Di Fulvio Mattivi*
(Ordinario di Chimica degli Alimenti presso l’Università di Trento. Insegna Chimica Enologica e Tecnica Enologica nella laurea in Vitienologia)
Era il 18 marzo 1357, secondo un documento presente nella collezione Hippoliti, quando i Pinetani (abitanti dell’Altopiano di Piné in Trentino) acquistavano per 290 fiorini Castel Roccabruna, situato nei pressi dell’attuale Nogarè, dal Principe Lodovico di Brandenburgo, rappresentato dal Capitano del Castello di Pergine. Con il fine di raderlo al suolo e di garantirsi il diritto di circolare liberamente verso un areale dove erano situati i vigneti dove produrre il vino per il consumo familiare.
Come descritto in dettaglio nelle opere di padre Salvatore Piatti, i Pinetani possedevano già allora quasi interamente i vigneti nella fascia collinare soprastante i laghetti della Costa, Canzolino e Madrano situata tra i torrenti Fersina e Silla. Attraversando nei secoli numerose traversie. Infatti la Comunità di Pinè (appartenente al Principato di Trento) confinava per lunghi tratti con la Gastaldia di Madrano (della Contea del Tirolo). I cippi di confine tra questi due territori poterono essere definiti solo nel 1528. Sono moltissime le contese documentate nei secoli per regolare per i Pinetani l’accesso, la coltivazione, la data della vendemmia. Le difficoltà ricorrenti erano ascrivibili al fatto che dovevano osservare le norme del distretto di Trento, dove abitavano, e quelle della giurisdizione di Pergine, dove erano situati i vigneti. La storia insegna che i Pinetani hanno difeso con successo la possibilità di coltivare pacificamente i loro vigneti attraverso 7 secoli.
Sono terreni vocati alla viticoltura, ma ripidi, di limitata fertilità, confinanti con zone a bosco e rocce, sorretti da muretti a secco difficili da mantenere. Di grande interesse storico e paesaggistico e tutelati dal piano urbanistico. Ma di poco o nessun interesse per gli agricoltori professionisti, in quanto non remunerativi. Gli ultimi 50 anni hanno visto un progressivo, sempre più rapido declino di questi paesaggi coltivati che noi tutti diamo per scontati. Li abbiamo sempre visti così, per quanto ancora?
Solo in Trentino, siamo oggi in presenza di una grave minaccia all’esistenza stessa di queste aree agricole. Perché solo qui?
I decreti nazionali preposti a mettere in atto le sacrosante norme di prevenzione del contagio, dopo un lungo blocco, hanno recentemente stabilito che le attività produttive agricole all’aperto destinate all’autoproduzione possono essere nuovamente svolte dai privati, anche fuori dal territorio comunale. Ha iniziato la Sardegna (4 aprile) seguita dalla Toscana (14 aprile). Infine, sabato 18 aprile, la decisione finale da Roma: sono state aggiornate le FAQ sul sito del Governo e la ministra Bellanova ha postato la buona notizia sul suo profilo Facebook. Hanno verosimilmente ritenuto che bisogna difendersi dal contagio, non da chi lavora in campagna in sicurezza. Dunque, quello che era un reato da minimo 533 euro di sanzione dal 18 aprile è permesso, in Italia. Al contrario in Trentino resta ad oggi vietato (e pesantissimamente sanzionabile!).
Ma qualcuno a Trento si è domandato che senso abbia, ai fini della prevenzione del contagio, il distinguo burocratico del confine comunale? Non si poteva fissare una distanza ragionevole sapendo che i 1200 kmq di Roma sono caso ben diverso dai piccoli comuni della montagna? E perché resta vietato solo in Trentino?
Riassumendo, oggi 22 aprile siamo nella settima settimana consecutiva senza poter eseguire le operazioni colturali primaverili “urgenti e inderogabili” (potature, legature, operazioni di difesa) necessarie a garantire il raccolto 2020 e la salute delle piante. La vite è un arbusto che richiede il rinnovo del tralcio ogni anno. La mancata potatura e legatura causa danni enormi rispetto a quelli causati agli alberi da frutto. Molti, tra i proprietari impediti ad accedere, stanno seriamente considerando di abbandonare. Quando, passando in queste ed altre zone alpine nei prossimi anni, vedrete aumentare i cartelli “vendesi” e le piccole terrazze abbandonate, ricordatevi del nome della vittima seppellita senza funerale ai tempi del covid: il buonsenso.
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[*] Fulvio Mattivi – Ordinario di Chimica degli Alimenti presso l’Università di Trento. Insegna Chimica Enologica e Tecnica Enologica nella Laurea Triennale in Vitienologia.
