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vino coop: avanti con la Quaresima…..
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fra l’altro vedo che si tratta di annata 2017…, avanti tutta ..avanti tutta…soprattutto con gli autoctoni….bravi…bravi…i manager della cooperazione cavitiana.
Poi vedo anche il cabernet di lavis ancora più giù con il marchio Trentino in etichetta…. ecco..almeno…trentino marketing quando concede l’uso del marchio trentino dovrebbe imporre un statuto di protezione. Ma chiaramente non lo fa…e intanto il territorio va a puttane. (grazie per la foto)
in tutta onestà credo che la vocazione vitivinicola trentina debba essere ricondotta dentro le sue mediocri potenzialità.tolte le ecellenze di alcuni trento doc,e pochi altri prodotti,non mi esalterei troppo ad elogiare i vini rossi anche se autoctoni.nel panorama mondiale non reggiamo il confronto e alimentare false nobiltà è come far credere ad un asino di essere un cavallo.tutto sommato prezzo su,prezzo giù è fin troppo alto il reddito che la vitienologia trntina ha garantito in questi anni.considero il vino un piacere,ma sopratutto un alimento , perciò se il prezzo è a portata di molti e il vino è onesto e mediamente buono ben venga. l’agricoltura trentina di fondovalle è di fatto una monocultura,anche marginale rispetto al contesto nazionale,ma pur sempre,a mio modo di vedere ,assurda.faccio una fatica terribile a concepire riduzioni di produzione per elevare la qualità di un vino che nonostante tanti sforzi in ogni ambito,non emerge e non regge il confronto di vini prodotti in zone molto più vocate.perciò si coltivi pure la vite e si produca tutto quello che il disciplinare consente,ma in tanti terreni si diversifichino le coltivazioni,non c’è che l’imbarazzo della scelta e ci si accontenti dei redditi che da queste se ne traggono.io credo che alla lunga ne beneficerebbe tuuto il territorio e la qualità della vita sarebbe milgliore.questi però sono liberi pensieri leggeri di chi si può permettere di far volare la fantasia e illudersi di avere la soluzione in tasca. a tutti buona discussione!
Non sono per niente d’accordo con questa visione minimalista e, mi sia permesso, qualunquista della vitienologia trentina. Da che mondo è mondo, le uve e i vini migliori (e non solo) nascono dove la coltivazione è più difficile e questo vale anche per i rossi. Che, salvo eccezioni, in Trentino si sia imboccata la via delle grandi produzioni industrializzate che garantiscono un certo reddito è un fatto, ma da qui a dire che il territorio non sia vocato per le alte e altissime qualità …
Il problema quindi, è l’uomo e cosa intende fare del suo territorio. Può accontentarsi di rimanere asino, aspirare a diventare cavallo e financo purosangue: storia e ambiente lo consentirebbero.
d’accordo o no,la mia non è una visione ne minimalista(o pensa signor rossi che da una quantità esagerata di doc,per un lembo di terra sottilissimo,si possano ottenere un esagerato numero di vini tutti ad alti livelli?)ne qualunquista(io non ho nessun preconcetto polemico nei confronti dei vini trentini;dico solamente che per un territorio così fragile come il nostro,tanto da stare in piedi grazie anche a contributi esterni è rischoso e immorale fondare un economia su una monocultura.
Certamente non è la sera giusta, ma faccio fatica a seguirla, Cersare. Dicevo che il Trentino è vocato di suo, non è merito dell’uomo. L’uomo lo può utilizzare e valorizzare al meglio o banalizzarlo con le monocolture tanto da aver bisogno dei contributi esterni, come li chiama lei. Tutto qui.
