Ieri sera, tanto per non farmi mancare nulla, sono riuscito nell’impresa (im)possibile di farmi andare di traverso questa ottima bottiglia (Gabrjol 2019 – Albino Martinelli Viticoltore in Vallagarina ) e insieme con essa, essa la bottiglia, anche il piatto degli altrettanto ottimi asparagi di Zambana che l’accompagnavano.
Fra un sorso e l’altro e un boccone e l’altro, infatti, mi è apparsa come in un incubo anfetaminico la faccia astemia di quel manager cooperativo, ieri come oggi in gran carriera, che alcuni anni fa (mica tanti: tre o quattro), dalla cattedra di un convegno dedicato ai vitigni resistenti, senza vergogna sentenziò più o meno così la loro (dei vini da vitigni resistenti) condanna a morte (che per fortuna, però, nonostante tutti gli sforzi cooperativi profusi non è avvenuta): «Sono vini poco apprezzati dai consumatori; il consumatore non li capisce. Non c’è futuro in questa roba». Traduzione dal lessico industrialcooperativo: i Piwi sono una cacca.
Pensavo, ieri sera mentre questo vino mi stava andando di traverso insieme agli asparagi, che bisognerebbe fargliene bere una bottiglia intera all’innominabile astemio sempre più in carriera fra Trentino e Veneto. Anche a costo di ricorrere ad utensili propri e impropri come l’imbuto. Per poi chiedergli cosa ne pensa.
Sì, perché questa cuvée PIWI, in cui si riconoscono un aggraziatissimo Sauvignon Gris e la mano esperiente di un enologo come Flavio Cristoforetti, da anni impegnato con la vinificazione dei resistenti, è proprio buona. Ma buona davvero. E vorrei proprio vedere con quale faccia il consumatore medio, ma anche quello alto, la schiferebbe.
Comunque, veniamo al vino di ieri sera. Ripeto buonissimo e bevibilissimo. E, cosa che non guasta, venduto in cantina ad un prezzo più che onesto: 7 euro.
Nel bicchiere il colore è di un bianco brillante e cristallino che evoca la trasparenza. Anche la trasparenza di un’idea e di una filosofia di fondo: quella dei coltivatori e vinificatori di PIWI. Lo spettro olfattivo è elegante, prevalgono le sensazioni fruttate mature nonostante la giovinezza vendemmiale: la mela golden, la pesca bianca e la banana. Frammiste a sbuffi erbacei medicinali mescolati a nuances di rosa. L’ingresso in bocca è dritto, verticale. D’impatto. Con la giusta acidità che eccita le mucose senza rovinarle. La materia prima c’é: è tutta polpa matura di frutto esotico e di erbe e di fiori aromatici. E di polpa se ne sente tanta. É proprio una bontà, questo PIWI. E resta una bontà, non una cacca come preconizzavano gli astemi becchini cooperativi. Una bontà. Non una cacca.
Giornalista e blogger con uno sguardo curioso, e a volte provocatorio, verso la politiche agricole; appassionato di vino, animatore di degustazioni fra amici e di iniziative a sfondo enologico, è tra i fondatori di Skywine – Quaderni di Viticultura e di Trentino Wine. Territorialista, autoctonista e anche un po’ comunista. Insomma contiene moltitudini e non se ne dispiace!