Un bel tacer non fu mai scritto. Vero, ma spesso ipocrita e soprattutto comodo per alcuni. Sulla questione della cantina Mori Colli Zugna si è ecceduto creando danni ai produttori della zona, di tutto il Trentino e del vino in generale. E non è finita, né finirà presto. Non siamo mai stati di quelli che lanciano il sasso e poi ritirano la mano perché alle critiche sono sempre seguite proposte per raddrizzare le situazioni, auspicando il dialogo dove per troppi anni disinteresse e omertà l’hanno fatta da padroni. Ora un dialogo c’è, ma come in politica, ci si perde in dettagli polemici senza affrontare i veri nodi della questione, non imparando nulla dalle tragiche analoghe faccende che si sono ripetute in anni recenti.
Quella di Mori è infatti una storia che sa di telenovela: il cast è sempre lo stesso come stessa è la location, si alternano primi attori con comparse e per trama un intreccio fra atteggiamenti garruli e grami con vicende, amori e tradimenti, soprassalti e ruzzoloni. Con due produttori: quello del film e quello dell’uva in nome e per conto dei 7 mila che tutti assieme sul set non ci stanno. L’amore è quello per il vino e la rappresentazione da scegliere fra la commedia classica, dove alla fine vissero tutti felici e contenti, o all’americana, dove alla fine arrivano i nostri, o all’italiana, dove un tradimento o almeno un cornetto sempre ci sta. Invece no, qui siamo alla commedia trentina, quella che rischia di trasformarsi in tragedia. Le prime puntate sono ormai datate e il pubblico non se le ricorda nemmeno più. I protagonisti di allora si aggiravano fra Lavis e la Val di Cembra con riprese oltreoceano, poi la location si è trasferita in Vallagarina, a Nomi e Avio, con puntate anche lì in Sicilia e su piazze improbabili, con i parenti a guardare e malignare, tanto per mettere un po’ di pepe nella trama. In platea un pubblico passivo, qualcuno annoiato altri preoccupati, tenuti sulla corda in attesa della puntata successiva, pronti a perdonare qualche malefatta. Sullo sfondo, invisibile, il produttore – quello del film – che si frega le mani soddisfatto per l’audience. Tanto gli basta, lui deve continuare a lavorare e incassare.
Pensare a Mori senza considerare il recente passato non è cosa buona e giusta perché i produttori che negli ultimi 15 anni hanno perso milioni dalle liquidazioni per le vicende pregresse sono ormai centinaia e centinaia. Diluiti nel tempo, a fatti e fattacci, si fa il callo specie se non si è stati direttamente toccati dagli eventi. Certo, tutti convengono che il ventaglio dei buoni vini trentini (brand di territorio) è sparito dal radar, tanto nella GDO quanto e soprattutto dalle carte dei vini dei ristoranti e dagli scaffali delle enoteche. Ma cosa sarà mai? Quando vengono questi cattivi pensieri è pronto l’articolo del successo dell’una o l’altra referenza, del concorso vinto da quella ditta o dalla cantina talaltra. Il focus si è lentamente spostato dall’immagine e notorietà del Trentino nel suo insieme al successo dei pochi brand aziendali. E ci mancherebbe anche che questi pochi – in regime di semi monopolio – non facessero bilancio! Certo che lo fanno e gli utili in crescita si liquidano eccome! Tanti o pochi, sembrano sempre tanti quando si legge dei milioni di fatturato … come quando, per tornare a Mori, i 70 mila ettolitri in giacenza sequestrati diventano 7 milioni di litri, tutt’altro effetto, aggiungendo il valore di 30 milioni di Euro! Magari si potesse vendere tutto a oltre 4€/l franco cantina … cifra che non si può non