione di piccole superfici, per la produzione di vino ottenuto da queste varietà è necessario che le cultivar siano prima iscritte nel Registro nazionale delle varietà a Roma e, successivamente, recepite come autorizzate dalle diverse Regioni. Dopo Regent e Bronner sono state autorizzate anche Prior, Cabernet-Cortis, Solaris, Helios e Johanniter, seguite nel 2014 da Souvignier gris e Muscaris. Tranne Helios, sono coltivabili anche in Alto Adige tutte le varietà riconosciute a livello nazionale, al fine della produzione di vini IGT.
Tra i pionieri altoatesini di PIWI si contano, oltre a Rudolf Niedermayr (Hof Gandberg, Appiano) e Franz Pfeifhofer (Zollweghof, Lana), anche il Centro di Ricerca Laimburg con il suo Pustrissa, un vino bianco di Solaris della Val Pusteria coltivato a 950 di altitudine e, naturalmente, Werner Morandell (Lieselehof) che, nel suo Museo del Vino a Caldaro coltiva e cura 360 vitigni, tra cui 70 PIWI.
Morandell, piccolo viticoltore, non è certo un tipo noioso e nuove idee gli vengono di continuo. E le realizza pure. Dal momento che le varietà PIWI alle quote più basse non beneficiano solo della loro precocità, ancorché non perfettamente resistenti, le porta a quote più elevate. Così otto anni fa ha piantato in cima al Passo della Mendola a 1300 m s.l.m. 1000 ceppi di Solaris. Lassù le condizioni ambientali per la coltivazione sono veramente proibitive: un metro e mezzo di neve, uccelli, caprioli, cervi, volpi e tassi che si mangiano l’uva strappando le reti protettive, potatura possibile solo in maggio, resa massima di 600 gr/ceppo e rischio di brinate tardive anche in luglio.
Il suo Vino del Passo, un vino bianco minerale e molto fine di Solaris, costa orgogliosi 30 Euro. Morandell: “Un prezzo che non copre purtroppo i nostri costi. A 1300 metri non impianterei più”. Ma a 1100 metri sì! Al Passo di San Lugano ha appena piantato un ettaro di Solaris …
Zero Infinito: l’infinito nulla
Morandell produce uno spumante da Souvignier gris, il Lieselehof Brut. Nel vigneto non si fanno né trattamenti, né concimazioni. La fermentazione del vino base parte con lieviti spontanei senza aggiunta di solforosa, nel mese di maggio si imbottiglia il vino con l’aggiunta di zucchero e lieviti da spumante, alla sboccatura dopo due anni si aggiunge una dose minima di anidride solforosa, ma solo quel tanto per contenere il residuo complessivo sotto i 25 mgr/l considerando che 10 mgr/l li producono gli stessi lieviti.
Sono un passo avanti, Fiorentino Sandri e Mario Pojer a Faedo in Trentino. I due, nel corso della loro carriera di vitivinicoltori, hanno già realizzato alcune idee brillanti. Però è lo Zero Infinito la risposta-capolavoro più avanzata alla crescente domanda dei clienti per avere un vino sostenibile. Con Zero Infinito non si è rinunciato del tutto alla chimica solo nel vigneto, ma ad ogni sorta di additivi anche in cantina.
Ma non è solo questa la cosa sorprendente, entusiasmante è che funziona e che il vino prodotto non è solo piacevole al palato, ma assolutamente netto e bevibile. Pojer & Sandri dimostrano che un vino anche senza ausiliari chimici e altri additivi può presentare freschezza assoluta e aromi varietali se non lo si lascia solo a se stesso, supportandone decisamente i processi naturali con il know-how enologico e la moderna tecnologia – azoto e freddo.
Come si fa, l’ha detto Mario Pojer: ” Già in vigna riduciamo gli interventi all’indispensabile: due volte l’anno si taglia l’erba, una terza volta si entra col trattore nel vigneto per la potatura verde e una volta ancora per la vendemmia. Nessuna irrorazione”. Questo è possibile perché il vigneto di 4,5 ettari a Solaris è a 850-900 m s.l.m., dove il clima fresco integra la naturale resistenza della varietà PIWI. Pojer: “Il problema in questi vigneti d’alta quota non sono gli insetti e le malattie, ma la voracità dei selvatici”.
Sebbene Solaris sia precoce a quote più basse, l’uva a Grumes, in alta Valle di Cembra (Trentino) giunge a normale maturazione – ai primi di settembre – pronta per la raccolta. Pojer: “Se aspettassimo di più, si alzerebbe il livello di zuccherino, scegliere il momento giusto è fondamentale”. Le uve per lo spumante Zero Infinito vengono subito raffreddate a sei gradi di temperatura, poi lavate – da Pojer & Sandri tutte le uve sono lavate prima della vinificazione – e infine pressate sotto atmosfera di azoto, senza aggiunta di additivi.
Dieci giorni prima della raccolta, da uve di Grumes si preparano sette, otto Pied de Cuve – lieviti d’avviamento a coltura spontanea – parimenti senza additivi. Di queste – dopo degustazione e analisi – una, forse due o anche tre colture servono ad avviare la fermentazione.
