La volta precedente, nella serata alla Pasticceria Martesana dedicata ai vini dolci del Centro Italia, avevo prestato servizio come sommelier e i dolci me li ero visti passare davanti, uno ad uno, senza poterci mettere sopra i denti. Tant’è che mi ero ripromesso, nel caso fosse capitato di nuovo, di portarmi da casa un Buondì Motta: almeno avrei avuto qualcosa di dolce anch’io da mangiare e non mi sarei ridotto, a fine serata, come uno zombie (nelle serate successive noi sommelier siamo stati più fortunati, devo riconoscere per onestà intellettuale).
Stavolta comunque sono in mezzo al pubblico e me la godo. Anche la location è cambiata, non siamo più al negozio della Pasticceria Martesana in via Paolo Sarpi ma in quello di via Cagliero. In questo caso però dobbiamo contendere la sala agli avventori che stanno bevendosi i loro aperitivi, o i loro cappuccini. Piano piano sciameranno e ci lasceranno padroni del locale.
Nel negozio domina un caldo colore arancio, sono arancioni i nastri che decorano le scatole dei dolci, un telo arancione copre il tavolo, in divise arancioni i commessi, arancioni le scatole che celebrano il cinquantenario della pasticceria, arancioni le etichette delle Jeroboam di Bellavista che non credo siano in vendita, anzi probabilmente sono vuoti da esposizione, ma sono arancioni. L’unico vestito di bianco è il maestro Santoro, il pasticciere, ma per fortuna non somiglia affatto a Osho.
I vini passiti hanno cominciato ad essere prodotti nel nord-est dai Veneziani, i quali prima li importavano dall’oriente, poi, avendo perso il predominio sul mare, se li son dovuti fare in casa. Il nome “moscato” potrebbe derivare dal persiano musk o dal sanscrito muskà, che significa “profumo”. Per via delle basse rese erano vini di lusso, degli status symbol.
Il Moscato Rosa Athesis Alto Adige DOC 2015 di Kettmeir dà ragione ai persiani e agli antichi indiani; rosa, fragoline di bosco, spezie (chiodi di garofano e cannella), un accenno di balsamico. È in abbinamento a una tartelletta di frolla di farina di riso, leggerissima, con crema chantilly e fragoline di bosco.
Secondo vino, il Donna Daria, Moscato fior d’arancio Passito DOCG 2015 della cantina La Montecchia (Conte Emo Capodilista). Ha un bellissimo colore ambrato molto arancio (anche lui!), molto luminoso.
Alla prima olfazione si capisce subito perché si chiama “fior d’arancio”, il profumo oscilla tra la zagara e il mandarino, poi sentori balsamici di salvia e rosmarino, albicocca candita. All’ingresso in bocca è molto morbido, con acidità spiccata. In abbinamento la veneziana della Pasticceria, con grossi pezzi di arancia candita, il maestro li fa fare appositamente per lui di quelle dimensioni. Non gli piacciono i pezzettini piccoli, che danno solo fastidio in bocca, quando arriva il candito si deve sentire.
Il dolce si fonde con il vino, non si capisce bene dove inizia il profumo di arancia dell’uno e dove comincia quello dell’altra. Alla fine si rimane con un profumo di arancia, arrotondato dalla vaniglia.
Il Torcolato di Breganze DOC 2012 Firmino Miotti, 100% Vespaiolo. Il Torcolato si chiama così perché soprattutto un tempo le uve venivano appassite in trecce attorcigliate (intorcolate), oggi si usano le consuete cassette per l’appassimento. Ci vogliono tre anni perché la fermentazione abbia fine e questo vino è apprezzato anche nei grandi ristoranti (è in carta all’Osteria Francescana di Massimo Bottura, per dire).
Il vino ha una grande concentrazione zuccherina bilanciata da una grande acidità. Al naso si avverte inizialmente profumo di tartufo bianco, un minerale-speziato che poi con l’ossigenazione diventa minerale-sulfureo. Poi mela cotta, zenzero candito, miele di acacia, datteri, una nota mentolata che suggerisce freschezza. In bocca, si avverte l’acidità spinta, un retrogusto ammandorlato che contrasta lo zucchero; la beva è piuttosto pastosa. Emergono profumi di bucce di mandarino e di chinotto.
Qui lo abbiniamo a un panettone, una nuova ricetta di quest’anno (“devo sforzarmi di fare novità, se no la gente si annoia”) con pezzi di gianduja, anche questa fatta personalmente dal maestro Santoro, e mandarino candito. Anche qui i pezzi sono grossi. “Solitamente abbiamo pezzi di cioccolato come le moschine che danno solo fastidio”, invece qui la gianduja si deve sentire nella leggerezza della pasta, insieme al mandarino che rimanda al Natale.
Picolit dei Colli Orientali DOCG 2016 Marco Sara. Il Picolit è un vitigno estremamente difficile da trattare, a causa dell’aborto floreale offre rese molto basse (massimo 40 ql/h da disciplinare, ma in genere sono più basse). Marco Sara fa vini naturali e questo Picolit dimostra che si possono fare vini naturali che siano anche eleganti.
Il vino stenta un po’ ad aprirsi nel bicchiere, ha un naso delicato, che ricorda il legno appena tagliato e il muschio, qualcuno suggerisce l’immagine di una catasta di legno nel bosco. Poi fieno, succo di pesca. Siamo su note delicate, con una nota mielata e qualcosa di balsamico in sottofondo, un ricordo di incenso. I sentori cambiano nel corso del tempo mentre il vino si scalda e si apre nel bicchiere.
