Meglio il peggior vino del contadino del miglior vino d’industria
(Luigi Veronelli)
Prendo a prestito le parole dell’Anarchico Maestro, non per dire che questo, quello che sto per raccontare, è il peggior vino contadino che mi sia mai capitato di bere (e, detto fra di noi, me ne sono capitati tanti, fin troppi, e tanti, sempre detto fra di noi, me li sarei felicemente risparmiati); ma, al contrario, per segnalare che questo vino, quello che sto per raccontare, è senz’altro migliore di molti, moltissimi, vini industriali ottenuti da varietà Merlot. Una delle uve più globalizzate, standardizzate, mercificate e bistrattate della storia senza tempo, e non sempre nobilissima anzi spesso volgare e blasfema, del vino moderno. Del vino senz’anima destinato alla beva di massa nelle orge consumistiche della grande distribuzione.
Ah sì, perché questo vino, non lo ho ancora detto, è un Merlot. Un Merlot contadino figlio delle colline di Isera, in Trentino. Un Merlot d’autore. Anche se siamo lontani da Pomerol. E anche da Bolgheri. Ma siamo pur sempre vicini ad Aldeno (ancora in Trentino), dove nascono grandi cru di questa varietà declinata sulle Alpi.
A produrlo, dalla vigna alla cantina, un uomo appassionato e innamorato della terra, la sua terra, e della varietà, questa varietà, il signor O.L. . Che non conosco personalmente. Ma che il suo vino, almeno quello che ho bevuto l’altra notte, mi suggerisce essere contadino per vocazione e per istinto di vita; un piccolo e umile custode della vigna che produce vino per condividerlo gioiosamente e gelosamente con pochi e fidati sodali, negli scampoli di giorni felici e di attimi malinconici.
Mi è capitata fra le mani casualmente, perché regalatami da un amico nel giorno di Pasqua, una bottiglia anonima. Senza etichetta. Tutto il resto lo ho scoperto dopo, domanda dopo domanda al generoso amico che me ne aveva fatto generoso dono nel dì della liberazione dalla bianca oppressione dell’inverno.
Il tono cromatico è intensamente purpureo e innervato dai riflessi violacei della giovinezza bizzarra e colorata che vuole impressionare al primo incontro. Sul bicchiere osservo ricami densi che anticipano un tenore alcolico da andarci con prudenza, anche se poi scoprirò che non è proprio così; il naso inizialmente presenta una trama ridotta e terrosa, che però dopo qualche tempo, il tempo di due chiacchiere, due sigarette e un paio di canzonette di Leonard Cohen (I’m your man e Waiting for the miracle), si apre spavaldamente ai fiori di viola e alla frutta di prugna e di ribes che danza selvaggia su una verdeggiante trama vegetale di erba primaverile appena spuntata.
Il palato dà soddisfazione. La soddisfazione di un vino con l’agilità briosa della gioventù ambiziosa, che va giù con disinvoltura un sorso dopo l’altro e se ne fotte dei limiti suggeriti dal buon senso. Ancora un paio di canzonette, questa volta mi accompagna Neil Young (Harvest e Old man) e una manciata di ottimi taralli (Panificio Riccciotti di Cerreto Sannita), e la bottiglia è miracolosamente vuota. E purtroppo anche i taralli: devo chiedere alla mia Amichetta del Sud di inviarmene ancora e al più presto.
E’ un vino che sa ancora di vino, come deve essere, questo Merlot senza etichetta, concentrato nel succo e anche nell’alcol e che si spalma un po’ oleosamente ma piacevolmente in bocca. La sensazioni leggera di terra appena rivoltata dalla vanga del contadino si inframmezza con una tessitura erbacea lievemente balsamica e mentolata e poi lascia spazio alla polpa di frutta rossa; ancora il ribes e la ciliegia. E poi una manciata di lamponi succosi di sugo che cola sulle labbra.
Non ha ancora raggiunto l’equilibrio, questo Merlot d’autore. L’equilibrio che regala le sferiche rotondità della notte quieta. I suoi tannini sono ancora, e per fortuna, ribelli. Ma è giovane e ha davanti a sé tutto il tempo per guadagnare la sobria maturità degli adulti.
Però è già bello così. E’ già buono così.
Così giovane e così intemperante.
E così sugoso.
(Merlot in purezza – vendemmia 2017 – 13 % vol. – basso tenore di solfiti aggiunti – O. L. contadino in Isera)
Giornalista e blogger con uno sguardo curioso, e a volte provocatorio, verso la politiche agricole; appassionato di vino, animatore di degustazioni fra amici e di iniziative a sfondo enologico, è tra i fondatori di Skywine – Quaderni di Viticultura e di Trentino Wine. Territorialista, autoctonista e anche un po’ comunista. Insomma contiene moltitudini e non se ne dispiace!
Ecco trovare e degustare vini così credo sia molto gratificante!
sì lo è..soprattutto perché si affronta senza soggezione, senza aspettarsi nulla….con disinvoltura e leggerezza