Dopo 40 giorni di fermentazione in acciaio a circa cinque gradi Celsius segue l’imbottigliamento senza filtrazione con un residuo zuccherino di 20 grammi per litro. Ci pensano i lieviti ad assicurare al vino, nonostante l’assenza di anidride solforosa, la protezione dalle ossidazioni. Dettaglio originale: Il refrigerante utilizzato in Pojer & Sandri non è il glicole disponibile in commercio, ma grappa della propria distilleria, “una leccata lo farebbe notare”.
L’aromatico e leggermente amabile Zero Infinito può essere gustato in due modi: quello con il vino versato con attenzione o addirittura decantato, oppure agitando preventivamente la sua feccia, come si fa con un Prosecco col fondo o con una birra di frumento (Weizen).
Le parole zucchero residuo potrebbero indurre al sospetto. Come può conservarsi un vino di solo dodici gradi con un piccolo residuo zuccherino di cinque/sei grammi senza aiuto di conservanti, senza che i microrganismi ci si buttino a pesce?
I lieviti non gradiscono le alte temperature, né alcool, né alte pressioni, né elevata acidità. La pressione dello Zero Infinito è, infatti, di soli 3 bar. Per effetto di uno shock termico – le bottiglie vengono riscaldate per dieci minuti a 45 gradi – la pressione aumenta rapidamente a 9 bar e con questa pressione e quella temperatura l’ambiente per i lieviti diventa tossico per l’effetto dell’alcool e dell’alta acidità. Pojer: “Morti del tutto, i lieviti molto probabilmente non lo sono, ma il processo li rende incapaci di agire, in modo che dopo in bottiglia non succede più nulla”.
Ma perché preoccuparsi? Pojer: “Oltre ai residui sulle uve, le molestie dei residenti locali, i gas di scarico e residui di pesticidi in aria, acqua e suolo, a parlare contro il gran numero di passaggi per i trattamenti c’è anche il rischio per i viticoltori stessi. Ogni anno nei vigneti, soprattutto in quelli terrazzati, muoiono decine di persone sotto il proprio trattore. Nel 2007 siamo stati in grado di acquisire, da diversi proprietari in Val di Cembra, un paio di particelle abbandonate e su 4,5 ettari realizzare il nostro progetto”.
Nel 2007 abbiamo fatto le prime microvinificazioni di uve Solaris acquistate, cui seguirono ulteriori tentativi senza aggiunte di sorta, con l’obiettivo di arrivare ad uno spumante aromatico e fresco. L’annata 2013 è stata la prima ad essere messa in commercio, quella del 2016 sembra essere la più fortunata in quanto ad equilibrio complessivo tra fruttato e lievito, amabilità e acidità. Sempre l’inizio della primavera, il 21 marzo, questo vino non dichiarato come “Vino Naturale” verrà posto in vendita (prezzo f.co azienda agricola: 14 €).
E ora il tutto in rosa
Dietro lo Zero Infinito ci sta un sacco di ricerca e di lavoro, e anche colloqui con i vecchi maestri di cantina della zona del Prosecco. Pojer: “I nonni del Prosecco impiegavano questi metodi quando non esistevano ancora recipienti a tenuta di pressione”. Tuttavia, il tema PIWI non lascia in pace Pojer & Sandri: nel 2014, hanno avuto la visita di un professore della Cechia, Zdenek Habrovansky che accompagnava un gruppo di viticoltori slovacchi.
Il professore regalò a Pojer una bottiglia di vino rosso PIWI della varietà Sevar. Assieme a Vaclav Krivanek e Alois Tomanek, Habrovansky aveva ottenuto la varietà nel 1964. La degustazione fu per i Pojer & Sandri un colpo di fulmine: un anno dopo, tutto il personale di Faedo andò a trovare Habrovansky nella Repubblica Ceca. Da lì, portano a casa 100 tralci di Sevar e li innestarono su altrettante vecchie viti. Nel 2016 fu possibile raccogliere 200 quintali di uva e ottenere 101 bottiglie di un rosato che venne spumantizzato sullo stesso stile dello Zero Infinito.
Il prototipo di questo Zero in Rosa profuma di rose, fragole, frutti di bosco e lamponi e ricorda vagamente il Brachetto. Poiché l’acidità è inferiore che non nel Solaris, si sono lasciati solo quattro grammi di zuccheri residui, abbinati a tannini morbidi, ma prominenti. Questo primo tentativo ha talmente colpito che quest’anno sono state messe a dimora altre 2000 barbatelle e nel 2018 si investiranno ulteriori tre ettari, sempre a monte di Grumes, vicino al vigneto di Solaris. A quasi dieci anni dalla visita del professore ceco, la prima edizione dello Zero in Rosa è pronta per la vendita.
Nella ricerca di resistenti alle malattie per varietà adatte ai i vini di qualità, i viticoltori stanno per lo più ancora sulle loro. A dire il vero, si potrebbe pensare che la società civile dovesse avere interesse per una viticoltura senza veleni, ma in realtà non se ne ha sentore. I PIWI meritano la nostra attenzione, come i pionieri che si prendono cura di loro.
[ VERSIONE ORIGINALE IN TEDESCO: 9 – 10 – 11 ]
Enologo, direttore del Comitato Vitivinicolo Trentino fra gli anni Settanta, Ottanta e Novanta, già membro del CdA Fem e vicepresidente di UDIAS, l’associazione degli studenti di San Michele, ed ex capitolare della Confraternita della Vite e del Vino di Trento. Largo ai giovani.