Qualche giorno fa ho ricevuta questa lettera. Mi è sembrata interessante. Perché, in modo esemplare, riassume un po’ il senso di tante parole e di tante chiacchiere che abbiamo fatto su questo blog circa il carattere spesso autoreferenziale del Trentino. Per questo, dopo averla verificata, ho deciso di pubblicare la storia di Giacomo (nome di fantasia) e di dare voce al suo appello.
Buongiorno, vi scrivo dopo essermi imbattuto casualmente su TERRITORIOCHERESISTE e vi faccio i complimenti perché questo sito risulta, a mio parere, molto invitante nella forma e nei contenuti. Complimenti perché, da quel che ho letto, deduco che il Trentino, il suo vino e tutto quel che vi gira intorno lo conoscete molto bene.
Mi presento: mi chiamo Giacomo (nome di fantasia, ndr) e sono un giovane enologo. Ho deciso di scrivervi per porre alcune domande; sperando, una volta per tutte, di ricevere delle risposte.
Faccio una premessa: da circa un anno mi sono trasferito a Trento; prima di farlo, quindi un anno e mezzo fa, ho cominciato a cercare un’occupazione fra le cantine della vostra provincia. Credo di aver fatto tutto come si deve: non mi sono presentato con l’arroganza del giovane enologo saccente appena uscito dal mondo accademico; ma con fare umile ho sempre premesso che sarei stato disposto a sporcarmi le mani in cantina, perché questo mondo è diventatola mia passione e, senza nascondermi le difficoltà, lo vivo appassionatamente, come un vero paradiso in terra. Ho alle spalle sette vendemmie e sette anni di lavoro trascorsi in grandi aziende vitivinicole, sia cooperative che private, di un’altra regione; dove ho lavorato, e lavoro tutt’ora, fianco a fianco con grandi enologi di formazione internazionale. Insomma, pur sapendo che gli esami non finiscono mai credo di aver maturato una solida base tecnica e professionale. Anche per lavorare in Trentino. Ma forse, visto come sono andate le cose, lo credo solo io; forse pecco di autostima. Per questo vi chiedo di chiarirmi un po’ di cose.E così arrivo alle domande che da quasi due anni non trovano risposta.
Com’è la situazione occupazionale nel comparto vitivinicolo della vostra provincia? C’è richiesta di enologi e cantinieri? Lo chiedo, perché, ad oggi e dopo due anni, solo due realtà cooperative mi hanno risposto, proponendomi però solo contratti precari e stagionali.
È vera la voce secondo cui in Trentino si accettano solo profili professionali formatisi alla scuola dell’Istituto di San Michele e che quindi un foresto, come sono io, non ha alcuna chance di trovare un impiego soddisfacente?
Ultima domanda, forse anche la più sciocca ma la pongo lo stesso: come posso fare per farmi conoscere meglio, visto che il curriculum pare non serva A nulla?
Faccio queste domande, sperando di trovare qualche risposta. Perché la mia voglia di intraprendere un percorso lavorativo in Trentino è davvero tanta. Perché amo la vostra terra. E perché amo il suo vino!
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.
Come gli altri sono trentino Doc e così gira che ti rigira (Roma, Sardegna, Milano, Liguria, Usa, Europa, Milano) sono voluto tornare a casa.
Un sogno giovanile.
Allucinante, la mia esperienza in Vini del Concilio prima che si vendesse alla Cavit – semplicemente allucinante !
Ricordo che il nostro mastro di cantina, spinto ovviamente dai soci titolari, a un cliente austriaco che era andato per uno di quei rosatelli di schifo – allora di moda oltre Brennero – prima a una grande cantina, offrisse un vinaggio a prezzi decisamente competitivi in quanto il signore ne avrebbe acquistato due cisterne. All’azienda, andò bene a me meno. Me ne andai dopo circa 9 mesi (1987) sia perchè ne avevo le azze piene sia perchè ero elegantemente avvicinato alla porta d’uscita, chiamato e poi indesiderato.
Tornai a Milano a lavorare per aziende internazionali : i difetti c’erano ma di meno. Al mio cuginetto prediletto, trentino anche lui ed oggi milanese affermato, dicevo : ” Vedi spesso lavorando si incontra la merda. Se ci metti una mano dentro, in piccole città arriva fino al gomito , in quelle grandi al massimo alla prima falange …”
Senta i saggi consigli degli altri miei colleghi ! E se il suo amore per il trentino ha gli occhi verdi, la porti via, è forse quello che desidera .
Ad integrazione, delle argomentazioni degli altri commentatori. (ri)Pubblico i risultati parziali di una piccola ricerca che avevamo fatto un paio di anni fa, o forse tre, insieme ad Angelo e a Mario Pojer. Mi pare riescano a restituire la fotografia delle ragioni che tengono il trentino inchiodato a se stesso e ad una una ostinata immobilità: “…In Italia si registra mediamente un’azienda che produce vino con proprie etichette ogni 13 ettari di vigneto. Nella Champagne ce ne è una ogni 6,5 ettari, nelle Langhe del Barolo siamo a 7, in Valle d’Aosta a 11, in Alto Adige a 22, in Fanciacorta a 26. Anche nei più prestigiosi distretti del vino veneto, si registra una significativa propensione al pluralismo imprenditoriale nel campo vinicolo: 19 ettari per produttore nella zona del Prosecco Doc, 23 in quella del Bardolino, 35 in Valpolicella, 26 nell’Asolo e 15 sui Colli Euganei. In Trentino, la profilatura vitivinicola si ribalta e si registra invece la presenza di una sola azienda produttrice di vino ogni 70 ettari di vigneto”.
