La prova provata che affidare l’assessorato all’Agricoltura a Mario Tonina, uomo funzionale ai circuiti più reazionari e retrivi della cooperazione trentina (a giugno si era messo di traverso alla candidatura di Marina Mattarei, tanto per dirne una), sarebbe stata una sciagura, lo dimostrano i titoli dei giornali di oggi.
Racconta la stampa quotidiana di un Tonina – che assessore all’Agricoltura per fortuna non lo è diventato –, che entra a gamba tesa, e dalla parte sbagliata, sulla nefasta e funeraria ipotesi di incorporazione del Gruppo La Vis in Cavit.
Tonina benedicente e facilitatore di un processo di concentrazione industriale e oligopolista destinato a soffocare ulteriormente il pluralismo territoriale.
E’ ben vero che Maurizio Fugatti, alla fine, gli ha concesso la delega alla Vigilanza cooperativa, ma qui sono in gioco interessi che hanno a che fare con il territorio e con il modello di sviluppo agricolo che il Trentino si vuole dare. Non con la vigilanza.
Per questo, rivolgo un appello all’assessore all’Agricoltura Zanotelli:
Giulia se ci sei batti un colpo. E, perdonami il linguaggio sessista ma so che in Lega non fa scandalo, se ce le hai, tira fuori le palle. Perché questo è il momento di farle vedere e di mettere un tappo in bocca al tuo collega.
E anche di legargli le mani
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.
” nefasta e funeraria ipotesi” ma necessaria per la sopravvivenza della cantina di Lavis. A quanto sembra con i debiti che ha difficilmente riuscirebbe ad andare avanti e remunerare le uve ai soci…
Messa così sembra una soluzione obbligata, semplice e pure tranquillizzante per i soci. È quello che avrà pensato anche Tonina. La realtà è ovviamente più complessa e riserva “ipotesi nefaste e funerarie” per tutto il mondo vitivinicolo trentino senza un’analisi più seria e la fissazione di obiettivi chiari per tutto il territorio. E poiché è impensabile ridurlo – alla fine del processo – tutto sotto un unico brand andando la via maestra in direzione opposta, vale la pena approfondire bene, magari in una “giornata vitivinicola trentina” di cui da anni si sente la mancanza, ma che da anni ci riserva più disastri che successi. È un modesto consiglio che potrebbe essere colto dal nuovo assessore all’agricoltura.
Quanto negativismo! Lavis con questa operazione non va mica a sparire, anzi è più probabile che andrebbe a sparire non facendola. In Cavit ci sono cantine più industriali e altre più territoriali come Mezzolombardo Trento e Toblino, quindi non si deve essere pessimisti a tutti i costi. Purtroppo la gente non è mai contenta e se Cavit non si fosse mossa per salvare Lavis sarebbe stata criticata per quello, qualunque cosa si fa in Trentino solo critiche si prendono…Poi ovvio ci sono complicazioni negative tipo quelle del personale, ma si è sempre detto tutti anche su questo blog che tre poli vinicoli per il Trentino erano assurdi quindi prima o poi doveva succedere che uno saltasse
Intendiamoci: bando a negativismo e pessimismo, sforziamoci di stare realisti, ma con un orizzonte che vada oltre LaVis/Cavit. E questo perché se l’operazione andasse in porto coinvolgerebbe equilibri/squilibri del sistema. Come dire: non è tanto lo “scontato” rientro di LaVis in Cavit il problema, ma piuttosto il “come” tutto ciò possa avvenire e con “quali” effetti collaterali. Una questione che va gestita pertanto ai più alti livelli della politica, evitando di ridurla a mera e inevitabile conseguenza della malagestio passata. Se non sarà così, negativismo e pessimismo tornerebbero legittimati.
Suvvia signor Rossi, siamo seri, non stiamo a raccontarci favolette. E’ inutile continuare a pensare alla Lavis che era negli anni 90, una favolosa realtà che faceva qualcosa di veramente diverso nel panorama cooperativo. Adesso è una cantina industriale che fa (anche) le sue bottiglie come tante altre cantine. Niente di che, niente di particolare. Anzi, negli ultimi anni si dice che le partite migliori di questa cantina siano finite in altre cantine limitrofe per fuga di soci, causa scarsissime remunerazioni delle uve. Quindi finiamola di parlare di chicca, realtà unica, produzioni di superqualità ed altre favolette. Quindi finiamola di pensare che sia un qualcosa di diverso e migliore di Cavit o Mezzacorona. Quindi finiamola di pensare che sia incompatibile una fusione con realtà di questo tipo. Forse prima di entrare nel mondo industriale tramite Girelli era così, ora non più. Mi sembrate uomini che si trovano tra le mani una donna di bellezza sforita e continuano a struggersi ed a pensare come questa donna era bella 20-30 anni prima. Altra cosa: non si è detto più volte su questo blog che la politica deve restare fuori delle cantine, cosa su cui sono perfettamente d’accordo. Ed adesso invece si invoca l’intervento dell’assessore(a)? Un po’ di coerenza non guasterebbe. Comunque complimenti perchè si riesce ad avere un confronto anche se si è su posizioni diverse, è un bel sito, peccato solo che ultimamente si stia trasformando in una pagina facebook ma tant’è , si vede che va bene così. Saluti Adamo
Adamo, la ringrazio per le sue stimolanti considerazioni. Che mi permettono di chiarire un po’ di cose, che forse in passato ho sempre date per scontate.
