È l’ultima giornata della Douja d’Or. Ero stato alla presentazione a Milano nel 2016 e non ero riuscito ad andare ad Asti in quell’occasione; per qualche motivo imperscrutabile me l’ero persa nel 2017, quest’anno l’ho agguantata per il rotto della cuffia.
La pigra domenica mattina di settembre vale il viaggio da Milano.
In piazza San Secondo, nella cattedrale della Collegiata si celebra la Messa; di fronte, nei banchetti di Piemonte Land, la celebrazione è alquanto più laica e poco meno solenne.
Sono accompagnato da Federico Alberto, che ha curato la comunicazione di questa edizione e di quella precedente; non è sommelier, ci tiene a dirlo. Però ha una ottima pratica di degustazione e conosce molti dei vini presentati in questa edizione, se non tutti. Mi fa da cicerone nella visita.
Al banchetto di Piemonte Land ci sono i sommelier AIS a servire e illustrare i vini. Sono bravi e competenti, in particolare una di loro, Martina Doglio Cotto, è una degustatrice ufficiale e una ricercatrice, soprattutto è un’appassionata; in particolare ha una vera passione per i vitigni dimenticati (o quasi). È andata a leggersi un manuale secentesco di viticoltura per trovare tracce del Freisa, per dire.
Secondo lei, viene vinificato frizzante come vino semplice, da pronta beva per pluridecennale incomprensione, per non dire insipienza: la sua vocazione è quella dell’invecchiamento, dove è in grado di sviluppare profumi e complessità insospettate.
Nel frattempo, abbiamo degustato l’Erbaluce Spumante Turbante di Gnavi 2012. Floreale, con accenno di crosta di pane, fresco, qualche ricordo minerale. Poi, l’Alta Langa Bera Brut 2010. Fiori gialli, frutta gialla molto ben presente, una pesca gialla surmatura che quasi ricorda il mango. Più verticale, e secondo me anche più fine, il Giribaldi 2013, dove è sempre presente la frutta gialla, un leggero ricordo di nocciola, uno sbuffo di pietra focaia.
Ma torniamo ai vitigni dimenticati o quasi. Il Freisa di Chieri Superiore DOC “Barbarossa” 2015 della Azienda Vitivinicola Balbiano ha profumi di lampone, ma anche di cipria (e lo so, non è un descrittore standard: mi spiace); i tannini sono ben presenti, non del tutto addomesticati e fanno pensare che qualche anno di invecchiamento ancora potrebbe riservare piacevoli sorprese. Il Grignolino di Bersano 2017 è di colore rosso rubino scarico (inutile: è un vino di confine, anche se la vinificazione è in rosso ci sarà sempre chi lo considererà un rosato) il profumo è di leggera ciliegia già un po’ evoluta verso la confettura (ma confessano che la bottiglia era aperta dal giorno prima, può darsi che sia per quello). È di color granato, fresco in bocca, con tannini morbidi ma ben avvertibili.
Appena sente parlar di cipria e di miscugli di profumi Martina si scatena a parlare delle sue ricerche, le brillano gli occhi. Ma noi dobbiamo ripartire, ci lasciamo dietro Piemonte Land, Martina e il suo entusiasmo contagioso e rinfrescante e andiamo al padiglione con i vini premiati al concorso della Dojua d’Or.
Gli Oscar sono 36, con almeno 92/100 conferiti dagli assaggiatori ONAV. Poi ci sono le menzioni speciali e i vini premiati (in totale 283 su 864 partecipanti).
Federico mi dice che è aumentato il numero dei visitatori (+ 47% dall’anno scorso: ne è, giustamente, molto orgoglioso).
Diminuisce il numero di bottiglie vendute, a fronte di un aumento del controvalore. In prima battuta verrebbe da dire che è un fenomeno positivo, ma bisognerebbe analizzarlo bene. Spostamento verso l’alto o polarizzazione dei consumi?
Ma torniamo ai nostri vini.
Quando avvicini al naso il Petite Arvine 2017 della Cave des Onze Communes ti rendi conto di aver a che fare con un vino eccezionale. Eccezionale e basta, non so dirvi molto di più: ricordo un’ondata di profumi intensi ma purtroppo qualcosa deve avermi distratto, sugli appunti ho scritto solo “eccezionale”, per i profumi e i sentori specifici mi spiace, ma fate un po’ voi, assaggiate e non vi pentirete. È un vino di montagna, anche nel suo modo di essere. Chi è venuto a ritirare il premio, racconta Federico, pareva un contadino un po’ intimidito da quel clamore attorno al suo vino, un vecchietto d’altri tempi.