confrontare col ritirato da Cavit (92%) mediamente a 1,90 €/l, né con la vendita di 1500 hl a 30 cent/l e l’acquisto a 1,11€ di altri 600 hl dalla cantina veronese. Adombrando sia una svendita maldestra che l’ipotesi di trasformazione di un vino foresto in un doc trentino, a completare lo scandalo delle vasche piene d’acqua pronte per essere trasformate in vino. Sì, perché questo è quanto resta nella testa della gente che legge i giornali e sente i TG. Colpa di certa stampa pasticciona? In parte anche questo, perché le parole in questi casi, sono pietre che non si tirano solo perché te le ha messe in mano qualcuno. Ma soprattutto va ripercorso e ricostruito lo stillicidio di notizie dalla fonte; da qualche talpa in cantina per lotte intestine o da chi era tenuto a doppia riservatezza, sugli esiti dei controlli tout court e sul controllo ad un associato. Perché di controllato-controllore si tratta, un vulnus storico che ci portiamo appresso da tempo e a cui si è ovviato dopo gli scivoloni sopra ricordati, perfezionando la professionalità degli incaricati al punto da permettere incursioni a colpo sicuro. Ma queste sono solo sensazioni che vengono da una stagione di veleni che è sbagliato giudicare senza guardare al contesto, senza valutare da cosa nasce tutto ciò. I dettagli li giudicherà il magistrato visto che il sistema non è stato in grado di gestirsi altrimenti. E’ su questo punto che il sistema deve interrogarsi, fare autocritica e proporre nuove vie. Non lo ha fatto dopo La – Vis, né dopo Nomi, né dopo Avio, né dopo le numerose crisi di tante cooperative di altri comparti. Lo farà dopo Mori? O rischierà un’altra di scivolata il sistema coop? Il modello cooperativo, magna pars del sistema socio economico trentino, è coperto in alto dagli assessorati alla Cooperazione e all’Agricoltura che sul tema si sono dimostrati costantemente e irrimediabilmente inadeguati, mentre la base è costituita da migliaia di soci ormai abituati a mettere in cima alla scala dei valori la sola redditività. Guadagno come fine ultimo, anziché come conseguenza del modo di porsi.
Una complessità che rende difficile prendere il sacco in cima quando è più facile giudicare uno o l’altro degli episodi. Il sacco in cima – repetita iuvant – si chiama “nuovo modello di cooperazione” essendo il primo di don Guetti ormai superato dai tempi e rottamato anche nei suoi valori fondanti (che vanno invece recuperati), come pure il secondo, quello del consolidamento che ha generato i consorzi di secondo grado diventati monopolistici per competere sui mercati globali. Anche di questi va conservata e sviluppata la parte buona, ossia quella industriale. Industriale è parola che infastidisce chi si veste di ipocrisia, fottua e bastarda, per indossare i panni del cooperatore, comportandosi da industriale, mantenendo i sacrosanti privilegi cooperativi senza il rischio d’impresa. Vien da dire che intraprendere con tali garanzie son buoni tutti, non occorre essere manager illuminati. Scusate lo sfogo, ma l’annoso reiterare di un modello che fa acqua da tutte le parti sulla pelle dei viticoltori induce all’uso delle armi pesanti. Non fa acqua? Certo che sì! Cosa sono i 13 mila €/ha di liquidati ai viticoltori trentini quando in collina corrispondono ai costi di coltivazione? Li vogliamo mantenere alla gogna perché non hanno alternative o sentiamo il dovere di proporre un modello nuovo che salvi l’industria enologica e ridia sviluppo alle politiche di territorio come egregiamente fatto negli ultimi anni a nord e a sud del Trentino?
