«Comunico che l’altro ieri sono stato LICENZIATO da Cantina Toblino dopo 38 anni al servizio dell’Azienda. Mi viene additato un garbuglio burocratico che contesta il mio zelo preciso, prudente e per aver voluto uva BUONA. Stessa sorte anche per un mio collega, nell’indifferenza di un CdA che non ha nemmeno voluto ascoltarci».

Con queste parole, ieri, l’enologo Lorenzo Tomazzoli ha annunciato urbi et orbi il suo licenziamento per giusta causa (?) dalla Produttori di Toblino. Tomazzoli, storico winemaker della coop della Valle dei Laghi e maître à penser di una scuola enologica santificata per due anni consecutivi (2020 e 2021) sull’altare dei Tre Bicchieri, quindi, è stato messo alla porta. E insieme a lui, il benservito è arrivato puntuale anche al suo braccio destro: Marco Pederzolli.

I vertici della coop, il più prestigioso e prezioso vignaiolo collettivo espresso dal Trentino, non commentano e soprattutto non danno spiegazioni. Mentre i due lavoratori licenziati si limitano a generiche allusioni a non meglio precisati e pretestuosi “garbugli burocratici“.  Quindi è prematuro, ora, entrare nel merito di una vicenda maleodorante che, e almeno questo si capisce, si annuncia densa di orizzonti processuali.

Tuttavia, un paio di osservazioni, anzi di domande, sembrano perfino scontate.

Perché il terremoto si abbatte su Toblino proprio nel momento in cui i vini di questa cantina stanno riscuotendo, meritatamente, successi internazionali uno dopo l’altro, spingendo il piccolo marchio trentino a livelli di prestigio mai cosi alto prima d’ora? Perché proprio adesso si scatena una devastante bufera che ha l’odore di un putrido pantano?

L’altra domanda è questa: ma sul serio (nel senso che  qualcuno seriamente può sostenerlo senza arrossire) l’amico del giaguaro domiciliato a Ravina di Trento, un consorzione di secondo grado che si colloca fra i primi 3 o 4 colossi nazionali del settore, e nella cui orbita si posiziona anche la Produttori Toblino, non è in grado di ammortizzare e di mettere in tutela fragilità aziendali come queste, che rischiano di azzoppare  anche uno dei rari, e ultimi, cavalli di razza del Trentino? E non è la prima volta:  lo sfacelo che ha brutalmente normalizzato la Mori Colli Zugna, e prima ancora Isera e Avio e Athesia, è ancora carne viva nelle campagne lagarine. D’accordo le situazioni, forse, erano diverse ma le conclusioni e i contesti di riferimento sono pericolosamente simili. E  sovrapponibili. Ma sul serio l’amico del giaguaro non dispone degli strumenti di conciliazione e di composizione per attutire le frizioni aziendali che periodicamente ammorbano (?) il sistema? Oppure, l’amico del giaguaro, preferisce stare ad osservare. Comodamente, e gioiosamente, adagiato sulla riva del fiume a contare i cadaveri (territoriali) che passano?

Le risposte, per ora, non affiorano. O meglio, affiorano ma preferisco tenerle per me. Per evitare medaglie di cui faccio volentieri a meno. Tuttavia, la sensazione che anche questa storiaccia, che sta già diventando carne per gli avvocati e per il  gossip foraggiato dalle malelingue aduse ai servizietti orali da retrobottega istituzionale, sia da ascrivere alle debolezze strutturali del sistema vino trentino; una potentissima macchina industriale del beverage globalizzato a cui tuttavia non corrisponde un’altrettanto solida comunità territoriale identitaria e solidale.

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