E per il momento lascio da parte la questione Cavit/La Vis, su cui magari tornerà in maniera più completa l’amico Angelo.
Lei ci fa notare che un giorno invochiamo l’intervento della politica e l’altro, al contrario, ne auspichiamo la distanza e la neutralità.
Personalmente, ma credo di interpretare anche il pensiero di Angelo, ho sempre criticato l’eccessiva confidenza fra politici e cantine, fra amministratori pubblici e consigli di amministrazione. Ho criticato e considerate dannose e fatali queste connivenze e queste contiguità. A suo tempo ne fece le spese, e ne sta pagando ancora il conto, per esempio, la La Vis, allora considerata la cantina di Lorenzo il Magnifico.
Ma denunciare questo grumo di cointeressenze, questo consociativismo fra politica e economia cooperativa – che si fonda (va) sullo scambio mercantile del consenso – è cosa diversa dal rivendicare per la politica un ruolo di orientamento, di programmazione. Di strategia.
Spetta o non spetta alla politica scegliere verso dove deve andare, per esempio, l’agricoltura del Trentino? Come del resto fa in altri campi, per esempio quello industriale. Spetta o non spetta alla politica decidere a quale modello di economia si deve ispirare un territorio (che è bene di tutti, non solo degli agricoltori; anche di chi ci vive, anche di chi ci respira dentro, anche di chi fa turismo, anche di chi costruisce macchine utensili per la filiera, anche di chi apparentemente è lontano dal broccolo di Torbole o dal Vino Santo di Toblino,anche di chi è astemio)? Spetta o non spetta alla politica dire quale Trentino vuole, se un Trentino che si ispiri, lo dico per semplificazione,all’Alto Adige o alla Valpolicella, ma anche a Bardolino, o piuttosto al profilo industriale lombardoveneto (e comunque ci sarebbe da dire molto, e forse anche da imparare, sulla ricchezza e sul pluralismo produttivo dei lombardo veneti)? Su queste cose, credo, sia legittimo chiedere il punto di vista della politica (che infatti un punto di vista lo ha espresso anche sulla vicenda Cavit/Lavis: l’Assessore Tonina ha detto la sua). Ed è chiaro che da un’opzione di modello discendono molte conseguenze. Se, per esempio, consideriamo adeguato al Trentino un sistema agricolo industriale orientato ai mercati esteri, allora l’incorporamento della La Vis e la riduzione dei poli (da tre a due, e in futuro probabilmente da due a uno) risultano passaggi naturali e persino fisiologici. Se questa è l’impostazione ha ragione Tonina. Se invece si considera utile cambiare verso, se la politica lo considera utile, allora anche l’ipotesi di incorporamento risulta rischiosa e controproducente: perché riduce ancora di più il pluralismo nella gestione delle denominazioni, perché impone ancora di più un pensiero unico, e non da ultimo, per esempio, perché, ed è facile prevederlo, apre le porte all’obbligo del conferimento totale del prodotto semilavorato. Su queste cose la politica può dire come la pensa e agire di conseguenza? Io penso di sì. Anzi penso sia il compito precipuo della politica. Tonina, del resto, come la pensa lo ha detto. Ora aspettiamo la voce dell’assessore Zanotelli e magari quella del governatore.
Un’aggiunta: l’altro giorno Martin Foradori (Hofstätter), in un’intervista all’Ansa, trovava il modo di dire cose molto interessanti circa le prospettive del modello Alto Atesino. Parlava di zonazioni, di microzone (77) e di nuovi disciplinari da approvare entro febbraio e tirava in ballo apertamente la politica. Oltre a dichiarare di vendere l’80 % del suo vino sul mercato domestico. In Trentino si va, invece, nella direzione opposta. Entrambe le strade sono legittime, per l’amor di dio. Ma sono diverse. E credo che la politica trentina abbia il dovere di dire quale vuole prendere.
Saluti e ancora grazie per i suoi stimolanti commenti.
ps: ha ragione c’è sempre più fb nei commenti a questo blog, e personalmente ne farei volentieri a meno. Ma i lettori preferiscono commentare sulla piattaforma social (forse perché è più comodo, forse perché garantisce maggiore visibilità) e ne prendiamo atto…
Certo che bisognerà tornare sulla questione LaVis/Cavit, ma con un post apposito perché vedo che sintetizzando qui si rischiano facili fraintendimenti e la sensazione è che si sia buttata la palla in tribuna invece di rispondere a tono. Non mi sono mai permesso di esprimere giudizi sull’attuale situazione di LaVis anche se concordo in parte con quanto sostenuto da Adamo. Ho scritto che la questione trascende il mero rapporto LaVis/Cavit, interessando potenzialmente tutto il sistema. Discende da ciò il diritto/dovere di interessarsi, discutere, approfondire e infine decidere. E ringrazio Cosimo per aver chiarito una volta di più che il compito d’indirizzo, coordinamento e controllo del nostro sviluppo economico sta in capo alla Giunta Provinciale, giusto il dettato dello Statuto d’Autonomia.