In definitiva, la vicenda di Mori (e di quelle precedenti) andrebbe vista come nel 1986 fu vissuta quella dello scandalo del metanolo. Per tutti rappresentò una svolta. In l’Alto Adige che vendeva tre volte più di quanto produceva, Durni indicò la via della qualità, solo doc Südtirol sostenendo cantine e vignaioli in sana competizione. In Trentino senza un Durni, la politica lasciò fare alla cooperazione che incentivò i due grandi complessi (ridimensionando il terzo e il quarto sul nascere), complessi che si mossero da industriali, con le cantine ridotte infine a centri di raccolta e con i pochi vignaioli a barcamenarsi alla meno peggio. Ci sono le eccezioni, per carità, ma il grosso è lì a godere dei bilanci in crescendo del duopolio. Se però il risultato di un ventennio sono i 13 mila €/ha con un Trentino vinicolo sparito dai radar, i responsabili devono pensare a un progetto di rilancio o andarsene lasciando spazio alle politiche di territorio, mixando lo sviluppo con le realtà industriali che andranno per la loro strada. Ciò che deve apparire insopportabile è che sull’altare dell’interesse industriale si immoli una vera e diffusa politica di territorio che non può e non deve promanare dai vertici dei secondi gradi, ma svilupparsi dall’organismo deputato zona per zona a tenere le fila dei viticoltori soci, ossia la cantina di primo grado. Questa deve riappropriarsi del suo ruolo storico e offrire nuovi servizi a quella parte di soci in grado di attuare le politiche di territorio, appunto. Agli altri non è chiesto: facciano uva per sostenere le politiche di brand dei grandi complessi e si accontentino dei 2 €/l che l’industria può liquidare. Un tema da riprendere, non ci si scappa, per evitare che fra un paio di stagioni si ripresenti un’altra Mori e soprattutto che non rimanga l’intimidazione ai vertici dei primi gradi, ormai palpabile, ancora una volta giunta dal centro: colpiscine uno per educarne cento.
Fuori che venga il prossimo direttore (e CdA) che voglia cimentarsi nel rilancio del proprio territorio per dimostrare che valorizzando anche una piccola parte delle uve conferite si possono ottenere grandi risultati. Un dato che su Mori ha dato fastidio, troppo pericoloso, meglio intervenire con decisione, costi quello che costi.
Angelo Rossi e Tiziano Bianchi: quattro mani e una sola testa. Raramente scrivono insieme, ma ogni volta che scrivono, separatamente, è come lo facessero insieme. Insommma A.T. o B.R. … vedete voi, comunque attenti a quei due…
buongiorno ,sinceramente a me, guardando alle varie etichette presenti, non pare proprio vero, quello che viene affermato, vedo cantine che promuovono loro vini e loro territori in abbondanza, poi bisogna anche andare a vedere se questa o quella cantina, non abdichi volontariamente questo ruolo di promozione del territorio per vari motivi, (incapacità, mancanza di volontà, mancato interesse, ecc.).
Il problema semmai in questi anni, è stato il contrario con alcune cantine che, parliamoci chiaro, tenevano e ancora tengono, i piedi in troppe scarpe.
Tutto vero, ma mi riferivo al bisogno di rilanciare il Trentino (DOC, con ev. sottozone) e soprattutto ai primi gradi che, per es. potrebbero concordare per l’Ho.re.ca lasciando perdere la GDO, altrimenti si va allo scannatoio… insomma azioni pianificate, condivise e coordinate, non iniziative singole, se no resta solo il brand aziendale con tanti saluti al territorio.
Tutto vero. Mi riferivo al bisogno di rilanciare il Trentino (DOC, con ev. sottozone) e soprattutto ai primi gradi che, per es. potrebbero convenire di spingersi nell’Ho.re.ca lasciando perdere la GDO, altrimenti si va allo scannatoio. Seguendo un Piano condiviso e coordinato, d’intesa anche coi Vignaioli, per evitare che delle etichette – in testa e nel cuore dei consumatori – rimanga solo il brand aziendale. Il territorio è un plus che non si sta sfruttando ed è un vero peccato.
buongiorno ,sinceramente a me, guardando alle varie etichette presenti, non pare proprio vero, quello che viene affermato, vedo cantine che promuovono loro vini e loro territori in abbondanza, poi bisogna anche andare a vedere se questa o quella cantina, non abdichi volontariamente questo ruolo di promozione del territorio per vari motivi, (incapacità, mancanza di volontà, mancato interesse, ecc.).
Il problema semmai in questi anni, è stato il contrario con alcune cantine che, parliamoci chiaro, tenevano e ancora tengono, i piedi in troppe scarpe.
