Ma come, la Produttori di Toblino non era il più prestigioso vignaiolo collettivo del Trentino? Non era il cavallo di razza della Valle dei Laghi? Non era la cantina che riduceva volontariamente le rese in campagna, fino a 90 quintali/ettaro? Non era la cantina del biologico diffuso? Non era la coop capace di gestire in proprio un’azienda agricola gioiello così efficiente da far invidia persino alla Real Casa? Lo era o non lo era tutto questo? E lo è ancora? O era tutta fuffa? O è tutta fuffa?
Le domande sorgono spontanee, quando si scopre, come è accaduto in questi giorni (leggi qui e qui), che il campione enologico abituato a collezionare Tre Bicchieri su Tre Bicchieri e tantissimo altro in giro per il mondo, si è incartato dentro una opaca questione di vino merce da 8,5 gradi alcolici destinato ad una IGT anabolizzata (legalmente, si intende) da alchimie concentrate.
Perché, dai 90 quintali ettaro di uva agli 8,5 gradi alcol, verosimilmente frutto della pratica degli esuberi (ma dove? In campagna o in cantina?) ne scorre del vino. E ne affiorano delle domande; domande legittime credo, nonostante il sempre più smarrito presidente della coop, Bruno Lutterotti, si ostini a considerare le domande dei giornalisti come intollerabili ingerenze negli interna corporis dell’azienda. E poi, se questo capita(va) a Toblino, cosa succede verosimilmente in altre cantine meno blasonate, meno attenzionate e più inclini allo sfuso?
Resta, per ora, la sensazione che a parte chi questa storia non la vuole proprio raccontare, i vertici della coop, anche chi la racconta (i due enologi licenziati) la stia raccontando solo a metà. E probabilmente non si tratta nemmeno della giusta metà.
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.
Vorrei portare alla discussione il mio punto di vista da osservatore indipendente. Visto che andrò controcorrente, mi aspetto di essere sbertucciato, attaccato o censurato, ma bisogna provare a guardare le cose da diverse angolazioni per avere una visione completa. Tengo a precisare che non faccio alcun riferimento a nessuna delle persone coinvolte nella vicenda, che peraltro non conosco. Il mio vuole essere quindi solo un discorso generale. Avendo a che fare per motivi professionali con varie cantine trentine e non, una delle cose che mi ha sempre compito in negativo è la stabilità professionale che c’è all’interno delle coop trentine. La maggior parte delle persone che ci lavorano inizia giovanissima, magari appena diplomata. Fa tutto il percorso professionale nella stessa azienda. Infine muore (professionalmente) nella stessa, nel senso che ci rimane finchè va in pensione. Tanti vedono questo come una cosa positiva, perchè dicono che è sintomo di attaccamento, legame stabile ed indissolubile, azienda-famiglia eccetera. Per tanti altri tra cui mi metto anch’io questa cosa è negativa, scredo che una cantina (o un ristorante, o qualunque altra attività) per crescere ha bisogno di ricambio di personale, perchè ogni persona nuova che entra in una società magari non farà tutto giusto ma comunque porterà cose nuove, idee diverse, punti di vista diversi eccetera. Invece se guardiamo le cantine trentine hanno quasi tutte direttori, enologi, ragionieri, impiegati, cantinieri che fanno tutta la vità lì, in un sistema bloccato, molto trentino come mentalità se vogliamo. E se arriva qualcuno da fuori c’è una sorta di rigetto, un nuovo collega o un consulente dai quali si potrebbe magari ”succhiare” qualcosa di nuovo viene visto come un concorrente, qualcuno che può rompere l’egemonia, un pericolo! Il pensiero ricorrente è ”quello lì non vorrà mica venire sul mio ad insegnarmi come si fa?” Perchè poi quando uno lavora in un certo luogo per 10,20,30 anni inizia a sentire l’azienda come sua, che per certi versi sarà anche positivo ma per altri aspetti è cosa negativa perchè poi magari si vuole mettere davanti a proprietà, o direzione, o cda, contestandone le decisioni e ragionando come se l’azienda fosse per l’appunto sua. Questo fatto delle professionalità bloccate credo che sia un problema anche per i lavoratori stessi, che non confrontandosi con nuove realtà professionali perdono l’occasione di migliorare il proprio curriculum e le proprie conoscenze. Dal mio punto di vista, anche il peggior enologo può portare cose nuove e magari positive ad una cantina. Invertendo il discorso, anche andando a lavorare in una pessima cantina un enologo può imparare delle cose utili. Sono i benefici degli spostamenti del personale tra aziende, cosa che da quello che ho capito in Trentino è praticamente inesistente. Spero di non aver creato malumori, ma il mio voleva essere come ho detto dall’inizio un modo diverso di guardare le cose, prendendo spunto da quanto successo in questi giorni.
