Avrei voluto raccontarla io questa bottiglia: Nera dei Baisi, 2015, Albino Armani 1607. Ritrovata in fondo alla cantina in questi giorni di quarantena dedicati (anche) al riordino delle scorte e dei ricordi. Avrei voluto raccontala e raccontarne l’assaggio, perché dietro a questo vino e a questo vitigno “testimone”, c’è una gran bella storia. Che va al di là del vino, che fra l’altro dimostra di saper durare nel tempo con grande temperamento, e delle sue caratteristiche organolettiche.
E invece, invece oggi lascio la parola a mia madre, una donna nata nei primi anni Venti del secolo scorso sulle montagne di Trento da una famiglia contadina, con la quale da due mesi a questa parte condivido (quasi) tutto ciò che bevo, che assaggio e che mangio. Dopo aver sentita la sua esclamazione d’entusiasmo, scappatale già fin dal primo sorso, ho pensato che io non sarei stato capace di fare meglio. Ho avuta la certezza che non avrei trovato parole migliori. E più efficaci. Quindi, questa volta ho lasciato a lei la parola e il giudizio:
Orpo, che bom: par el vim che meteva via me pupà! Ghe nat ancora de ‘ste bozete?
Traduzione: “Ma quanto è buono questo vino, sembra quello che faceva mio padre. Ma ne hai ancora di queste bottiglie?”.
Giornalista e blogger con uno sguardo curioso, e a volte provocatorio, verso la politiche agricole; appassionato di vino, animatore di degustazioni fra amici e di iniziative a sfondo enologico, è tra i fondatori di Skywine – Quaderni di Viticultura e di Trentino Wine. Territorialista, autoctonista e anche un po’ comunista. Insomma contiene moltitudini e non se ne dispiace!