C’è un grande sogno che attraversa le campagne (e le città) del Veneto e del Friuli: è l’idea ossessiva e ossessionata e ossessionante dello sviluppo e della crescita. Un sogno affidato, questa volta, alla viticoltura. La performance dell’universo prosecchista e i successi internazionali del Pinot Grigio hanno riaccesa la miccia di una grande e implacabile corsa verso il futuro. Forse senza freni, forse disordinata, forse contraddittoria. Ma una corsa positiva, ottimistica, felice, verso l’orizzonte del domani. È il modello Nord – Est , un anti-modello secondo qualcuno, che negli anni Ottanta vide nascere e crescere officine e laboratori in ogni garage, in ogni cortile e in ogni sottoscala. E che oggi affida la sua idea di futuro (e di schei) alla miniera e al miraggio concreto della vigna.
Leggo sul Corriere Vinicolo che nel 2016 il Veneto ha chiesto di crescere del 105 %, presentando domande di impianto per 90.000 ettari (il vigneto attuale è pari a 84.000 ettari). L’aspettativa di crescita del Friuli, allo stesso modo, è stata del 117 % (richieste di impianto per 29.000 ettari contro una superficie vitata di 24.000). Un’accelerazione vorticosa e gioiosa verso la viticoltura trainata dalla locomotiva Pinot Grigio&Prosecco, di cui mi pare difficile trovare precedenti. Segno di una società svelta, dinamica (ubriaca?) e pronta a cogliere le opportunità e a graffiare il miraggio della lotteria delle quote di impianto contingentate.
Il 2016 ha fatto registrare forti tensioni verso la crescita, oltre il 15 % il rapporto fra richieste di nuovi impianti e vigneto in essere, anche in Molise, Puglia ed Emilia Romagna.
A livello nazionale la percentuale media fra le aspettative e la superficie vitata è stata del 25 %; un numero che, se depurato dalle strabilianti percentuali veneto – friulane, si stabilizza attorno all’ 8%.
Il Trentino, invece, anche da questo punto di vista appare in affanno e sarebbe interessante indagarne le ragioni (o forse lo abbiamo già fatto?): fermo all’1,8 %, meno della metà dell’Alto Adige (4,5 % ). Ma qui bisognerebbe aprire un altro capitolo. E invece per oggi, basta così.
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.
E però è comunque una MOSSA, rispetto ad altri territori (in altre realtà merceologiche, però) che troppo spesso stanno fermi o fanno harakiri.
si ..comunque sia.. è il ritratto di un settore dinamico, capace di riconvertirsi e dicontinuare a sognare… è una comunque una bella mossa ..appunto..
Esatto: proprio questo mi piace molto, e fa seriamente riflettere.
in realtà qualcuno dice anche spesso dietro a queste dinamiche disaggrate per distretti..ci potrebbe essere anche la disperazione dovuta alla riduzione delle marginalità prodotte dalle altre colture. e quindi si tratterebbe di una sorta di ultima mossa, disperata appunto, che passa attraverso la riconversione delle colture.
Tutto ciò è impressionante e, devo dire, anche piuttosto entusiasmante.