Saluti Osservatore e grazie per questo tuo punto di vista. Mi pare molto, ma molto, ragionevole quello che scrivi. In realtà io non ci avevo mai pensato; ma mi pare, sul serio, una questione dirimente quella a cui alludi tu: e forse è causa e conseguenza del blocco cooperativo che immobilizza il trentino del vino, e non solo, da almeno 30 anni. Quindi grazie per il contributo!
Sono indipendente anch’io, quindi è improbabile avere la stessa opinione. Il pensiero dell’amico osservatore, infatti, mi lascia più di qualche perplessità. Alla fine del ragionamento vien fuori che per fare un vino al top bisogna … travasare enologi che abbiano fatto esperienze fuori dal territorio. Questo assunto sta in piedi solo per zone troglodite, dove operano tecnici trogloditi, che quindi hanno bisogno di mettersi al passo. Era il caso di questo Paese diciamo fino a 40 fa. Ora i fondamentali li hanno tutti, dal Brennero a Capo Passerò, tant’è che è difficile incappare in un vino italiano scorretto. Ci ricordiamo le ossidazioni? E la moderna tecnologia del freddo per le vinificazioni in bianco, ecc.
Oggi, oggi il turn over di dirigenti e consulenti per territori che fanno del “territorio” un pilastro su cui costruire immagine e notorietà è stato deleterio. Non voglio dilungarmi, basta la standardizzazione delle tipologie favorita dalla globalizzazione per dimostrarlo. Da qui al vino-merce il passo è breve.
È questo che vogliamo per il Trentino? Pare di sì. Soprattutto perché è maledettamente comodo per tutti, dal produttore al consumatore, passando ovviamente dagli amici enologi che – restando negli standard – non hanno più problemi, come non ne hanno più i CdA delle Cantine sociali.
Peccato che in questo modo finisca un mondo, quello del vino di qualità caratterizzato dal rischio del produttore nel coltivare una varietà/tipologia diversa da quelle che si vendono facilmente (basta un prezzo basso), dal rischio del cantiniere cui un vino può anche non riuscire, dal rischio di un amministratore che potrebbe pagare per scelte non…paracule, dal rischio del consumatore di doversi informare, ma anche di confrontarsi col suo gusto senza abbandonarsi alle indicazioni di wine maker prezzolati…
Insomma: quella di mescolare i tecnici non mi pare una buona idea, mentre sarebbe molto meglio stimolarli al confronto – questo sì – con colleghi che hanno fatto altrove buone esperienze. Del resto, nei …. territori che resistono, in Italia e all’estero, questo fanno i loro tecnici. Credo non serva la lista.
Per chiudere, tornando a bomba con l’allontanamento degli ultimi due enologi, la domanda semmai da farsi è: chi sarà il prossimo?
Il prossimo, per salvarsi, dovrà assumere profilo basso e non alzare la testa. Mai. Prima o poi la lama che ti capitozza ti becca. Parlo per esperienza diretta. Però …c’è un però.
Non è ancora sera per il Trentino e la storia non la scrivono i protagonisti, ma i posteri. Spes ultima dea, e nessuno è ancora riuscito a eliminarla.
PS: ecco, il Roscato mi sembra perfetto.
Signor Rossi mi sa che non ha capito, non si parla di non saper prevenire una ossidazione o gestire una fermentazione. Si parla di un sistema cooperativo chiuso, soprattutto a livello mentale. Sistema chiuso del quale gli stessi interpreti parlano spesso male e in modo critico. Ma dal quale quasi nessuno se ne va. Perché probabilmente nella cooperazione trentina così male non si sta. E forse è rischioso mettersi in discussione in un altro contesto. Quindi più comodo rimanere e difendere il fortino da eventuali ingerenze esterne.
Disagio per anonimato a parte, non so chi non abbia capito i termini della questione. Se si può convenire sull’analisi, la ricetta non può essere quella di “mettersi in discussione in altro contesto” auspicando l’arrivo di illuminati da fuori. Se i mugugni ci sono, questi sono sempre per i vertici che da vent’anni hanno blindato un sistema che di cooperativo non ha più molto, ma molto di industriale. Due anime che non sono antitetiche, potrebbero convivere in sinergia, invece una prevarica l’altra. E lo sconfitto è in definitiva il territorio. Peccato.
Va bene, abbiamo punti di vista diversi, ci sta. Il mio è che se una presidenza, un cda, una direzione decidono di avvalersi di nuove professionalità o di consulenze esterne per migliorare le performances aziendali devono farlo e stop. Senza dover rendere conto a dipendenti subalterni che magari si sentono scavalcati o demansionati. E magari invece potrebbero vedere la cosa come un’occasione di crescita professionale. Mi ripeto: non faccio nessun riferimento specifico alla situazione di Toblino dove non conosco fatti e persone. Il mio è un discorso generale relativo al sistema cooperativo trentino, alla mentalità trentina in tutte le categorie e alla sua ritrosia ad aprirsi all’esterno. Ed è un punto di vista personale, quindi assolutamente non condivisibile. Saluti e buon lavoro.