Su molti punti non posso che essere pienamente d’accordo. Il Trentino non ha un territorio dalle caratteristiche così speciali da essere in grado di sostenere 10.000 ettari di vigneto, 1,2 milioni di quintali di uva e 800.000 ettolitri di vino di pregiata qualità all’anno. Tutt’oggi si persevera con un’altra narrazione ma la cruda realtà è questa! Dalle «proprietà agricole collettive» (tipo Kolkozy), esce quel tanto che basta per vivere decorosamente. E mi pare che qui ci siamo. Se si vuole produrre principalmente vini di qualità allora bisogna essere drasticamente selettivi sulle zone e disciplinari-protocolli di produzione e se si vuole diventare ricchi, famosi e circondati da oggetti e prodotti di alta qualità (vedi Opera) allora bisogna cambiare testa e ideologia, il privato deve rischiare di suo (o della banca e dei creditori) e investire ingenti capitali.
Se penso alla parabola dei talenti, in Trentino di cristiani veri (che non si accontentano) ormai ne restano pochi. “Quel tanto che basta per vivere decorosamente” riguarderebbe oltre il 90% dei produttori, ma fra costoro molti potrebbero far fruttare ben diversamente i loro talenti. Ovviamente cambiando la testa, come dice lei, e facendola cambiare al management cooperativo, come aggiungo io.
Purtroppo è la prima volta che sento il termine «management cooperativo». Mi potrebbe illuminare? Grazie
Non l’ho inventato io, ma è un ossimoro, ossia una contraddizione in termini. Management, infatti, sta per gruppo di dirigenti e come tale si muove in totale autonomia per raggiungere gli scopi fissati dagli amministratori. È la colonna portante del modello industriale. All’opposto, cooperativo significa condivisione fra tutti delle scelte lungo la filiera e per questo con responsabilità limitata. Per stare sul mercato le coop. devono verticalizzare, mettendo le sorti in mano a un dirigente che decida in funzione – sopra tutto – del bilancio. Alle politiche di territorio, ad es. dovrebbero pensare gli amministratori mettendo vincoli al manager. Se ciò non avviene (se non a parole) i bilanci potranno anche essere positivi, ma il territorio (patrimonio del viticoltore) perde valore. In definitiva, se si svapora il marchio territoriale al produttore non resta che sperare nelle fortune del marchio aziendale (brand) per avere una liquidazione decente. Dove decente è il massimo, perché un bravo manager … beh, credo non serva continuare: la commistione dei ruoli porta all’ossimoro.
Appunto. E’ una contraddizione in termini. Il management di un’azienda o executive management (dal direttore generale o amministratore delegato in giù) si occupa di ottimizzare l’azienda che gli è stata affidata e le materie prime (uve, mosti, vini) che gli vengono conferiti. Normalmente (con qualche poco edificante eccezione vedi ad es. precedente Lavis) non ci dovrebbe essere commistione con gli organi sociali. L’executive management non è ne socio ne conferitore dell’azienda per cui lavora e non ha alcuna autorità per entrare nel vigneto dei soci conferitori a dare ordini. L’executive management prende ordini dal consiglio di amministrazione. Spetta agli organi sociali decidere che indirizzo dare alla propria azienda. Gli organi sociali sono: l’assemblea dei soci, il consiglio di amministrazione, in comitato esecutivo nel caso venga istituito e il collegio dei sindaci. Sono gli organi sociali a decidere se voglio produrre vini tipo Lambrusco o tipo Brunello di Montalcino. Sarebbe ora di essere chiari su questo spartiacque delle responsabilità. Se gli organi sociali sono composti da contadini con scarsa o nessuna preparazione, bravi ingegneri civili debordati in politica locale, insegnanti di scuole medie, raccomandati, figli di personaggi influenti, amici dei politici di turno ecc. beh… poi bisogna anche accontentarsi del raccolto di fine anno, sopratutto se è quanto basta per vivere decorosamente. In tante altre regioni è andata e va anche molto peggio dove, per non aver saputo scegliere la strada, sono in balia degli eventi e dei commercianti truffatori di turno. Qui almeno l’industrializzazione funziona. Si vuole sviluppare anche la produzione di nicchia e di pregio? Benissimo, ne saremmo tutti felici. Delle sgangherate proposte dell’assoenologi locale (titolate TRENTINO: LA RIVOLUZIONE DEGLI ENOLOGI dal ns Cosimo Piovasco di Rondò… lui sogna sempre la rivoluzione, in Trentino poi, poveraccio…) salvo solo questo: «…Il nostro sistema poggia su ca. 150 Aziende vitivinicole, una quantità troppo esigua rispetto a quella dei competitor territoriali in Italia e all’estero, per cui ne va triplicato il numero nel medio-lungo periodo con incentivi concreti (start up e sburocratizzazione) e più innovative attività organizzative (intese di distretto fra Cantine di primo grado e Vignaioli)… ». Si parta da qui, dai privati che vogliano specializzarsi nei prodotti di nicchia dandogli il supporto necessario e si risparmi l’executive management almeno dall’unica colpa che non ha.