Ingresso molto morbido in bocca, poi pian piano arriva l’acidità, anche un po’ astringente con un lieve tannino e finale amaricante.
Il dolce in abbinamento è una barchetta all’albicocca, una frolla classica, non di farina di riso, con una confettura di albicocca, molto semplice. C’è persistenza e struttura. Si sente subito la frutta, poi il burro, poi esce il dolce dello zucchero e l’acidità della frutta.
Nell’abbinamento prevale molto la marmellata e le dolcezze del vino e della tartelletta si sommano, non è, a dire il vero, un abbinamento proprio ideale.
Com’è, come non è, il previsto Eremita Recioto di Valpolicella DOCG 2014 Ca’ Rugate è finito sostituito con un La Perlara Recioto di Soave DOCG 2015 Ca’ Rugate, stessa zona e stessa cantina ma vino bianco al posto di vino rosso, e quindi anche gli abbinamenti dei due ultimi vini sono stati rivisti.
Il Crumble ai frutti rossi e alla mandorla era stato pensato in abbinamento al Vino Santo per la presenza della mandorla; ha una consistenza, una struttura maggiore dei dolci precedenti e una componente aromatica significativa per via dei frutti rossi.
Il vino ha una bella componente alcolica che emerge, anche se dolce e non prepotente, qualche sentore di affumicato. In bocca è morbido e ricco, la dolcezza è ben bilanciata dall’acidità.
In abbinamento la dolcezza del vino emerge un po’ troppo, aumenta la carica aromatica dei frutti rossi, rimane il tostato, una nocciola tostata quasi bruciata, qualche sentore balsamico come di rosmarino, ma secco o bruciacchiato.
Al Vino Santo Trentino DOC 2006 di Giovanni Poli tocca l’onore di abbinarsi al panetùn dell’Enzo, con albicocca semicandita e cioccolato. È il dolce di bandiera della Pasticceria; inizialmente si chiamava Panettone Sacher perché era un omaggio alla famosa torta Sacher e all’abbinamento albicocca e cioccolato, di cui il maestro Santoro è appassionato; ma i proprietari del marchio della torta Sacher non hanno gradito l’omaggio e gli avvocati sono stati irremovibili. Così Enzo l’ha intitolato a sé stesso. I dolci si devono raccontare, dice Enzo, perché se non si raccontano la gente non ne capisce il valore, tanto vale prendere un panettone industriale al supermercato.
Questo è un panettone che non è dietetico, è ricco, dice Enzo, se uno deve mangiare deve mangiare, se no va in farmacia. E ha ragione, ne abbiamo mangiato appena qualche pezzetto e siamo sazi e soddisfatti, immagino mangiarne una fetta intera: nelle intenzioni è più una torta che un grande lievitato. Chiamarlo panettone è riduttivo.
Il Vino Santo Trentino nasce nella Valle dei Laghi, battuta dall’Ora del Garda che favorisce l’appassimento e anche fornisce il clima ideale per la Nosiola. Subisce un lunghissimo appassimento, è il vino che subisce l’appassimento più lungo d’Italia, fino a sei mesi.
Il vino di questa sera è un 2006 e scatena i ricordi di chi all’epoca era al liceo: nulla però rispetto all’età delle viti, che hanno almeno vent’anni. Le rese sono talmente basse che la vinificazione avviene più per passione che per un ritorno economico.
Il Vino Santo ha un panorama olfattivo intrigante, con profumi di rosa appassita o essiccata, note balsamiche, salvia, classiche note di appassimento, ricorda il croccante alla nocciola. Ci sono moltissimi aromi, tanto da essere difficile identificarli e separarli.
La componente dolce si integra benissimo con l’acidità. L’abbinamento, sia pur casuale, è venuto benissimo. Rimangono molto intense le sensazioni del cioccolato che si amplifica e si valorizza: il che prova che, alle volte, il caso sa benissimo quello che fa.
Il maestro sarà protagonista di una puntata de “Gli artisti del panettone” in onda su Sky questa sera, 26 novembre. Guardatelo, se avete Sky.
Erano mesi che venivo descritto da un Lorem Ipsum e non mi decidevo mai a cambiarlo. Un po’ per pigrizia, ma anche perché mi piaceva che a descrivermi fosse un nonsense poetico, che parlava di un luogo remoto, lontano dalle terre di Vocalia e Consonantia … oggi però sento che è venuto il momento.
Lombardo di nascita e residenza, trentino di origine e di cuore, qualche affetto mi lega anche al Piemonte. Di mestiere faccio altro, il consulente di ICT Management; fino a non molto tempo fa il vino lo ho frequentato solo dall’orlo del bicchiere.
Conosco Cosimo Piovasco di Rondò da quando eravamo bambini; un giorno ho cominciato a scrivere su Trentinowine, per gioco, su suo suggerimento, e per gioco continuo a farlo. Seguo il corso di sommelier della FISAR Milano, divertendomi un sacco.
Più cose conosco sul vino, meno mi illudo di essere un professionista o un esperto. Qualcuno, ogni tanto, dice di leggermi e di apprezzare questo mio tono distaccato; io mi stupisco sempre, sia del fatto che mi leggano, sia che apprezzino. E ne vado fierissimo.