Paolo Rumiz è un autore che mi è sempre piaciuto. Su Repubblica del 30 marzo sotto il titolo – Ripenso al Papa che mi disse “Riposeremo dopo” – ad un certo punto scrive: “Oggi, con la morte in casa che falcia più di una guerra e con la fallimentare cultura del consumo che mostra di aver devastato clima, salute e perfino democrazia, l’out out è ancora più chiaro. Assolutismo o riconquista dei diritti e doveri, crescita delle diseguaglianze o solidarietà. Stato di polizia permanente o democrazia. Mondo di predatori o raccoglitori. Potere al popolo o umanità. Cibi apolidi o chilometro zero, abbuffate o frugalità. È ancora possibile, ci si chiede anche, un compromesso fra questi due scenari?”
Un ragionamento questo, se vogliamo, che ci riguarda tutti personalmente, valido anche per i nostri ambiti. L’ambito che qui interessa è quello vitivinicolo, soprattutto trentino. E allora quei “cibi apolidi o chilometro zero” di Rumiz e la domanda se sia possibile un compromesso fra i due scenari si può tradurre subito anche nel vino che produciamo e nel dove collocarlo.
Da un’epoca non sospetta (madonna, sono passati quasi vent’anni) qui sul blog e altrove si è sempre auspicata la ripresa del dialogo, mentre il diktat era “non parlare al conducente” (ancor oggi, forse, è sempre uno che dà il la). Notare: ripresa del dialogo, non ribaltamento del sistema. Sforzo inutile, il dialogo non è andato oltre qualche balbettio, mentre personaggi di secondo piano si avvicendavano in posizioni apicali. Nonostante tutto il sistema trentino ha continuato a reggere pur fra notevoli scossoni, abituato ormai a non porsi troppe domande, né a farsi i conti in tasca. O rassegnato, guardando a chi sta peggio invece di auspicare il meglio.
Ragionamento sbagliato o ingeneroso? Cos’altro ormai sono le liquidazioni per oltre il 90% delle nostre uve? Un reddito di cittadinanza. Punto. Quanti sono quelli che han rifatto casa, cambiato il trattore o goduto una vacanza? Tutti a lavorare come muli, molti penalizzati per i rovesci della propria Cantina, ben pochi a fermarsi e pensare.
Sotto la sferza del Covid 19 oggi s’incrociano le dita sperando che alla fine si possa continuare come prima, magari ancora meglio. Soprattutto nel Campo rotaliano dove le notizie sul virus hanno subito ricacciato nell’oblio quel cancro siciliano latente da anni. Come se i conti con la propria storia non si debbano fare; prima si fanno e meglio sarà per tutti. Augurandoci che sia stato solo un brutto sogno, ovviamente.
A parte questo, che c’entra eccome, restano la prospettiva immediata e quella futura.
D’immediato c’è il vino che va venduto e fra cinque mesi la vendemmia 2020. Potrebbe bastare. Invece il futuro, se sarà come dicono, cambierà molte carte in tavola. Magari il tavolo lo butta in aria.
Pensiamo allora di andare avanti come se niente fosse stato o quel dialogo – che ora diventa impellente – s’ha da avviare? O pensa, il timoniere, di avere ancora una ciurma disposta a seguirlo sui mercati di una globalizzazione che sta tremando fin dalle fondamenta?
Aspettare di essere fuori dal tunnel prima di cominciare a ragionare mi sembrerebbe una colpevole perdita di tempo. Approfittare oggi dei mancati impegni promozional-commerciali (Prowein, Vinitaly, ecc.) potrebbe invece costituire una buona occasione.
Il pensiero va all’auspicato Piano di rilancio territoriale, quel Piano B che oggi sarebbe comodo avere condiviso e pronto nel cassetto.
Non è venuto, questo Piano, dai piani alti della politica, né dai più interessati, ossia dalle Cantine di primo grado. Non possono farlo, poveri, perché sotto ricatto dell’esigenza oligopolista. Ma non l’hanno fatto nemmeno i Vignaioli che pure calcano con fatica lo stesso territorio. Hanno pensato alla loro azienda, dopotutto rappresentano solo il 6% in quantità.
Ecco, nel Trentino votato alla qualità, invece, i Vignaioli hanno la maggioranza percepita e di conseguenza un obbligo fin qui disatteso. Provassero ad andare oltre il cancello, proponessero loro un Piano per tutto il territorio a beneficio di tutti, anche dei cooperatori. Allora sì che aumenterebbero in consistenza e merito. Le intelligenze le hanno, le esperienze pure, né mancano rapporti proficui con gli imbavagliati colleghi cooperatori. Perché non si prova? Non ci vuole molto per riprendere le carte dei trascorsi progetti e aggiornarle per il dopo Coronavirus. Il territorio, per quante pestilenze possano abbattersi su di noi, quello è e quello resta. E grazie al cielo è uno dei migliori se si riuscirà a valorizzarlo tutto, invece che per puzzle.
Una rondine non fa primavera, ma per uno stormo gioiremo tutti.
Enologo, direttore del Comitato Vitivinicolo Trentino fra gli anni Settanta, Ottanta e Novanta, già membro del CdA Fem e vicepresidente di UDIAS, l’associazione degli studenti di San Michele, ed ex capitolare della Confraternita della Vite e del Vino di Trento. Largo ai giovani.