Questo è il capolavoro sui valori fondiari del vigneto trentino (– 40 % in dieci anni, maglia nera e primato nazionali) prodotto dalle politiche industrialiste e dietettitorializzanti agite da Consorizio Vini del Tentino – quello che ora si aggrappa al salvagente dell’Ape Maia – su mandato degli oligopoli e degli oligarchi cooperativi. Nel silenzio complice della politica provinciale a cui spetta, spetterebbe, un compito di indirizzo. Mai agito.
Fonte I Numeri del Vino su dati Crea. #seguirabrindisi
report integrale su
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.
Buongiorno, no mi spiace non è tutto vero, come vedi i dati sono come il pollo di Trilussa e, solo nella zona Bassa Vallagarina, in questi ultimi due anni stiamo assistendo a una crescita costante delle quotazioni.
Poi se vogliamo entrare più nel dettaglio, si è comperata terra a prezzi che non avevano alcun riscontro con il rendimento della stessa, ed è vero, a differenza di quanto scritto, che buona parte degli acquisti venivano se non fatti, condizionati dalla presenza sul mercato di soggetti, (soprattutto imprenditori edili), con grande capacità di spesa e interessi che, avevano poco a che vedere con le campagna, per capirci compravano, per poi usare la campagna come scambio con i terreni per fabbricare case.
Adesso questo è finito, e mi piacerebbe sapere se gli esperti hanno, nei loro studi, inserito questa variante, molto pesante almeno nella mia zona.
Nella realtà il mercato della terra è difficilmente catalogabile e inseribile in una statistica, dovremo andare comune per comune per capire quali dinamiche muovono quel settore
segnalo l’articolo di Enrico Orfano sul Corrierre del Trentino di oggi.
File Allegato 111141.pdf
Devi bere qualche calice in più e vedrai che incomincerai a capire
ho provato a seguire la discussione e, da profano, non ci ho capito quasi nulla 🙁
cosa non ti torna Alessandro Ghezzer ?
voi siete addentro al settore, ma uno che sta fuori capisce ben poco. Qual è esattamente il problema del settore vitivinicolo trentino… Ci sono stati molti scandali, da Lavis a Zugna, ma c’è un denominatore comune? Abbiamo capito che si è puntato su un modello industriale che premia la quantità, che l’Alto Adige ci sotterra, ma chi sono i responsabili? Non è tanto chiaro…
Alessandro Ghezzer, proviamo a metterla così. E partiamo da quello che possiamo considerare lo spartiacque nel settore vino nazionale: lo scandalo del metanolo. Siamo a metà degli anni Ottanta. Quello fu l’evento shock che costrinse tutti i territori a ripensare il loro modo di produrre vino e di venderlo.
E torniamo in regione: L’Alto Adige, prima, era messo, in quanto a reputazione, qualità, fama, redditività, assai peggio del Trentino: molto sfuso, molti tagli, anche con roba che arrivava dal Trentino.
Ma quello fu un momento cruciale: che impose a tutti un ripensamento. L’Alto Adige scelse senza tentennamenti una politica orientata al prodotto: territorio, qualità, mercato locale (soprattutto turistico) e nazionale. Una strada che ha fatto ricadere il vino alto atesino sotto il marchio – suggestione ad alta affidabilità del Sued Tirol.
In Trentino (tralascio volutamente molti dettagli anche se andrebbero indagati) si scelse una politica assai differente. Apparentemente più facile e in discesa. In capo alla cooperazione vitivinicola di allora c’erano due manager di grande valore, Giacinto Giacomini in Cavit e Fabio Rizzoli a Mezzacorona. Loro intuirono che la strada poteva essere quella di un vino orientato al mercato (contrariamente a quella orientata al prodotto). E il mercato poteva essere senz’altro quello internazionale, quello di oltreoceano. Furono due manager globalizzatori ante litteram (per questo dico sempre che il Trentino del vino ha scoperto la globalizzazione quanto tutti gli altri ancora non se la sognavano neppure): intuirono che il mercato stava diventano global e che poteva offrire grandi opportunità. Chiaramente il mercato internazionale, così lontano, imponeva di puntare su un prodotto immediatamente riconoscibile e quindi poco territoriale il famoso P.G. (hai voglia ad andare a New York e a spiegare cosa è il Trentino…e tutto il resto: quando il prodotto arriva oltre oceano al consumatore finale di oltre oceano e ha superato almeno tre passaggi, delle tue parole, del tuo racconto resta poco.. o nulla). Chiaramente bisognava muoversi, come per ogni merce industriale, sul terreno dei grandi volumi o grandissimi volumi (non a caso i due oligopoli cominciano a lavorare anche su altre denominazioni extraprovinciali: veneto e oltre po pavese per esempio) e su un prodotto ad alta standardizzazione, perché il cliente del discount – gdo che si affida ad un brand aziendale chiede che quel prodotto sia sempre uguale negli anni. In quel momento comincia anche la trasformazione del vigneto trentino: tradizionalmente coltivato a vini rossi (70 – 80 % fino agli anni Ottanta) e rapidamente convertito in un vigneto bianchista (le percentuali di 40 anni fa oggi sono esattamente invertite). Questa è l’origine di tutto, secondo me. Chiaramente, semplificando al massimo e saltando parecchi passaggi. Ma forse così è più chiaro anche ai non addetti ai lavori.