Il Valle d’Aosta Torrette Superiore 2016, sempre della Cave des Onze Communes è elegante e austero, verticale, con leggere note speziate su un sottofondo di ribes, un ricordo di rosa canina, un finale un po’ ammandorlato.
Tutt’altra cosa, comprensibilmente, il Castel del Monte Nero di Troia DOCG Riserva 2013 Augustale della Cantina di Ruvo di Puglia, ampio, confettura di ciliegia al naso, more, spezie orientali, qualcosa di balsamico; i tannini sono morbidi e ben evoluti, il sorso è di corpo, pastoso e caldo.
Nel nostro giro passiamo di fronte alla rassegna dei vermouth e delle grappe, curata da ANAG, l’associazione degli assaggiatori di grappa e acquavite. Non ce la posso fare, sarà per un’altra volta; ma i profumi sono intriganti. Però una cosa mi colpisce: ho di fronte Presidente insieme a, credo, buona parte del Direttivo Nazionale e sono quasi tutte donne. Altro che barbuti alpini.
A Palazzo Alfieri c’è la “Douja del Monferrato” che è l’evento enogastronomico dedicato al Monferrato, dove si possono degustare alcuni piatti tipici. Prezzi contenuti, porzioni anche piuttosto contenute, ma buona qualità.
Inoltre si possono, finalmente, degustare dei vini. E che diamine.
Lo Chardonnay Costebianche 2016 di Coppo è profumato di fiori bianchi. Ha qualche sentore burroso; mi viene in mente Lorena Lancia (migliore sommelier d’Italia per FISAR nel 2016) quando diceva di un Pinot Grigio “mi ricorda il Labello”, ecco, anche questo mi ricorda il Labello; e uno sbuffo di minerale.
Il Nizza DOCG 2016 Cipressi di Michele Chiarlo è una Barbera di corpo, profumata, con una spalla acida potente. Non è equilibrata né vuole esserlo, è un bel vino con una spiccata acidità che va abbinato, per esempio, alla terrina di bollito proposta nel menu.
L’Albarossa nasce come incrocio tra Nebbiolo e Barbera, nel tentativo di ottenere i tannini dell’uno e l’acidità dell’altro: come sempre il figlio assomiglia poco ai genitori. L’Albarossa DOC Montald 2015, sempre di Chiarlo, è molto più equilibrata del Nizza. Angelica, con un bouquet ampio di frutti rossi, prugne e amarene, leggermente speziata. Ma il fascino del Nizza, per me, è un’altra cosa.
Pepe, spezie, petali di rosa e ciliegie per il Clasìc 2017, Ruché di Castagnole Monferrato DOCG prodotto da Luca Ferraris. Con gli affettati e i formaggi del Monferrato si accompagna piacevolmente.
Sono le due del pomeriggio ormai; lascio Federico e mi incammino. La domenica astigiana, già pigra, si è fermata del tutto.
Erano mesi che venivo descritto da un Lorem Ipsum e non mi decidevo mai a cambiarlo. Un po’ per pigrizia, ma anche perché mi piaceva che a descrivermi fosse un nonsense poetico, che parlava di un luogo remoto, lontano dalle terre di Vocalia e Consonantia … oggi però sento che è venuto il momento.
Lombardo di nascita e residenza, trentino di origine e di cuore, qualche affetto mi lega anche al Piemonte. Di mestiere faccio altro, il consulente di ICT Management; fino a non molto tempo fa il vino lo ho frequentato solo dall’orlo del bicchiere.
Conosco Cosimo Piovasco di Rondò da quando eravamo bambini; un giorno ho cominciato a scrivere su Trentinowine, per gioco, su suo suggerimento, e per gioco continuo a farlo. Seguo il corso di sommelier della FISAR Milano, divertendomi un sacco.
Più cose conosco sul vino, meno mi illudo di essere un professionista o un esperto. Qualcuno, ogni tanto, dice di leggermi e di apprezzare questo mio tono distaccato; io mi stupisco sempre, sia del fatto che mi leggano, sia che apprezzino. E ne vado fierissimo.