Rio Romini è il nome di un torrente che taglia la Vallarsa; la vallata selvaggia scavata fra le montagne dal Leno, fra Rovereto e il vicentino, nel Trentino sud-orientale.
Questo corso d’acqua in passato, poco più di un secolo fa, ha avuto anche un momento di ignobile gloria che lo ha fissato imperituro nella memoria collettiva. Una memoria cruenta e insanguinata: l’alveo del Rio Romini segnò il punto di massima penetrazione della Spedizione Punitiva sul fronte meridionale dell’Impero austro-ungarico. Raccontano gli storici che “le acque del torrente nei giorni che precedettero la terribile battaglie di Passo Buole, scorrevano rosse del sangue dei soldati che si scannavano all’arma bianca sotto il monte Jocole ”.
Rio Romini è il nome un vigneto di circa 5 ettari che appare come un giardino vitato di montagna nel piccolo borgo di Riva di Vallarsa ad un altitudine di 750 metri. Un’area la cui produzione vinicola è tutelata dal cappello della Doc Trentino e che può fregiarsi dell’omonima menzione in etichetta.
Rio Romini è il nome di un’associazione che dalla metà degli anni Duemila in poi è stata protagonista di un progetto, di anno in anno divenuto realtà, di valorizzazione del territorio. Con un’azione che è riuscita a saldare concretamente cultura, storia e agricoltura. Avvalendosi dei finanziamenti comunitari del Programma Leader, l’associazione si è fatta capofila prima di un’azione di ricomposizione fondiaria per ottimizzare un assetto proprietario segnato dalla micro parcellizzazione; poi di un’opera meritevole di bonifica e di infrastrutturazione agraria. E infine si è fatta carico di un progetto vitivinicolo sfociato in una bottiglia di vino (bianco): il Vigna Rio Romini.
Dietro questa bottiglia, le cui caratteristiche cercherò di descrivere fra poco, c’è uno dei costruttori di vino più creativi ed estrosi del Trentino: Mauro Baldessari. Un enologo punk-rock, come lo ebbe a definire tempo fa un vecchio amico comune. Sua l’idea originaria di questo vino, vinificato per la prima volta in Cantina d’Isera, di cui a suo tempo era direttore. Ma questa idea di vino era così sua, così personale, cosi intimamente legata all’uomo, alla sua sensibilità, al suo carattere, al suo estro, che, con il suo passaggio al vertice di Vivallis, la bottiglia e il vigneto e la vigna lo hanno seguito. E non poteva essere diversamente
Oggi, la vinificazione (circa 5 mila pezzi) è seguita con coerenza, attenzione e fedeltà alle uve e allo spirito baldessariano delle origini dal wine maker della cantina di Nogaredo, Flavio Cristoforetti. Al quale Baldessari ha affidato l’alchemica magia della cantina e della vinificazione. Fra l’altro nei giorni scorsi ho assaggiata anche un’altra sua strabiliante bottiglia, il Vigna Monteghel (base Pinot Nero) e sicuramente ne scriverò a breve.
E quindi veniamo al vino: Rio Romini 2018 – Vigna Rio Romini Trentino Doc – 12 % vol – Vivallis.
Beh, intanto le uve, interamente provenienti dall’omonimo vigneto coltivato a filare e gestito in presa diretta dalla cantina, sono di varietà Mueller Thurgau. È un vino di montagna, caratterizzato da una verticalità e una componente acida che solo le altitudini dell’alta collina sanno regalare al vino e che si riflettono nella tessitura paglierina intarsiata di riflessi verdognoli che si presentano alla vista una volta versato nel bicchiere. Ma questo non deve trarre in inganno. Perché questi marcatori, quasi unicamente e quasi inspiegabilmente, si intrecciano con una densità polposa di frutta che invita al morso. Ma andiamo con ordine. Del colore abbiamo già detto: paglierino abbastanza scarico segnato da riflessi verdolini. Al naso presenta uno spettro olfattivo abbastanza tipico e la chiave di lettura è naturalmente la leggera aromaticità: si va dalle suggestioni erbacee della salvia, e delle erbe aromatiche alle zaffate intense di mela, non solo la classica Golden ma anche la più preziosa renetta con la sua tenue acidità, a quelle di pesca per finire (ma anche per cominciare) alla profumazione floreale di gelsomino. Il naso si riempie di tutte queste sensazioni e ne trae grande soddisfazione. Quasi che ti passa anche la voglia di metterlo in bocca: perché il naso è davvero saziante. Elegantemente saziante. Ma se lo metti in bocca è meglio, perché il godimento si moltiplica: la texture erbacea e medicinale fa da sottofondo ad una densità della polpa di frutta, mela e pesca bianca, davvero sorprendente. Come ho già scritto prima invita al morso più che alla beva, segno di una materia prima davvero di prima qualità. E dentro questa cornice la spinta acida e verticale, così come il finale leggermente amarognolo, si amalgamano meravigliosamente. Ed elegantemente.Insomma, Rio Romini: un vero Cru lagarino. Un signor Cru lagarino.
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.