Naturalmente, bisognat anche ricordare che il modello globalista Giacomini-Rizzoli, innescò anche una grande operazione di distribuzione del reddito nelle campagne trentino (finanziato soprattuto con il commercio sulle altre denominazioni). Ci furno anni in cui l’uva Pinot Grigio toccava le quotazioni dell’oro. Mi pare che attorno ai primi anni 2000 si arrivò ad una quotazione media di 220 euro quintale, insomma roba da girare con la scorta armata a difesa dei carri dell’uva. Insomma non fu tutto male, non fu il grande male, o solo male, quella poltica: ma fu una politica con il fiato corto e soprattutto a danno del territorio e della sua reputazione. Ma generò un mare di soldi.
Buongiorno, io non so dove di preciso trovano i dati gli addetti, posso solo dire che, se mi trovate in zona Vallagarina un ettaro di terreno a 160.000€ ,datemi subito il nome del venditore.
Le ultime vendite in zona Ala -Avio che purtroppo (o per fortuna per il giovane contadino che si deve costruire un azienda) non è considerata zona particolarmente pregiata, sono andate tra i 250000 e 350000€.
I dati sono quelli raccolti ed elaborati dal CREA, un ente governativo che mi pare di capire essere informato da principi scientifici.
Poi hai ragione, gli ultimi scambi nel fondovalle hanno fatto registrare vealori fra i 25 e i 35 euro/metro. (in piana rotaliana siamo ancora sui 50).
Ma ti ricordi quali erano i valori cinque anni fa nel fondovalle lagarino? Si scambiava regolarmente a 50 euro /metro. Quindi la parabola discendente mi pare confermata anche li. Sulla media provinciale a 160, poi, credo incida molto anche la fortissima svalutazione che si registra in collina dove gli scambi anche recente sono avvenuti a poco piu di 10 euro. Ma queste cose tu le sai bene. In ogni caso temo che siano destinati ancora scendere, anche in fondovalle, se anche nei prossimi anni verrà confermato un ricavo ettaro medio di 14/15 mila euro ettaro. Con questo ritmo di ricavi l’ammortamento dell’investimento immobiliare diventa secolare….temo.
http://www.crea.gov.it/
È una concausa di una politica che punta al marketing e poco al territorio con vini svenduti a basso prezzo. Ci vorrebbero più qualità, anche meno etichette e meno camion di vino Veneto.
Dove c’era la qualità hanno chiuso i cancelli e azzerato le vendite e distrutto un brand costruito con anni di sacrifici e di produzioni eccellenti !!!
Del forte calo del valore dei vigneti trentini ne abbiamo parlato sull’Adige del 29 novembre scorso. All’epoca Bruno Lutterotti, presidente Cavit e Cantina Toblino, commentò che erano finite “le quotazioni falsate dei terreni degli anni scorsi, quando professionisti o imprenditori edili compravano vigneti a scopi speculativi”. Non saprei dire se avesse ragione, bisognerebbe fare un’inchiesta. Mi domando però: anche dieci anni fa c’erano i consorzi industrialisti e gli oligopoli cooperativi e, viceversa, in questi dieci anni vignaioli e viticoltori “territorialisti” non sono andati indietro, anzi sono cresciuti. Non sono sicuro che si possa fare questo collegamento così diretto tra prezzi dei vigneti, che restano comunque fra i tre più alti d’Italia, e politiche sul vino, indipendentemente dal giudizio che si dà su queste.
il raffronto andrebbe fatto non per province/regioni ma per t. Detto questo, comunque, secondo me il quadro generale ci sta: si, ha ragione Bruno sulla bolla industrialista del pinot grigio molti speculatori ci puntarono (non furono gli edili ma va bene). Ma qulla bolla che ebbe la sua punta massima nel 2002/3, comunque si sviluppava sulle basi di un passato, quello della seconda meta del secolo scorso, che aveva costruito le denominazioni e che aveva investito sulla territorialita. Una fase in cui gli oligopoli si stavano preparando alla grande rapina, ma non la avevano ancora compiuta; ti ricordo che fino alla fine degli anni novanta il settore era governato da un comitato interprofessionale paritetico (sul modello francese della champagne): poi ci fu il colpo di mano in stie golpista e cileno che lo soppresse e lo sostitui con l’attuale consorzio. e da quel momento le politiche oligopolistche degli oligarchi cooperativi ebbero la meglio. così, bolla speculativa compresa, cominciò lo stupro del Trentino. Il risultato è questo, quello descritto da questa tabellina. generica fin che vuoi, ma senz’altro indicativa.
che tristezza …
Questo è un bel post. Con dei numeri sbattuti in faccia, duri come pugni alla bocca dello stomaco. Quando tornerà il fiato si inizierà a riflettere. I numeri nudi e crudi. Bel post…nella sua tristezza.
