[*] colorita espressione trentina liberamente traducibile in italiano con: “Siamo proprio con il culo per terra“
La telefonata dal vecchio professore e decano dei giornalisti agricoli trentini arriva di buon mattino. Da cronista, cerca notizie: “Cosa pensi stiano facendo di questi tempi quelli del nostro settore vitivinicolo?”, chiede. Gli rispondo: “Magari stessero facendo qualcosa!”. E aggiungo: “Il guaio è che temo non stiano facendo nulla di più o di diverso di quando fatto negli ultimi tempi, ossia niente. Tutti, dagli Enti pubblici a quelli collegati, dai sindacati alle organizzazioni di categoria”.
“È vero – conviene lui -, hai letto l’intervista di C.B. al sindacato sulla questione della successione alla presidenza di FEM? Tutti allineati e concordi per la riconferma di Segrè, non si pongono nemmeno l’idea di cambiare e il giornalista – tutti i nostri giornalisti – non fa e non fanno domande mai …; oramai sono rimasto l’unico a rompere le scatole”. Del resto, aggiungo io, con la stampa regionale in mano a un solo padrone, non puoi aspettarti un giornalismo d’inchiesta, quieta non movere.
“Eppure – riattacca lui – Albino Armani ha chiesto finanziamenti al Trentino per il Pinot grigio delle Venezie”. Certo, ribatto. Solo che essendo un prodotto industriale, è a quel l’assessorato che bisognerebbe rivolgersi, mentre i fondi per l’agricoltura vanno riservati al territorio! Apriti cielo: “C‘è un terzo di viticoltori (quelli del Pinot grigio) – rincara il decano dei giornalisti – che dipende da quella performance e come fanno se la bottiglia si vende a 1,5?”.
Domanda provocatoria, lui sa benissimo come stanno le cose, ma evidentemente gli piace risentire la risposta che non può prescindere dal contesto industriale dal quale nasce tutta l’operazione e che assomiglia molto a quella del Prosecco.
Mancando un Piano territoriale e sfruttando al meglio le possibilità offerte dalla globalizzazione gli oligopoli locali hanno avuto buon gioco nel piegare ai loro bisogni tutto il sistema, cosicché oggi si trovano con una base di migliaia di viticoltori a libro paga, dove questa, la paga del sabato, rappresenta una sorta di minimo sindacale. Come dire, il convento butta questo, non potete pretendere di più, accontentatevi. E questo vale per estensione immediata anche per tutte le tipologie varietali ad eccezione di quel poco che etichettano i vignaioli e le residue referenze qualitative delle Cantine di primo grado. Il Trentino come tale, si dice ormai alla noia, è sparito dai radar. Restano i brand aziendali, compresi quelli della spumantistica classica che pure potrebbero triplicare le quantità prodotte se solo ci fosse il famoso Piano territoriale.
Poi il decano torna sul Pinot grigio locale e al basso prezzo di vendita della bottiglia con i conti che non tornano. Gli dico la mia opinione che sul business di milioni di pezzi venduti non è difficile ammucchiare il budget necessario a remunerare il nostro Pinot, remunerare al minimo sindacale, s’intende. Mica sperare in performance al rialzo, eh!
Per queste ci vorrebbe un investimento pubbli-promozionale in Italia, come auspica Armani, ma credo non basterebbe. Bisognerebbe prima caratterizzare il Pinot grigio e questo non mi pare alla portata immediata.
“Sì, sì, sono sempre le stesse considerazioni”, conclude il sempre più affranto professore; che conviene anche sulla piega egemonizzante del settore del credito cooperativo che snobba le pur consistenti voci di soci non disposti a portare la testa all’ammasso. Imbarazzante è il silenzio di Federcoop che assiste paralizzata all’inesorabile sviluppo di eventi che sembrano figli del sopra citato detto latino: quieta non movere et mota quietare (non agitare ciò che è calmo, ma calma piuttosto ciò che si agita).
Se è questo l’incipit del 2020, “no sem né fodradi, nè ‘mbastidi” come dicevano i nostri vecchi. Clic. Il professore ha riappeso il telefono, avvilito.
Enologo, direttore del Comitato Vitivinicolo Trentino fra gli anni Settanta, Ottanta e Novanta, già membro del CdA Fem e vicepresidente di UDIAS, l’associazione degli studenti di San Michele, ed ex capitolare della Confraternita della Vite e del Vino di Trento. Largo ai giovani.
È sempre bello leggerti Angelo anche se tendi a generalizzare, come pure il tuo interlocutore a mio avviso sbaglia a chiedere solo a te se ci sono novità, perché non viene nei campi o manda qualcuno a parlare direttamente con noi viticoltori? È il vizio di molti giornalisti quello di stare dietro alla scrivania e scrivere. A Francesca Negri bisogna dare atto che ha preso carta e penna ed è andata da Armani ad ascoltare e chiedere e io la ammiro per questo, e so per certo che prima di partire si è informata presso dei miei colleghi per sapere quali sono le nostre aspettative e per questo la ammiro ancora di più.
Avercene caro Angelo di giornaliste come lei allora si che saresen ‘nfodradi 😜
Giuliano sei pronto per zelig
Sì, Giuliano, hai ragione che tendo a generalizzare quando metto tutti i nostri giornalisti nel mucchio. Ci sono le lodevoli eccezioni di chi, posato per un attimo il turibolo, denuncia un fatto o fa un’inchiesta. Diverso è il caso di chi in trincea e sul pezzo, per stare nella metafora, ci sta sempre facendo della scrivania la propria trincea. Senza dire che a un decano non si può chiedere di andar per campagne, cosa più adatta alle giovani penne. E se queste non si muovono, un motivo c’è. Punto.
Detto questo, la generalizzazione sul tema vino trentino ha un senso perché lo stallo in cui si trova – converrai – è generale. È inutile, credo, focalizzarsi su un singolo episodio (il dito) quando il focus (la luna) resta sullo sfondo, nascosto.
Angelo… il nostro interlocutore … preferisce i tacchi a spillo. E tu perdi tempo a rispondergli?
Non lo nego Cosimo, ma questo è il livello degli argomenti trattati dagli altri giornalisti: https://www.ildolomiti.it/blog/sergio-ferrari/potatura-delle-viti-tra-forbice-manuale-e-quella-elettrica-abbandonati-gli-strumenti-ad-aria-compressa?fbclid=IwAR2BEuWYbXOTc81AoVTcqmtnr2RbiNtGhnjNTSR3Wj-ARTvefvlIbx0-Fv0
quindi…