http://www.trentinowine.info/wp-content/uploads/2017/06/AEEI-TN-SITUAZIONE-E-PROSPETTIVE-DEL-SETTORE-VITIVINICOLO-TRENTINO-1.pdf http://www.trentinowine.info/2017/06/trentino-la-rivoluzione-degli-enologi/
La ringrazio Claudio..per avermi riconosciuto lo status di sognatore rivoluzionario. E anche quello di poveraccio. Queste aggettivazioni pronunciate da un cantore dell’efficientismo capitalistico come Lei, mi riempiono di orgoglio. E le considero una medaglia.
L’efficientismo industriale è stata la migliore risposta possibile guardando la realtà. Quale realtà? Quella della viticultura ed enologia trentina degli anni ’90 misurata su scala nazionale ed internazionale. Nessuno se la ricorda più?
«…Cosimo Piovasco di Rondò, primogenito di una famiglia nobile tristemente in ritardo sui tempi…» https://it.wikipedia.org/wiki/Il_barone_rampante . Forse Italo Calvino sarebbe rimasto più distaccato dal suo personaggio.
Mi par di capire, Claudio, che per lei il nostro management stia solo eseguendo ordini. Io credo invece che proponga-imponga strategie per fare bilancio, ossia mano libera per acquisti dov’è più conveniente. Sacrificando il territorio. Per forza che l’industrializzazione da noi funziona. Accetta le politiche di nicchia, ma si guarda bene dal coinvolgere il primo grado, lasciando liberi (ci mancherebbe) i Vignaioli di farsela. Si capisce che non condivide la “sgangherata” proposta degli enologi che sul punto,(dolente) invece è molto chiara: sta in piedi solo con la collaborazione fra primo gradi e vignaioli. Non è forse chi ha oltre il 90% che deve darsi una mossa? Dove sono i manager illuminati al punto da “aiutare” i CdA a orientarsi in questa direzione?
parliamo anche di altri prodotti trntini: paghiamo giornali locali e canoni tv per leggere articoli e ascoltare servizi spesso da seria c del giornalismo.almeno il vino trentino nella media è buono e corretto.
il vino trentino è buono e spesso buonissimo. E di sicuro corretto come dici tu.
Ma qui si voleva solo mettere in evidenza la fascia di prezzo che pare davvero bassa, soprattutto per gli autoctoni (marzemino e teroldego) che forse meriterebbero di essere trattati meglio e di non venire inseriti nel paniere di queste offerte così spinte.
Ti prego, dimmi che non è un Teroldego Rotaliano DOC 2017 già scontato. Nel caso menti =).
no..non credo….sarà un 2016. ma..farò contrllare…l’assortimento….sullo scaffale…
Prova a metterla in altri termini per i prezzi dei vini trentini. Visto che Trento è la terza città dove il costo della vita è più cara, i cantinieri rafforzano il nostro potere d’acquisto.