[illustrazione a cura di Domenico La Cava©]
Martin Foradori Hofstätter, il celebre produttore pinotnerista di Termeno, per mandare avanti le sue campagne si avvale di lavoratrici straniere. Nello specifico romene. E va bene. Niente di male (o tutto di male) nel ricorrere stabilmente e strutturalmente al cosiddetto esercito industriale di riserva.
Siccome nei giorni scorsi le sue otto lavoranti erano state bloccate dal sovranista Orban al confine ungherese, il più figo fra i vigneron alto atesini se le è andate a prendere con un jet privato partito da Bolzano. Bene. Ancora niente di male (o tutto di male).
Invece è sconcertante, e fa passare in secondo piano, quasi come un peccato veniale, perfino l’esibizione erettile del jet privato comunicata alla stampa amica, il sottofondo culturale che orienta il pensiero neoliberista vibrante fra le vigne di Mazon: «Qualcuno potrebbe obiettare – ha dichiarato il padrone del pinot nero al quotidiano l’Adige – che mi sarei potuto rivolgere ai numerosi disoccupati presenti nel territorio ma non è così. Ci abbiamo anche provato ma chi abbiamo ingaggiato per fare una prova dopo due ore se ne è andato, perché il lavoro era troppo affaticante. Le chiacchiere dei politici e rappresentanti di categoria inoltre ci hanno fatto anche perdere tempo».
Insomma, il capitalismo agrario nella sua versione globalizzata e delocalizzata – non potendo spostare la vigna, si sposta la mano d’opera, con il barcone o con il jet non importa – ha fatto presa fra le campagne del Sud Tirolo. Non da ora, chiaramente. Ma ciò che qui cambia le cose e la prospettiva e le rende indigeribili, è il fastidio, l’insofferenza e lo sprezzo che il pinotnerista da copertina mostra orgogliosamente di coltivare – con la stessa minuziosa dedizione con cui coltiva la vigna – nei confronti della pratica di base delle relazioni industriali che, finito per fortuna il tempo della mezzadria (ma forse Martin è anche un coltivatore di romantiche nostalgie padronali), strutturano almeno decentemente i rapporti di lavoro nell’occidente europeo.
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.
ho visto un servizio sulla produzione di pesce persico in africa(sconcertante..!.. : per il mercato occidentale tutte le regole sanitarie e i protocolli rispettati….per gli indigeni il baratro!)e non ho più comperato pesce persico.
per tutta la vita potrò fare a meno facilmente di quel pinot nero.
Sì, ne farò a meno anche io. Farò a meno di Mazon, di Bartheanu, di Maso Michei, di Meczan. Perché se il vino racconta la relazione fra uomo e territorio, con tutte le sue contraddizioni, il jet non riesco a contemplarlo. E non riesco a contemplare, nel terroir, nemmeno l’uso del marketing che sprezza e disprezza la decenza delle relazioni sindacali.