È l’Autonomia, bellezza! Che comprende il gusto di sbagliare da soli. Ricambio l’augurio di buon lavoro.
Credo che se c’era un tecnico aperto alle novità, all’innovazione e alla sperimentazione ero io.
Primo a fare un rosso con uve passite (Elimaró)
Primo a vinificare goldtraminer e kerner (in Trentino)
Primo a scommettere che una Nosiola si può imbottigliare dopo otto anni.
Per il motto “territoriocheresiste” ho voluto rispolverare a Toblino la Schiava scura, con vinificazione in tino tronco-conico, FML ed affinamento in botte grande.
Primo a provare la macchina ideata da Mario Pojer per il lavaggio delle uve.
Unico enologo Trentino che DOPO i 42 anni di età ha fatto tre vendemmie in Chile.
Primo enologo a sostituire, su certe partite, l’arricchimento con MCR, con la concentrazione parziale.
Primo enologo di Coop a mettere insieme una linea bio di tutto rispetto.
complimenti, con un curriculum così non farà fatica a ricollocarsi. Il sogno di ogni cacciatore di teste…
buona serata.
De Biasi ha XXXXXXXXXXXXXXX
De Biasi ha XXXXXXXXXXXXXXX
De Biasi ha XXXXXXXXXXXXXXX
De Biasi XXXXXXXXXXXXXXX
De Biasi da tutto l XXXXXXXXXXXXXXX
De Biasi compra vino XXXXXXXXXXXXXXX
De Biasi licenzia Tomazolli e Pederzolli perché non dicono “signorsì!”
C’è del marcio a Toblino!
Caro Marcio, questo è un blog. Non è il tuo profilo facebook. Ci sono regole minime da osservare, quando si lanciano accuse come le tue: e il minimo è mettere il nome e il cognome. Altrimenti l’unico responsabile oggettivo sono io, titolare del dominio. E perdonami, ma siccome non ti conosco, non posso rischiare di ricevere altre medaglie in vece di uno sconosciuto.
Caro Lorenzo, come vedi ho parzialemnte oscurato anche il tuo commento: hai alluso a comportamenti e iniziative che potrebbero integrare fattispecie di reato. Su cui io, che sono unico responsabile di questo blog e anche dei commenti che vi sono pubblicati, non so nulla e soprattutto di cui non ho visto documentazione. Per questo la parziale censura.
Saluti.
Accetto la provocazione e rispondo! Non è mio costume nascondermi dietro a pseudonimi e quindi qualcosa racconterò e firmerò!
La verità, anche noi, licenziati da Toblino, la raccontiamo a metà; tutti possono capire che io e Marco Pederzolli stiamo vivendo un momento delicatissimo, dove le parole vanno pesate non una ma dieci volte. Sono però convinto che, come scritto da Pederzolli e confermato da un membro del CdA ( vedi il quotidiano L’Adige di oggi 24/10) la faccenda “8,5 o 9 gradi minimi naturali” sia un pretesto, che la contestazione disciplinare che ci è stata mossa sia stata confezionata da tempo e messa a riposare in un cassetto della Direzione per quando c’è ne fosse stato bisogno.
Ci è stato contestato un danno economico senza specificare “quanto” e nessuno lo quantificherà perché noi abbiamo tutti gli elementi per dimostrare il contrario.
Gigi Zoppello nel SUO articolo di ieri (23/10) dice che i problemi a Toblino sono iniziati con l’arrivo di De Biasi (17 ottobre 2016) ma lo devo in parte smentire perché per me i problemi SERI sono iniziati nella vendemmia 2018, all’arrivo a Toblino del super, iper, mega consulente di fama nazionale, biologico, biodinamico ma…. Macchiavellico, e chi conosce Machiavelli sa qual’era il suo motto!
Lasciamo poi perdere l’assunzione, il 4 novembre 2019 di un ex Zonin, con la qualifica di “coordinatore del reparto produttivo” figura unica nelle Cantine di primo grado del panorama vitienologico Trentino; ma ciò che ha fatto tirar fuori dal cassetto la letterina è stato l’aver segnalato a Direzione, Presidenza e Vicepresidenza XXXXXXXXXXXXXXXXXX
XXXXXXXxxxx xxxxxxxx
xxxxxxxxxxxxxx xxxxxx xxxxxxxxxxxxxxx
xxxxxxxxx xxxxxxxxxxxxxxx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx
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xxxxxxxxxxx xxxxxxxx xx ed anche
per tale motivo ci è stato impedito di spiegare le nostre ragioni al CdA stesso.
15 euro valgono bene una Messa..
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