Il Cavallo di Troia… interessante sarà vedere SE e quando il (ex) presidente, i (12) (ex) consiglieri ed i soci si renderanno conto di aver trascinato all’interno delle mura della loro cittadella del vino un mastodontico Cavallo di Troia. Dalle cronache “…e in sala scoppia un applauso liberatorio…” (l’Adige 20.01.18) al termine dell’ultima assemblea, sembra proprio che per il momento nessuno sospetti dell’astuzia degli Achei…
Buongiorno, non ci ho capito molto a dire il vero, provo a spiegarmi e vediamo se parliamo della stessa cosa:
Il sistema attuale non funziona, secondo me, anche e soprattutto perchè, non ha mai chiarito quali siano i giusti spazi dei vari attori in gioco, situazione che al momento non fa che ingenerare confusione e inutili risentimenti.
Quello che auspico io è esattamente il contrario, cioè un sistema chiaro e limpido.
Il secondo grado si occupa della commercializzazione dei grandi volumi.
Il primo grado, come da sua nascita e missione, fornisce al secondo la materia necessaria, per svolgere il suo ruolo, con la necessaria forza e si riserva uno spazio, per promuovere le specificità di un territorio o di un vitigno.
Poi se vogliamo perderci a discutere la grandezza della nicchia, facciamolo pure, ma chiariamo subito che, quella nicchia, non può e non deve diventare una cattedrale.
E se lo vuole fare deve semplicemente scegliere, tutto qui.
Certo, Sandro che parliamo della stessa cosa, anch’io auspico un sistema chiaro e limpido, col secondo grado che si occupa dei grandi volumi e col primo grado … che si riserva uno spazio per promuovere le specificità di un territorio o di un vitigno. Lasciando perdere nicchie e cattedrali, il punto è: “si riserva uno spazio”. Ad es. a Ravina si sostiene che Cavit deve surrogare a ciò che i primi gradi non stanno più facendo, ossia commercializzare con propria etichetta parte dei loro buoni vini (politica di territorio). Duole dirlo, ma salvo eccezioni, è così. La sfida quindi, è per i primi gradi che hanno in mano le sorti di tutto il Trentino visto che hanno in mano oltre il 90% di tutta l’uva.
Il Cavallo di Troia… interessante sarà vedere SE e quando il (ex) presidente, i (12) (ex) consiglieri ed i soci si renderanno conto di aver trascinato all’interno delle mura della loro cittadella del vino un mastodontico Cavallo di Troia. Dalle cronache “…e in sala scoppia un applauso liberatorio…” (l’Adige 20.01.18) al termine dell’ultima assemblea, sembra proprio che per il momento nessuno sospetti dell’astuzia degli Achei…
Buongiorno, non ci ho capito molto a dire il vero, provo a spiegarmi e vediamo se parliamo della stessa cosa:
Il sistema attuale non funziona, secondo me, anche e soprattutto perchè, non ha mai chiarito quali siano i giusti spazi dei vari attori in gioco, situazione che al momento non fa che ingenerare confusione e inutili risentimenti.
Quello che auspico io è esattamente il contrario, cioè un sistema chiaro e limpido.
Il secondo grado si occupa della commercializzazione dei grandi volumi.
Il primo grado, come da sua nascita e missione, fornisce al secondo la materia necessaria, per svolgere il suo ruolo, con la necessaria forza e si riserva uno spazio, per promuovere le specificità di un territorio o di un vitigno.
Poi se vogliamo perderci a discutere la grandezza della nicchia, facciamolo pure, ma chiariamo subito che, quella nicchia, non può e non deve diventare una cattedrale.
E se lo vuole fare deve semplicemente scegliere, tutto qui.
Buonasera io non parlavo ovviamente della nicchia Trentino, per essere più chiari:
Qual’è lo spazio che una cantina di primo grado è giusto abbia a livello commerciale, se inserita in un sistema come quello attuale.
non parliamo di mercato, ma di opportunità e chiarezza, delle rispettive posizioni.
Bene: discutiamo del sistema attuale e se questo sia il migliore possibile per il Trentino. Posto che non lo è per l’evidenza dei dati, lo si può esasperare concentrandosi ancor più sul modello monopolistico o invertire la tendenza mirando ad un maggiore equilibrio fra industria e territorio. In quest’ultimo caso le cantine di primo grado hanno un ruolo cruciale che il secondo grado – per come è concepito oggi – non può sostenere. Lo spazio “giusto” a livello commerciale del primo grado è la risultante dei fattori in gioco, quelli cioè che si debbono movimentare in un Piano di medio-lungo periodo. Senza Piano si naviga a vista rischiando di sbattere. Non so se è chiaro.
