Mi pareva di essere su un altro pianeta, per cui il silenzio era d’obbligo, ma ora a elezioni concluse e con un occhio alla nuova Giunta provinciale è opportuno riprendere il ragionamento sul futuro delle vitivinicoltura trentina.
A chi se ne dimentica volentieri ricordo che abbiamo passato gli ultimi anni sollecitando un dialogo e facendo analisi e proposte all’indirizzo deputato, ossia al Consorzio Vini, dato che l’assessorato provinciale s’era chiamato fuori lasciando fare agli oligopoli. Si è cercato, insomma, di dare voce a chi – intimidito – non parlava.
A lungo non successe nulla, poi alle presidenze di Cavit e Consorzio arrivò Bruno Lutterotti presidente di Cantina Toblino. Uomo aperto al dialogo, promise molto (troppo ?) entrando infine anche nel CdA di FEM e alla vicepresidenza di Federcoop come responsabile delle cooperative agricole sotto la guida di Marina Mattarei.
A parte l’impegno per la sostenibilità e la certificazione delle produzioni (che sarebbero da dare per scontate) e nel mentre sull’onda del successo del Prosecco partiva la Doc Pinot grigio delle Venezie, in Trentino si è accentuato un processo di trasformazione delle Cantine di primo grado in meri centri di raccolta in funzione di Cavit. Il colpo mortale in questa direzione un anno fa, con la vicenda della Cantina di Mori ancor oggi commissariata.
Al palo sono rimasti così il dialogo con i Vignaioli e il rilancio di una politica di territorio.
Il resto è cronaca (si fa per dire) dei giorni scorsi con la rimozione di Lutterotti e il subentro al vertice di Cavit di Lorenzo Libera della Cantina di Avio, vicepresidente, anche, del Consorzio del Pinot grigio Doc delle Venezie.
Cronaca? Ma quale cronaca? Quella velinara dei giornali e tg locali che si sono ben guardati dall’indagare su cosa potesse nascondere la sostituzione repentina di un presidente che pure poteva vantare un bilancio record oltre i 190 milioni? Ma dai, ragazzi, siamo seri.
Il punto primo è quello di sempre, quello che ha caratterizzato la cooperazione trentina dopo l’avvento della globalizzazione e che ha indotto alla concentrazione dell’offerta in agricoltura non meno che nel credito e nel consumo. Per stare sul mercato globale, infatti, non c’è altra scelta e questo si è fatto. Creando oligopoli.
Il secondo punto sarebbe (condizionale d’obbligo) che gli oligopoli (industrie a tutti gli effetti) non necessariamente debbano restare gli unici attori sulla scena vitivinicola, essendoci ottimi spazi su mercati più ristretti anche per piccole imprese, come ad esempio quelle dei Vignaioli e delle produzioni di qualità delle Cantine di primo grado.
Il terzo punto, e qui non siamo più al condizionale, è che fare industria comporta dei rischi e questi vanno ridotti al minimo, per cui si è cominciato col fare “ordine in casa”, ad esempio togliendo di mezzo la concorrenza interna, quella cioè derivante dai propri soci.
A monte, infatti, non essendo mai decollato il progetto Pika, Cavit ha messo le mani sull’assistenza tecnica in campagna, sfilandola a FEM e, sopratutto alle Cantine di primo grado, ossia agli unici soggetti che hanno un diretto contatto con i viticoltori. Più a valle, si sono limitati il più possibile il commercio dello sfuso gestito dai primi gradi e soprattutto il loro imbottigliato di qualità. Salvo sostenere, all’opposto, che è Cavit ad essere obbligata ad un’azione di surroga per la scarsa propensione delle Cantine a vendere i classici di loro produzione. Il risultato di questa bella pensata è che il Trentino come produttore di vini di qualità nel breve volgere di alcuni anni è sparito tanto dagli scaffali delle enoteche, quanto dalle carte dei vini dei ristoranti. Nel canale ho.re.ca.,infatti, rimangono sì referenze di reale qualità, ma solo se sorrette dal marchio aziendale e non già dalla denominazione territoriale. Come dire: la DOC in Trentino non serve a un tubo, puntiamo tutto sul brand aziendale. E sì che che il Pinot grigio senza “Venezia” non sarebbe certo quello che è.
Detto questo per rinfrescare la memoria, torniamo al non detto sulla vicenda Lutterotti e sul bisogno di ridurre i costi.
Cosa di più efficace degli acquisti in comune per tutte le 10 Cantine? I prodotti enologici, ad esempio non incidono più di tanto sulla qualità finale, ma comprati da uno per tutti fa risparmiare. E avanti così, carta igienica compresa.
A questo punto, il prossimo step sarà la commercializzazione di tutto il vino prodotto annualmente dalle 10 Cantine socie. Già siamo oltre il 90% di conferito a Cavit e quindi il passo è breve.
A conti fatti si può dire che oggi, chi ancora resiste e insiste con l’imbottigliamento dei vini di qualità con etichetta propria siano le tre Cantine (Toblino, Rotaliana e Trento) che, guarda caso, hanno sostenuto Lutterotti contro Libera.