Per me faresti meglio a cercare da altra parte. La situazione da quello che so io è pessima. Negli ultimi anni ci sono stati una botta di fusioni che hanno avuto lo scopo primo di ridurre le spese, risparmiare posti di lavoro. Se le cantine a + b + c avevano 2 enologhi cadauno si è arrivati a ottenere una solo che chiamiamo cantina d e quindi che userà 2-3 enologhi invece di 6 di partenza. Poi devi pensare che con queste fusioni molte cantine sono diventate solo depositi o centri raccolta quindi l’enologo non serve neanche più, metti in conto zero. Pensa all’ultima grossa fusione di poco fa, Lavis+ Girelli+ Cesarini Sforza in Cavit, pensa quanti doppi adesso ci sono che probabile non aspetterebbero altro che poterli licenziare o pensionarli se avessero età giusta… L’altro problema grosso del Trentino è che non c’è rotazione e quindi non si liberano posti perchè sono pigri attaccati al posto fisso e comodo, nel senso che chi prende il posto di enologo in una cantina di solito poi se lo porta alla pensione, anzi vede di cattivo occhio che i cda magari assumano altri che potrebbero insidiare la tranquillità e fare concorrenza e quindi li ostacolano nella crescita e gli fanno fare solo i lavori più infami. Privati: in Trentino mancano completamente le cantine medio piccole perchè fuori delle cooperative ci sono solo piccoli vignaioli che sono enologi loro direttamente oppure hanno figlio, figlia nipote, tutti enologi o enotecnici. Neanche in mente che queste cantine abbiano bisogno di un enologo fisso, a volte usano un consulente proprio per avere una raddrizzata ma anche come consulente in Trentino faresti la fame vuoi per concorrenza vuoi perchè a queste piccole cantinette che parcella puoi pensare di chiedere? Se ti piace la regione prova in Alto Adige, sono diffidenti all’inizio ma poi se lavori bene e ti fai accettare come persona perchè loro sono diffidenti degli italiani ti puoi levare delle soddisfazioni. Scolta me, lascialo stare il Trentino. buona fortuna
caro giacomo,risponderti non è facile,ne sarà certo esaustivo.
ci provo per punti:
-anch’io appena diplomato ho avuto lo stesso problema ed ho girato il mondo e l’italia;prima o poi un posto si trova.
-se invece di giacomo, sei una donna, la possibilità di esercitare la tua professione si riduce drasticamente.a meno che tu non abbia una cantina di proprietà(allora saresti una super enologa),o decidessi di passare la vita in un laboraorio,o forse come tecnico di camagna.
-ci sono in giro troppi consulenti a scapito degli enologi e troppe cantine danno retta a queste persone,che nella maggioranza dei casi si prendono i meriti quando le cose vanno bene e danno colpe quando ci sono problemi.
-come ultima possibilità c’è la classica raccomandazione,che però condizionerebbe gran parte della tua vita professionale,quantomeno nei primi anni.
caro giacomo,spero di non averti confuso le idee,comunque “tegni bota”e buon lavoro
Non ho la pretesa di poter rispondere con cognizione di causa ma chiedo: non è paragonabile a un laureato in ingegneria di un’altra citta che arriva a Mesiano a cercare lavoro a Mesiano? Ha avuto due offerte? Che accetti e poi avrà dalla sua esperienza in Trentino da poter aggiungere in CV…non è un semplice problema di domanda e offerta? é come per. Farmacisti a Pavia, architetti a Venezia ecc ecc. oppure no?
Premesso che ci vorrebbe quasi un trattato, presumo che non saranno in molti a rispondere al giovane enologo, anche se molti avranno letto sapendo cosa dire. Alcuni “quasi” giustificati perché rischierebbero il posto (già successo, ripetutamente). Dico “quasi” perché fintanto l’assoenologi non li tutelerà anche su questo fronte non se ne verrà fuori. La situazione occupazionale nel settore vitivinicolo trentino ha sofferto perché nel mentre San Michele ha continuato a sfornare tecnici su tecnici il sistema si è concentrato in tre oligopoli industriali dove all’apice non c’è più nemmeno un enologo. Sappiamo anche che in rapporto alla superficie vitata (per una pretesa zona “vocata” come la nostra) mancano almeno 300 nuove aziende imbottigliatrici, con altrettanti posti da enologo. Anche il posto dei cantinieri è insidiato dagli enologi che pur di lavorare accettano l’inquadramento nella categoria inferiore: poco nobile l’enologo e ignobile la cantina. Mettersi in proprio è difficile per il prezzo dei vigneti e poca mobilità fondiaria.
Nonostante ciò mi piace l’approccio, meglio metterci la faccia che farsi raccomandare. So che nello specifico non ho risposto, ma forse resta almeno una domanda che potremmo farci noi: come si concilia la pretesa di una FEM più funzionale al territorio se non si fa nulla per aumentare i posti di lavoro? Chiudiamo per un po’ di anni la scuola o mettiamo mano ad un Piano di rilancio ora anche post Covid 19?