Buongiorno, rispondo a Bellacqua:
Il problema è proprio questo, quanto la facciamo grande la nicchia?
La dimensione della nicchia, Sandro, la fa il mercato ovviamente. Il Trentino vinicolo è poco più dell’1% del vino italiano e lo zero virgola di quello mondiale, per cui è nicchia di suo, ma ha alcune delle realtà più grandi e ben organizzate a livello globale che devono per forza lavorare con vini anche non locali. Il problema quindi non è la nicchia (che significa politica di territorio) più o meno grande, ma chi la deve fare per essere credibile e remunerativa.
Buongiorno, rispondo a Bellacqua:
Il problema è proprio questo, quanto la facciamo grande la nicchia?
Buonasera ormai, io ho qualche perplessità su tutto questo discorso, ma se vogliamo entrarci entriamoci pure.
forse il problema, sta alla base di un sistema che non risolve una vecchia ipocrisia, mi spiego;
Sono favorevole alle cantine che cercano di valorizzare i loro prodotti del territorio, è parte del loro compito.
Quello che secondo me non è mai stato affrontato compiutamente, è il passaggio successivo.
Dove si deve fermare la giusta ricerca di un mercato proprio.
Quanto prima di diventare mercato concorrente con il tuo secondo grado?
Mezzacorona ha risolto il problema in radice, magari con poca democrazia, ma sicuramente con maggior chiarezza, Cavit per molti motivi, alcuni sicuramente più nobilmente legati all’ideale cooperativo, no.
Questo secondo me è un errore, non devono esistere zone d’ombra in un rapporto che per definizione deve essere mutualistico e solidale, io non devo chiedermi se quello che tizio mi consegna è il meglio della sua produzione o gli avanzi, ma questo, a voler pensar male, che come diceva colui, si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, è il caso di non poche cantine di quella parte di mondo del vino Trentino.
Ecco forse, e in questo mi ritrovo in alcuni Vostri discorsi, risolvere questo, secondo me grave vulnus, potrebbe far si che davvero le cantine, potessero essere il presidio di territorio, che tutti auspichiamo.
Non so se sono stato sufficientemente chiaro, sono concetti che sono più facili, almeno per me, da discutere che da scrivere, nel caso mi scuso con quelli che non hanno capito.
non esiste alcuna concorrenza tra una cantina che si esprime in un mercato di nicchia (così lo chiama zanoni riferendosi al modello altoatesino) ed una che produce “coca cola dal punto di vista della produzione e della commercializzazione” (cit. adriano orsi) per i mall ‘mericani ed inglesi. L’unica forma di conflitto nasce dal condividere le stesse terre, paesaggi e contadini quindi territorio o denominazione. Non tutti i contadini si sentono pronti a diventare Guaranì del Brasile ma non vorrei si arrivasse comunque alla canna da zucchero, quella simbolica.
https://youtu.be/1PUN99_cADY?t=471
riascoltadno il video orsi usa una ipotetica (chi può modifichi il commento) , ma il significato non si allontana poi molto.
non conoscevo questa intervista. e non conoscevo nemmeno l’altezza di pensiero di Adriano.
Una sorpresa l’Adriano teorico industrialista.
Domani gli telefono e gli chiedo un’intervista .. dopo dieci anni.
ho capito, Sandro. E mi pare che le distanze comincino ad accorciarsi. Mi pare.
Buongiorno, ribadisco il mio commento fatto su questo blog appena successo il “fattaccio”, e aggiungo:
pericoloso e difficile prendere parti in questa vicenda, ma soprattutto, non lasciarsi prendere da simpatie e antipatie, cosa che purtroppo voi non riuscite a fare, in questo caso, non so quanto sia utile una discussione di questo tenore sinceramente, ci sono stati sbagli, errori e un pizzichino di incapacità, ma quello che sicuramente non c’è è un innocente a priori.