Se poi, puta caso, una Cantina che aveva fatto gruppo a sé come LaVis-Cembra Cantina di montagna, dovesse rendersi conto che in questo scenario (e con i suoi trascorsi) è difficile stare sul mercato (non dimentichiamo che l’altro competitor si chiama Mezzacorona) e che per questo avanzasse richiesta di ri-aderire al gruppo Cavit, che succederebbe?
Succederebbe che Cavit porrebbe una semplice condizione: il conferimento totale di tutta la produzione.
A quel punto Cavit avrebbe fatto bingo e per le tre summenzionate non ci sarebbe scampo: i due terzi della produzione trentina sarebbero sotto il brand di Ravina.
Il resto è Mezzacorona (che già lavora il 100% del vino delle sue socie) e il 6% finale dei Vignaioli.
Se lo scenario possibile è questo, qualche domanda ce la dovremmo porre, dopo aver capito perché Lutterotti sia stato sostituito. O no?
In conclusione torna alla mente qualche lezione di Storia, di quelle della rivoluzione bolscevica non meno di quelle del capitalismo più sfrenato con i guasti prodotti nelle rispettive società. Che il Trentino vitivinicolo voglia prendere il peggio dei due modelli oligopolizzando il settore mi pare francamente irrealistico. Ma è qui che siamo arrivati, è qui che nel silenzio colpevole della base, nella protervia dei vertici e nell’incapacità dei politici, dei sindacati e di quasi tutta la stampa di leggere i fatti, ci siamo ridotti.
La nostra storia però non finisce qui. Continuerà con una prossima puntata, ricca di altre considerazioni volte – sia concesso – a scongiurare il peggio, come il riciclaggio di politici trombati, ma anche – e soprattutto- a dischiudere positivi scenari possibili.
Enologo, direttore del Comitato Vitivinicolo Trentino fra gli anni Settanta, Ottanta e Novanta, già membro del CdA Fem e vicepresidente di UDIAS, l’associazione degli studenti di San Michele, ed ex capitolare della Confraternita della Vite e del Vino di Trento. Largo ai giovani.
#anonimo: nel caso della Cantina adombrata, quella sostituzione – per chi si interessa di territorio – non è una notizia. Le politiche di territorio là, sono competenza esclusiva del sommo vertice.
Angelo, cacchio ma non dici mai chiaramente quelle che sono sempre le solite manovre: e tu le conosci tutte – prima e poi .
Citerò Oscar Wilde : chi non ricorda chiaramente il passato non ha chiaro il futuro, ….: (
Che San Michele ci aiuti dagli arcidiavoli territoriali !
Giuliano#: se conoscessi tutto sarebbe un bel guaio… ma chiarisco a te ciò che per chi vive qui è palese. La Cantina cui si riferiva Anonimo è Mezzacorona, il manager sostituito è Maccari, il vertice sommo, il Presidente. E si sa che negli ultimi 30 anni Mezzacorona ha dettato la linea per il settore dei vini fermi (come Ferrari l’ha dettata per gli spumanti), esclusa una piccola minoranza che tiene alto il vessillo dell’immagine e della notorietà residua di questo territorio. Sulle manovre hai ragione: sono le solite e ciò basta per dire che manca innovazione. E quindi si resta indietro nonostante bilanci che sembrano attivi, ma che sono di sopravvivenza. Condivido, infine, O.W. sperando che al suo pensiero si orientino anche tanti altri. Ciao
grazie Angelo !
VIGNAIOLI: LA RICREAZIONE È FINITA basta leggere un vecchio blog – bravo Angelo e grazie
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Bravissimo Angelo, anche se non c’era bisogno di aspettare le nuove reclute e le vecchie ciabatte.
Sei sempre chiaro e professionale e per questo profeta non ascoltato . Ma da me certamente mai no.
La vitivini-cultura trentina non si è esposta (come al solito) anche in questo raid elettorale di liste dove ne mancava una importante la “Lista dei VINI”.
Piange e langue in attesa del nuovo sponsor che dia qualche euro.
Perchè si dice oppressa da sempre dai big della produzione, mai capace di fare veramente gruppo, di metterci i soldi, di fare investimenti comuni, capace solo di chiedere i soldi per le gelate e mai fare programmi comuni come altre zone.
E’ mercato di “nicchia” con prezzi alle stelle e si basa su una poco fraterna concorrenza fatta paese per paese, turista per turista.
Da sempre. E da sempre scopre l’acqua calda come gli amici Pisoni (grazie Ginevra per la notizia) che nel 2018 ricicciano fuori il “Ciclo dei Mesi” già adottato dal CVT molto ma molto prima e da Casa Girelli poi.
Forse non sapendo che Torre Aquila è la porta di Trento per il Veneto e da noi – come Zonin – è una porta di uscita e non di entrata !
Grazie Angelo, mi mancavi proprio e così allego anch’io un disegno, ovviamente di un Guareschi DOC.
Basta cambiare la testata del giornale e il risultato pare sempre quello di sempre.
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Tutto giusto, tutto bello, solo un piccolo ma altrettanto importante appunto,
lei si meraviglia dell’assenza di indagini sui giornali del perchè e del per-come della sostituzione a Ravina ma e della repentina sostituzione del direttore di quella piccola cantina che sta tra San Michele e Mezzolombardo non fiata nessuno? Ci sono state le dovute indagini sui tabloidi locali?