Non vorrei essere nei panni dei dirigenti della Cassa Rurale di Trento, dopo l’esito dell’assemblea per la fusione con quella di Mezzocorona, Lavis e Cembra.
Con 512 contrari e 1200 favorevoli, se ho capito bene, l’operazione verticistica è passata; ma con tanti che se ne erano andati via in anticipo, sfiancati per le lungaggini della registrazione, per la procedura delle deleghe e tutto il resto. E la democrazia? Salva.
Ma certo questo passaggio epocale andava preparato meglio, o meglio non si poteva e forse non si voleva fare.
Il fatto è che in Trentino il passaggio da un’economia locale a quella globalizzata non è stato gestito, ma subìto da chi nella globalizzazione si è trovato dentro senza troppo pianificare. E senza interrogarsi sulle possibili ricadute sul territorio, concludendo che il territorio non avrebbe comunque avuto scelta migliore. Con buona pace di quegli altoatesini che nel pentolone non hanno voluto entrarci.
Sul punto, non essendoci alcun incendio in corso, i pompieri potrebbero prendere tempo, esercitarsi oltre la democrazia nella ricerca di una condivisione più ampia. E se questa non si raggiungesse, meglio lasciare le cose come stanno.
La vicenda del mondo del credito cooperativo trentino è stata storicamente preceduta dalla globalizzazione vitivinicola che nel ventennio scorso si è polarizzata attorno a due oligopoli, Cavit e Mezzacorona.
È la dinamica Cavit che preoccupa di più. Perché riguarda un arcipelago di 10 Cantine socie sparse sul territorio. La maggior parte di queste si sono già acquartierate e si ritrovano ridotte a meri centri di raccolta. Con qualche contentino, ma la sostanza non cambia. Vero è che molti dei contrari e dei perplessi sulle fusione delle due Casse Rurali sono anche viticoltori in zone dove l’oligopolio ha già mostrato il suo vero volto.
Come sempre, la ragione non sta tutta da una parte e anche gli oligopoli ne hanno accumulata, soprattutto per l’azione di surroga alla mancanza di direttive territoriali che nel ventennio scorso ha visto l’assenza d’indirizzo della PAT, di Federcoop, di Consorzio Vini e anche di FEM, solo per citare i più responsabili.
Ciò nondimeno, le caratteristiche del Trentino vitivinicolo – al di là del confronto con l’Alto Adige – sono tali che si fa proprio fatica ad immaginarlo ridotto per oltre il 90% sotto due brand, per quanto ben gestiti. Il vino di qualità è altro e alla lunga il conto arriva. Già oggi quello Trentino latita in enoteca e sulla carta dei ristoranti dove se ne trova qualcuno sotto le mentite spoglie sud tirolesi.
Questo per dire che la battaglia per l’autonomia territoriale sostenuta da Cantine come Trento, Toblino e Mezzolombardo nei confronti dell’omologazione proposta da Cavit ci pare sacrosanta. Sia per le Cantine con i rispettivi Soci che per il territorio di competenza, dove insistono vignaioli imbottigliatori singoli con i quali si possono perfezionare intese che in quei distretti sono storicamente già in atto.
Sappiamo in proposito, che un territorio che pretende un posto fra nell’Olimpo dei produttori di vini di Qualità deve avere un determinato rapporto fra superficie vitata ed aziende imbottigliatrici. La difficoltà che hanno i Vignaioli nel crescere di numero con oltre il 90% dell’uva conferita alle Cantine Sociali e la graduale riduzione del loro imbottigliato hanno fatto sì che questo rapporto in Trentino sia molto sbilanciato: mancano all’appello ben 350 nuove imprese.
Un’ottima occasione per rivedere tutto il sistema, cominciando a pensare:
1. A tutelare, sostenendole, le poche Cantine Sociali di primo grado che stanno battagliando per difendere e allargare la loro presenza diretta sul mercato.
2. Favorire i discorsi di “distretto”, ossia i rapporti fra produttori singoli e associati in zone o vallate omogenee.
Magari con un apposito provvedimento della Giunta provinciale si potrebbe incentivare il raddoppio del numero degli attuali Vignaioli e circa 200 nuove imprese si potrebbero trovare fra le migliaia di cooperatori che, restando Soci, potrebbero farsi imbottigliare le partite migliori usufruendo anche di una serie di servizi facili da immaginare. Con un ruolo territoriale concreto anche per le Casse Rurali
Fantasie? Non credo proprio. I nostri padri del resto, in tempi più grami, ebbero ben altro coraggio. Erano giovani, allora, come gli odierni giovani di UCID (Unione Cristiana Dirigenti e Imprenditori) che proprio da ieri si sono impegnati per favorire lo sviluppo di nuove imprese. Con sardine e sgombri, qualcosa si muove!
L’alternativa? Nelle cose e fra poco, anche LaVis-Cembra Cantina di montagna trasferiranno armi e bagagli (asset e debiti) nel grande ventre di Ravina, col ridimensionamento dei loro brand. Il resto è già stato normalizzato, da Roveré della Luna ad Avio passando per Mori senza dire di altri.
È questo l’avvenire in cui sperano i giovani? Non credo proprio: sanno usare lo smartphone e vogliono dimostrare che le rivoluzioni si possono fare anche senza spargimento di sangue. I vecchi barbagianni sono avvertiti, e se non se ne rendono conto, come dicevano, una risata li seppellirà.
Enologo, direttore del Comitato Vitivinicolo Trentino fra gli anni Settanta, Ottanta e Novanta, già membro del CdA Fem e vicepresidente di UDIAS, l’associazione degli studenti di San Michele, ed ex capitolare della Confraternita della Vite e del Vino di Trento. Largo ai giovani.