Già qui (siamo nel 1991) i dati e le motivazioni del persistente impoverimento agronomico del Trentino, dati che agevolano la comprensione anche dell’involuzione successiva.
Pubblicato Quinto, fai una scansione
Tiziano volentieri, dammi un paio di giorni.
Tiziano sto studiando anche questi altri testi
Tiziano
http://www.ansa.it/canale_terraegusto/notizie/istituzioni/2018/02/03/sgarbi-annuncia-al-ministero-della-cultura-farei-un-dipartimento-agricolo-_2083bf8a-bfba-461b-bb69-45d5240e4011.html
tutto è cultur, du du du, da da da ..
Del resto cultura è spesso confusa con coltura. Ci sarà un motivo
E io invece trovo positiva l’attenzione di Sgarbi verso l’agricoltura, avercene di politici così attenti a questo settore snobbato da tutti.
Basta vedere in questa campagna elettorale quanti pensano all’agricoltura…
credo che il nostro dividere per imperare sia da rivedere. Io sono un antiscenografie e incendiario di presepi, ma non si deve mai scordare che l’agricoltura, in ogni sua forma, è politica. E è anche cultura. Se non si riesce a oltrepassare questo ragionamento di porte chiuse si fa la fine di un territorio dove i principi rinascimentali locali si chiudono nel loro palazzo, guardando solo il proprio. Chi l’agricoltura, chi la cultura, chi qualcosaltro. E i gerarchetti funzionari comandano a bacchetta permettendosi di dare solo tre minuti. O no, Tiziano ?
Poi ci manca Sgarbi che ha fatto la sua proposta rivoluzionaria nel merito
quella mi manca…..cosa dice….vittorione?
Se andiamo in una zona francese dove producono “bollicine” l’uva al produttore va da 5 a 12€/Kg. Voi mettere il prezzo all’ettaro del vigneto…. altro che banane in Groenlandia. In quella zona francese i vignaioli spolverano a mano ogni singola foglia delle loro vigne una volta alla settimana.
In realtà la comparazione per province non è del tutto corretta: la comparazione andrebbe fatta per distretti/denominazioni. Paradossalmente è verosimile per il Trentino e per l’Alto Adige che sono coperti, quasi esclusivamente, da una sola denominazione (trentino doc e alto adige/suedtirol doc). Nelle altre grandi regioni del vino su una stessa provincia insistono numerose doc/docg. Quindi, per esempio, mentre la media di Cuneo è di 130 mila, quella del distretto del Barolo si avvicina al milione di euro ettaro. Cosi in Veneto, dove il distretto della Valpolicella dell’Amarone ormai è oltre i 600 mila. Insomma il confronto fra province è una semplificazione. Corretto sarebbe il confronto fra denominazioni. Ma in Trentino la denominazione onnivora è solo la doc trentino, quindi ci sta, è abbastanza rappresentativa. Così come è raippresentativo il precipizio in cui la hanno affossata le politiche industrali provinciali.
Se si volesse provare a leggere i dati per “efficacia e responsabilità politico amministrativa”, questi andrebbero aggregati sugli enti titolari della competenza di settore, vale a dire le distinte provincie di Trento e Bolzano e le regioni per il resto d’Italia.
Se vuoi ci sono anche i riscontri regionali.
Quindi il Trentodoc (rigorosamente scritto tuttoattaccato) non ha portato (finora?) gli effetti desiderati sui vigneti.
Chissà se ci riuscirà il Pinot Grigio?
Oppure ci toccherà puntare sul Prosecco?
secondo mi el gheva resom el vecio Zeremia…..mejo ‘mpiantar banane….
Se vediamo il prezzo medio dei vigneti in provincia di Treviso direi che vendere l’uva bianca nostrana ai proseccari conviene.
La prima cosa che balza all’occhio mio profano è l’incredibile differenza di valore tra vigneto Trentino/Bolzano e gli altri. Perché?
Alessandro riesci a trovare al supermercato una bottiglia di vino Altoatesino a meno di 7€? Escluso il sottocosto dove il commerciante può tranquillamente vendere in perdita secca
13k euro media ettaro in trentino 26k euro ettaro bolzano
e le chiacchiere stanno a zero.