Gli enologi trentini hanno organizzato la giornata pre vendemmiale 2017, un appuntamento tradizionale per fare il punto su un’annata un po’ disgraziata, fra gelate e andamenti meteorici avversi culminati con grandinate che qua e là hanno colpito duro. È anticipata la vendemmia, come succede da qualche anno e questo non è necessariamente un male, anzi. Ne ricordiamo poche di raccolte senza problemi e questa, in definitiva, è la caratteristica del nostro territorio, il prezzo che si paga alla nostra biodiversità. Fra un mese o poco più tutto sarà finito e si parlerà della qualità dei vini nuovi che, come sempre, riserveranno anche piacevoli sorprese. Lo scenario, del resto, non pare riservare grandi sorprese in negativo, si procederà tenendo d’occhio i mercati sfruttandoli al meglio con le nuove denominazioni globalizzanti.
Siamo, infatti, una rotella piccola nello scenario mondiale – pur con aziende che sparano milioni di pezzi – ma ci siamo rimpiccioliti anche sul piano locale, dove il discrimine non è tanto il prezzo della bottiglia (che pure fa spesso il paio col prezzo del kg d’uva), ma sono piuttosto le qualità del vino legate al territorio. E con questa, la qualità percepita che contiene tanto l’orgoglio del produttore quanto l’emozione del consumatore. In definitiva, sappiamo bene che è qui che manchiamo, gravemente e pesantemente.
A primavera, con la ripresa vegetativa, gli enologi trentini si erano fatti parte diligente nell’affrontare la questione producendo uno schema di Piano poliennale in grado di rilanciare una politica di territorio con l’indicazione anche di una tempistica da seguire. Così, tanto per non lasciare il boccino in mano a chi da anni non fa che chiedere ancora tempo prima di prendere una qualche decisione operativa. Il documento degli enologi è stato conseguentemente affidato al Consorzio Vini, affinché ne definisse i contenuti integrando con propri esponenti il gruppo di lavoro.
Orbene, sta finendo anche l’estate e da quel consesso giunge notizia che se ne è parlato, non già per designare delegati, ma per indicare una via che evidentemente si giudica innovativa.
Dove sta l’innovazione? Nel passaggio alla DOCG di qualche tipologia locale. Ovviamente lo spumante Trento, il nobile Vino Santo e il Teroldego rotaliano. Trentino non pervenuto.
Detta così, parrebbe buona, almeno come partenza. In realtà non ci vuole molto per capire che questa strategia, gattopardescamente, non porterà da nessuna parte. Infatti, se sul Trento non ci piove (fra i cosiddetti grandi produttori siamo gli unici fermi alla DOC), già col reiterato minuscolo-massimo Vino Santo c’è da chiedersi se ci sei o ci fai, per non dire del Teroldego che dischiude tutti gli scenari potenzialmente più dirompenti.
Una bomba a tempo, pronta a deflagrare al solo sfiorare certe suscettibilità. Col risultato che ancora una volta, diabolicamente, non se ne farà nulla. Visione pessimistica e distruttivamente polemica? Dai ragazzi, non prendiamoci in giro, cominciate ad avere qualche filo bianco anche nei vostri capelli! O forse sono ingenuo io a pensare che che lo scenario non vi sia chiaro o che quella sopra sia l’unica opzione possibile?
Enologo, direttore del Comitato Vitivinicolo Trentino fra gli anni Settanta, Ottanta e Novanta, già membro del CdA Fem e vicepresidente di UDIAS, l’associazione degli studenti di San Michele, ed ex capitolare della Confraternita della Vite e del Vino di Trento. Largo ai giovani.
Ammiro Angelo la tua voglia di continuare a dibattere ma qui non si cava un ragno dal buco.