In attesa di conoscere il nome del nuovo assessore all’Agricoltura trentina, per il ruolo che nel bene e nel male questi avrà (è meglio mettere nel conto anche ipotesi nefaste), vale la pena prospettare qualcosa di utile prima di tuffarsi nella campagna di commercializzazione del vino fresco di vendemmia. Oddio, in Trentino questo è problema relativo, dato che le vendite sono per la stragrande quantità appannaggio dei tre oligopoli. Provvedono loro, basta stare alle regole, e liquideranno quel che liquideranno.
Ciononostante, c’è una quota di Cantine e Vignaioli che caparbiamente, bisogna riconoscerlo, insiste nella tradizionale politica di territorio qualificando i prodotti sostenendone anche i prezzi. Per quello che un tempo era il blasonato Trentino, costoro sono rimasti una minoranza.
Certo, anche gli oligopoli cooperativi vendono vini di qualità, ma non si può dire che la loro soglia di prezzo sia coerente con i costi di produzione trentini. Infatti, la remunerazione di quelle uve è drogata da rese al limite e da vini extra provinciali che si piazzano sul mercato globale. Tutto legale.
Dato poi che gli oligopoli hanno sì puntato tutto sui rispettivi brand aziendali, ma con pieno diritto utilizzano in etichetta, ad esempio, anche le DOC Trentino e Teroldego rotaliano, queste due DOC si sono prontamente appannate. Anche per questo, molti Vignaioli preferiscono coprire i loro vini con l’IGT Vigneti delle Dolomiti e puntare, pure loro, soprattutto sul brand aziendale.
Nel resto del mondo tutto ciò sarebbe impossibile, in Trentino no. Qui si banalizza o si rinuncia al proprio “cognome” storico-geografico (Trentino) per assumerne uno apparentemente più noto, ma certo non esclusivo, per cui ogni investimento su “Dolomiti” fa il gioco anche di altri.
Sia come sia, quello sopra è problema meno urgente della questione riguardante lo scarso numero di imbottigliatori di vini di qualità rispetto alla superficie vitata. Infatti, c’è un rapporto interessante fra prestigio di un territorio vitato ed etichette che lo rappresentano: non esiste al mondo nessuna seria zona di produzione che sia rappresentata da pochissime etichette. In Trentino, con oltre il 90% dei vini che fanno capo ai tre oligopoli, sono solo 150 gli imbottigliatori, a fronte dei ca. 10.200 ettari vitati. Il rapporto è quindi di 68. La media nazionale è 10,1 e quella francese 12,9. Per stare più vicini a noi, la Franciacorta è a 25,7 e l’Alto Adige con poco più della metà del nostro vigneto è a 21,15 (5.500 ha e 260 imbottigliatori). Un dato questo che indurrebbe il Trentino con il rapporto a 68 a triplicare il proprio numero di imbottigliatori.
Come si fa? Elementare Watson, direbbe il nostro… dopo 20 anni, non tutta, ma diciamo un terzo della produzione può e deve aspirare a qualcosa di più della soglia di sicurezza assicurata dagli oligopoli.
Per esempio, se i Vignaioli capissero che debbono raddoppiare arriveremmo a ca. 130 imbottigliatori e altri 200 se ne potrebbero trovare a medio termine fra i soci più adatti e disponibili nella la dozzina di Cantine di primo grado che dovrebbero individuarli. Fra gli oltre 7.000 cooperatori viticoli c’è ne sarebbero molti di più e di più sono anche quelli che nello scenario attuale si sentono stretti e frustrati.
Dare una risposta (servizi) a quanti stanno pensando di fare le valigie mi sembrerebbe modo intelligente per fidelizzarli.
Come detto, per arrivare a ciò dovrebbero accadere alcune cose. La prima sarebbe quella di cominciare a parlarne.
Enologo, direttore del Comitato Vitivinicolo Trentino fra gli anni Settanta, Ottanta e Novanta, già membro del CdA Fem e vicepresidente di UDIAS, l’associazione degli studenti di San Michele, ed ex capitolare della Confraternita della Vite e del Vino di Trento. Largo ai giovani.