Buongiorno signor Rossi e signor Cosimo, effettivamente il vostro ragionamento è più ampio e spazia su tutto il sistema vitivinicolo trentino. Io invece mi ero limitato a concentrarmi su quello che era l’argomento di discussione, cioè il rientro di Lavis in Cavit. Volevo solo dire che la Lavis di oggi e la Cavit fanno seppur in misura diversa le stesse cose, quindi sono secondo me compatibili di fusione. Se una volta sarebbe stato mescolare mele e pere, oggi si parla di mele e mele, magari di calibro o colore diverso ma sempre mele sono. Sono due cantine industriali, Lavis non è più una eccezione nel panorama trentino in quanto ad oggi molte cantine la hanno avvicinata o superata come qualità dei prodotti, quindi non è più una ”specie protetta” da tutelare ad ogni costo, soprattutto sulla pelle dei contadini che a causa di questa scelta di resistenza ed indipendenza vedono negli ultimi anni remunerazioni a picco, ben lontane da quelle delle cantine Cavit. Questo è il mio punto di vista e non pretendo che sia applaudito o condiviso. Saluti Adamo
Il suo Adamo, è un punto di vista che apprezzo e che condivido. Ed è vero non si può chiedere ai contadini di fare la fame per pagare gli errori dei manager del passato.
Quindi capisco il suo punto di vista. E se la sola strada per garantire loro un riscatto decoroso è l’incorporazione in Cavit: incorporazione sia. Tanto, come dice lei, la produzione, salvo qualche linea che ancora resta, è molto standardizzata anche in La Vis.
Tuttavia, mi permetta di introdurre una variabile: forse questa non è la sola strada praticabile. Forse ce ne è un altra. Molto ipotetica, tutta da verificare e tutta da costruire. Certo avrebbe bisogno di una benedizione della politica, che finalmente avrebbe modo di fare una scelta chiara di sistema e di modello.
E ora svelo il segreto di pulcinella. Delle trattative fra i due gruppi si parla non da ieri ma da molti mesi. Ad un certo punto, in alcuni ambienti del primo grado Cavit, parallelamente però si è cominciato ragionare attorno ad una prospettiva nuova: la costituzione, insieme a La Vis, di un terzo polo marcatamente dedicato al vino territoriale. Questa ipotesi di lavoro prevedeva, e nei giorni della bocciatura di Lutterotti, ad inizio ottobre, si era fatta molto meno astratta, prevedeva, dicevo, una scissione nell’arcipelago Cavit. Ovvero la fuoruscita dal consorzione di Toblino, della Rotaliana, di Trento – e in prospettiva, sistemate le grane giudiziarie, anche di Colli Zugna -, ovvero delle cantine che oggi appaiono meno dipendenti dal secondo grado e più libere. Le stesse che temono la trasformazione di Cavit in gruppo unico di acquisto e l’imposizione dell’obbligo del conferimento pressoché totale del semilavorato. In questo scenario si inseriva (o si inserirebbe) anche un ruolo da protagonista per la La Vis. Fantapolitica e fantaenologia? Non tanto: nel dietro le quinte del primo grado cooperativo di questa cosa si parla ancora. E’ chiaro che un’accelerazione dell’incorporazione farebbe tramontare ancora prima di nascere questa ipotesi di terzo polo con ambizioni marcatamente territoriali. Poi possiamo discutere se di questo ci sia bisogno oppure no. Se il Trentino meriti di essere appiattito sulla viticoltura industriale standardizzata. E su quelle 4 bottiglie di Doc Trento (che sono meno del dieci per cento del patrimonio viticolo provinciale). Poi possiamo discutere se si crea più valore complessivo (e non solo diretto per i contadini ma complessivo, ed è per questo che la politica a cui compete un compito di indirizzo e di strategia secondo me dovrebbe intervenire), applicando all’agricoltura esclusivamente modelli di produzione industriale che si esprime necessariamente, vista anche la scarsità relativa ma oggettiva di materia prima provinciale, in forme monopolistiche. O se si crei più valore (complessivo, ma anche diretto) cercando di orientarsi verso un’agricoltura territoriale e plurale. Ne possiamo discutere. La mia opinione, si sarà inteso, collima con la seconda ipotesi (e sono pronto anche a portare numeri e riscontri comparativi). Ma, appunto, ne possiamo parlare. E ne deve parlare soprattutto la politica. Di maggioranza e anche di opposizione (ma gli attuali oppositori non credo ne abbiano voglia: o almeno non ne avevano voglia fino a quando, ovvero questa mattina, avevano le redini in mano).