Gli elementi si scateneranno più tardi: per il momento, a Grumello del Monte, c’è un magnifico cielo azzurro e una piacevole brezza primaverile.
È il tardo pomeriggio di venerdì e sta per iniziare la seconda edizione di Valcalepio en primeur. Ho trovato sul posto Gianni Longoni e Ornella De Boni, rispettivamente delegato e consigliere Fisar Milano; insieme andremo nelle scuderie del castello, tra un elmo e un’armatura, ad ascoltare Ian D’Agata che parlerà di Valcalepio e Marshall McLuhan.
Guarda agli USA, D’Agata, perché, dice, il solo Stato di New York in un anno compra più bottiglie di vino di tutt’Italia; e guarda ai millennials.
I millennials sono il secondo segmento negli USA di consumatori dopo i baby-boomers, ma sono anche quello che registra la maggiore crescita. Decidono sulla base delle cultivar e della regione di provenienza, non della denominazione; si informano sul vino per mezzo delle app sugli smartphone, cercano vini con una storia, non si fanno impressionare dai grandi nomi anzi cercano bottiglie poco note (se non fosse per la carta di identità, sarei anch’io un millennial).
Spendono meno: per il momento. Ma sono i consumatori del futuro.
Considerata l’immediatezza dei canali a disposizione e la tendenza dei millennials al “tutto e subito” è importante il messaggio con cui ci si propone loro. “Vino” e “territorio” sono due messaggi che hanno bisogno di: precisione, caratterizzazione, diversificazione.
Precisione, che vuol dire ad esempio non disorientare il consumatore con grande variabilità del prodotto. Nel caso del Valcalepio, questo vuol dire per esempio mantenere percentuali di Cabernet Sauvignon e Merlot coerenti con quello che si attende il consumatore sulle due tipologie Valcalepio Rosso e Riserva.
Caratterizzazione: i vini devono avere una loro riconoscibilità, varietale e territoriale, una “valcalepiosità” che li contraddistingue, in questo caso. E sappiatelo, ci ho messo un pochino a riprendermi da questo terrificante neologismo.
Champagne e Borgogna vanno bene anche perché sono sempre uguali a sé stessi, non solo perché sono ottimi vini, dice D’Agata.
Infine, la diversificazione. Ma non si deve diversificare il messaggio-vino, si deve diversificare e fare apprezzare il messaggio-territorio. Sfruttare l’opportunità di un blend unico per i vini bianchi (pinot grigio/pinot bianco) ad esempio.
Dopo l’introduzione di Ian D’Agata passiamo ai vini en primeur.
Una prima considerazione generale: ma quale en primeur, nove su dieci sono già pronti da bere. Può essere che dipenda dall’annata; sta di fatto che c’è qualcosa che ha regalato a questi vini tannini più morbidi e profumi maturi.
Ad esempio il Donna Marta rosso 2016, 70% Merlot e 30% Cabernet Sauvignon, vinificato e poi passato in tonneau, è già morbido; e in fondo ai profumi di frutti rossi si sente un accenno di tabacco.
Il Valcalepio rosso riserva di Le Corne, 50% Cabernet Sauvignon e 50% Merlot, ha un intenso profumo di fragola matura, quasi già si intravede la confettura; inoltre sentori di peperone giallo. Anche qui, è un vino praticamente già pronto da bere.
Il “Canto Alto”, Valcalepio rosso riserva di Cascina del Bosco accoglie con un bouquet complesso dove spicca la pietra focaia.
Il “Ronco di sera” di Sant’Egidio si presenta enigmatico, ha un curioso sentore che non riusciamo a decifrare compiutamente. Qualche cosa che ricorda il pane tostato, o forse del peperone molto maturo. Stesso profumo anche nel “Atto a Valcalepio” rosso doc biologico “Rosso del lupo” di Tosca. Nel primo caso 40% Merlot e 60% Cabernet Sauvignon, nel secondo 75% – 25%.
Il “Soffio del Misma” di Pecis, IGT Bergamasca, oltre a Cabernet Sauvignon e Merlot in parti uguali ha il 10% di Franconia. Ciliegia e origano tra i suoi profumi.
Infine, i padroni di casa, con il Colle Calvario Valcalepio rosso riserva del Castello di Grumello. Un bellissimo pepe bianco per un vino che, come quello precedente, è uno dei pochi che secondo me hanno bisogno di affinamento nel tempo, almeno due o tre anni: e trattandosi di anteprime, non è una cosa bizzarra, anzi.
Al piano superiore ci sono i vini pronti. C’è un bel blanc de blancs, il Petra Aeterna di La Rocchetta, molto morbido, si sente che è 100% Chardonnay. Un po’ meno convincente per me, sia pur piacevole ma un po’ sottile, il Cretarium Brut Rosé, Merlot 100%, altro metodo classico; anzi, l’unico metodo classico da uve Merlot, mi dicono.
Tra i prodotti dell’azienda ci sono un Étoile (blanc de blancs) e un Étoile Rosé, impreziositi rispettivamente con 100 milligrammi di oro 23 carati e 100 milligrammi di argento. Non li ho assaggiati, ma diffido un po’ di certe trovate. Sono all’antica, secondo me il vino dovrebbe parlare da solo.
Marta Mondonico, la proprietaria de Le Mojole, propone qualcuna delle ultime bottiglie di “Donna Marta” conservate gelosamente dagli anni precedenti: si sono vendute tutte e se non ho capito male pure questo en primeur è tutto prenotato. Il vino mantiene l’eleganza che promette da giovane, con bei profumi di frutti rossi, qualche nota di tabacco e speziatura leggera. Ma la signora ha da raccontare storie in abbondanza e meriterebbe un post tutto per lei.
Il Colle Calvario Valcalepio Rosso Riserva del Castello di Grumello si conferma un vino che dà il meglio di sé con il tempo. I tannini sono morbidi ma ben presenti, ci sono spezie in evidenza e un leggero aroma di vaniglia.
Caminella propone il Goccio di Sole, 100% Moscato di Scanzo. More, ciliegie, confetture ma anche leggero cioccolato e caffè per questo passito.
Oltre ai vini ci sono i buonissimi caprini de Lavialattea di Brignano Gera d’Adda, il grana dell’Agricola San Giorgio di Cividate al Piano, i formaggi di bufala della Azienda Agricola Gritti di Cologno al Serio; poi i salumi di Edoardo Gamba di Villa d’Almé e quelli del podere Montizzolo di Caravaggio.
Erano mesi che venivo descritto da un Lorem Ipsum e non mi decidevo mai a cambiarlo. Un po’ per pigrizia, ma anche perché mi piaceva che a descrivermi fosse un nonsense poetico, che parlava di un luogo remoto, lontano dalle terre di Vocalia e Consonantia … oggi però sento che è venuto il momento.
Lombardo di nascita e residenza, trentino di origine e di cuore, qualche affetto mi lega anche al Piemonte. Di mestiere faccio altro, il consulente di ICT Management; fino a non molto tempo fa il vino lo ho frequentato solo dall’orlo del bicchiere.
Conosco Cosimo Piovasco di Rondò da quando eravamo bambini; un giorno ho cominciato a scrivere su Trentinowine, per gioco, su suo suggerimento, e per gioco continuo a farlo. Seguo il corso di sommelier della FISAR Milano, divertendomi un sacco.
Più cose conosco sul vino, meno mi illudo di essere un professionista o un esperto. Qualcuno, ogni tanto, dice di leggermi e di apprezzare questo mio tono distaccato; io mi stupisco sempre, sia del fatto che mi leggano, sia che apprezzino. E ne vado fierissimo.