Le sue attività di ricerca hanno riguardato la chimica degli alimenti e l’enologia, studiando in particolare le diverse classi di polifenoli dal punto di vista analitico, tecnologico e nutrizionale. Dopo avere fondato nel 2009, assieme ad un team interdisciplinare, un laboratorio all’avanguardia nella metabolomica basata sulla spettrometria di massa, che sviluppa applicazioni che spaziano dalle piante ai biofluidi umani, i suoi interessi di ricerca in FEM si sono focalizzati nello studio dei composti bioattivi degli alimenti, delle relazioni tra nutrizione, salute umana e microbiota intestinale, e nella ricerca e validazione dei marcatori nutrizionali.
Ha esperienza pluriennale nella conduzione di oltre 30 progetti di ricerca in ambito europeo, nazionale, e nella ricerca industriale. Autore di oltre 160 articoli di ricerca su riviste scientifiche internazionali con Impact Factor, di 3 brevetti nazionali e 2 europei; h-index Google Scholar 54 con >9400 citazioni. E’ nella lista dei Top Italian Scientists (TIS) in Chimica.
E’ attivo nell’organizzazione di numerosi eventi scientifici internazionali nel campo della Vitienologia e della Chimica degli Alimenti.
Tra i suoi hobby di ricerca, è impegnato nella valutazione di nuove varietà di vite tolleranti ai patogeni fungini per l’inserimento in contesti montani dove la viticoltura tradizionale è in fase di abbandono. La finalità è quella di proporre un modello di vigneto sostenibile che richieda un minimo intervento dal punto di vista della difesa, consentendo di ridurre i costi e l’impatto sull’ambiente.
Giornalista e blogger con uno sguardo curioso, e a volte provocatorio, verso la politiche agricole; appassionato di vino, animatore di degustazioni fra amici e di iniziative a sfondo enologico, è tra i fondatori di Skywine – Quaderni di Viticultura e di Trentino Wine. Territorialista, autoctonista e anche un po’ comunista. Insomma contiene moltitudini e non se ne dispiace!
Capisco in toto la lamentela del prof.
Morirei se non potessi recarmi nei campi anche solo per camminare tra le viti “assonnate”, ma una cosa vorrei che comprendesse Lei prof.
Lo stato d’animo che Lei prova ora è lo stesso che proviamo da anni noi contadini desiderosi di crescere sia professionalmente che culturalmente ma a cui nessuno importa, infatti se non c’è un fondo europeo da sfruttare o una legge fatta ad hoc per spillare soldi al mondo dell’agricoltura a nessuno importa della nostra formazione.
Altro che “trasferimento tecnologico”.
Puoi chiedere, scrivere, finché vuoi ma è inutile, la risposta è sempre la stessa: si si… salvo poi cestinare tutto.
Ecco allora professor Mattivi, approfitto della Sua comparsa su questo blog per strapparLe una promessa e cioè che una volta finita la pandemia se il Signore ci darà questa grazia, dall’alto della Sua autorità si ricordi di un mondo periferico, silenzioso, desideroso di aumentare la propria conoscenza anche a pagamento purché si concretizzi.
Se vuole Le fornisco anche un modello, quello austriaco, un portale esclusivo per la formazione degli agricoltori come può vedere da qui:https://oe.lfi.at/onlinekurse+2500++1287229
Ne guadagneremo tutti.
Approfitto poi dello spazio per informare chi riempie le pagine dei giornali, ultimo in ordine di tempo Vita Trentina di oggi, dell’allarme per la mancanza di api, rondini ecc naturalmente per colpa del contadino che inquina,
vorrei dire loro che, anche se Coldiretti sostiene il contrario per ovvi motivi, tra pochi anni chi mancherà sarà proprio l’agricoltore e allora saranno cavoli amari per tutti e non so di cosa si ciberanno questi nostri giornalisti illuminati.
Consiglio loro di uscire appena possibile dalle loro redazioni e di farsi un giretto in campagna, scopriranno cosi che di api ne abbiamo a sufficienza e che le rondini appena ci saranno le condizioni ideali (vento di scirocco) arriveranno e allieteranno le nostre calde giornate estive.
Caro Giuliano, va bene tutto ma dire “che di api ne abbiamo a sufficienza ” mi ricorda un pò i negazionisti del cambiamento climatico…. fra smog,clima e sicuramente anche l’utilizzo di fitofarmaci il calo drastico nella popolazione delle api è riscontrabile in tutto il mondo
Perfetto : se una volta si prendevano lucciole per lanterne adesso prendiamo pure le api – poverelle
Se non vuole ascoltare denunce e proposte di questo blog, dia retta il Presidente Fugatti (che pure ha le radici nelle vigne) almeno al Prof. Mattivi e liberi chi coltiva anche solo un fazzoletto di terra. Non sono anche costoro guardiani del territorio?
Ciao Giuliano, ora segnalo il tuo intervento al professor Mattivi. Vediamo quale è il suo punto di vista….!