Posso anche dire, senza tema di essere smentito, che un Presidente può anche essere una persona di limitate capacità, viene eletto, dai soci! non dai confratelli di una misteriosa setta, ma un direttore che si rispetti certe “furbate” le deve saper fare, perchè è ovvio e giusto che il responsabile sia Lui nel malaugurato caso, purtroppo o per fortuna è pagato anche per questo.
Sarà cinismo a poco prezzo ma questa è la realtà!
Ma ti è così diffficile, Sandro – ma forse dipende dai miei limiti di scrittura di cui chiedo scusa – capire che questa vicenda come altre piu o meno recenti si inseriscono dentro un cotesto più generale. Dentro una dinamica economica di sistema. E che se non si capisce questo, a mio parere, non si capisce nemmeno il dettaglio. E il dettaglio sono i colpevoli e gli innocenti. Questione, quella dei colpevoli e degli innocenti, che, puoi anche non credermi, non mi appassiona. Nemmeno un poco.
Buonasera ormai, io ho qualche perplessità su tutto questo discorso, ma se vogliamo entrarci entriamoci pure.
forse il problema, sta alla base di un sistema che non risolve una vecchia ipocrisia, mi spiego;
Sono favorevole alle cantine che cercano di valorizzare i loro prodotti del territorio, è parte del loro compito.
Quello che secondo me non è mai stato affrontato compiutamente, è il passaggio successivo.
Dove si deve fermare la giusta ricerca di un mercato proprio.
Quanto prima di diventare mercato concorrente con il tuo secondo grado?
Mezzacorona ha risolto il problema in radice, magari con poca democrazia, ma sicuramente con maggior chiarezza, Cavit per molti motivi, alcuni sicuramente più nobilmente legati all’ideale cooperativo, no.
Questo secondo me è un errore, non devono esistere zone d’ombra in un rapporto che per definizione deve essere mutualistico e solidale, io non devo chiedermi se quello che tizio mi consegna è il meglio della sua produzione o gli avanzi, ma questo, a voler pensar male, che come diceva colui, si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, è il caso di non poche cantine di quella parte di mondo del vino Trentino.
Ecco forse, e in questo mi ritrovo in alcuni Vostri discorsi, risolvere questo, secondo me grave vulnus, potrebbe far si che davvero le cantine, potessero essere il presidio di territorio, che tutti auspichiamo.
Non so se sono stato sufficientemente chiaro, sono concetti che sono più facili, almeno per me, da discutere che da scrivere, nel caso mi scuso con quelli che non hanno capito.
Buongiorno, ribadisco il mio commento fatto su questo blog appena successo il “fattaccio”, e aggiungo:
pericoloso e difficile prendere parti in questa vicenda, ma soprattutto, non lasciarsi prendere da simpatie e antipatie, cosa che purtroppo voi non riuscite a fare, in questo caso, non so quanto sia utile una discussione di questo tenore sinceramente, ci sono stati sbagli, errori e un pizzichino di incapacità, ma quello che sicuramente non c’è è un innocente a priori.
Posso anche dire, senza tema di essere smentito, che un Presidente può anche essere una persona di limitate capacità, viene eletto, dai soci! non dai confratelli di una misteriosa setta, ma un direttore che si rispetti certe “furbate” le deve saper fare, perchè è ovvio e giusto che il responsabile sia Lui nel malaugurato caso, purtroppo o per fortuna è pagato anche per questo.
Sarà cinismo a poco prezzo ma questa è la realtà!
Ma ti è così diffficile, Sandro – ma forse dipende dai miei limiti di scrittura di cui chiedo scusa – capire che questa vicenda come altre piu o meno recenti si inseriscono dentro un cotesto più generale. Dentro una dinamica economica di sistema. E che se non si capisce questo, a mio parere, non si capisce nemmeno il dettaglio. E il dettaglio sono i colpevoli e gli innocenti. Questione, quella dei colpevoli e degli innocenti, che, puoi anche non credermi, non mi appassiona. Nemmeno un poco.
Tana chapeau !!!!
em apena scomimnzia….