Il pasticciaccio brutto della Valle dei Laghi si complica di giorno in giorno: dopo il licenziamento dei due enologi, dalla coop vinicola se ne sono andati anche alcuni soci, che insieme ai loro 4 mila quintali d’uva (più o meno il 5% della materia prima a disposizione della cantina) hanno fatto rotta verso l’Agraria di Riva del Garda.
Una storia che, al di là degli aspetti legali, procedurali e perfino personali, sembra disegnare la traiettoria contrastata, zigzagante e dolorosa della vitienologia trentina e cooperativa del terzo millennio. Toblino, in questo senso, è solo un altro pezzo del mosaico in linea con la parabola decadente e normalizzatrice cominciata a Lavis e proseguita a Nomi, Isera, Mori e Avio. Un percorso, anche questa volta, avvolto nell’opaco silenzio della politica provinciale di governo a cui pure spetterebbero, mai usati e mai sperimentati, compiti di indirizzo e di orientamento del settore. Chi dovrebbe non solo vigilare ma trarre anche delle conclusioni e organizzare una strategia dignitosa per il futuro, oggi come ieri preferisce trincerarsi dietro una coltre di peloso, ma comodo, silenzio: dimostrando che alcuni esemplari, in verità sempre meno rari, della specie umana, possono sopravvivere beatamente anche senza testa.
L’assessore all’Agricoltura Giulia Zanotelli, della cui esistenza nel mondo dei vivi si ha percezione solo per il delizioso caschetto d’oro che le cinge le parti vaganti fra le nuvole, sollecitata da Territoriocheresiste si è seppellita dietro la fitta mole dei “numerosissimi impegni della sua agenda politica”, affidandone l’imbarazzante annunciazione al capo di gabinetto. Allo stesso modo l’assessore alla Cooperazione, Mario Tonina, ligio all’aureo principio doroteo che suggerisce di ispirarsi sempre al proverbiale “bel tacer che non fu mai scritto“, invece non è riuscito nemmeno a trovare il tempo, o il coraggio o le palle, per pronunciare un “no” di cortesia alla nostra richiesta di una breve intervista.
Sul tavolo della politica provinciale la vicenda di Toblino, e tutto il resto, ci è arrivata comunque grazie ad un’interrogazione del consigliere di opposizione Filippo Degasperi. Certo, meglio di niente: ma questa azione, che purtroppo arriva dal fronte di una minoranza solitaria e trasognata, non ristora e non risarcisce il doloso e complice silenzio del governo provinciale sull’ennesimo vulnus all’immagine, e alla sostanza, del comparto.
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È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.
Però…però…aiutatemi a capire. Il mondo del lavoro in generale è sporco, brutto e cattivo. Paghe da fame, sfruttamento, poche gioie e molti dolori. Demansionamenti, licenziamenti più o meno motivati, mobbing sono all’ordine del giorno in molti settori. Perchè quindi in questo caso dovrebbe intervenire addirittura la politica? Gli enologi sono una categoria protetta, tipo i panda giganti cinesi? Casomai avranno una lora associazione sindacale che lo fa. O lo farà un giudice del lavoro, o la giustizia ordinaria se si andrà per tribunali. Ma mi volete spiegare perchè se ne dovrebbe occupare la politica, che Dio voglia ma i politici avranno ben problemi più gravi da gestire, soprattutto in questo momento storico devastante con la crisi sanitaria, sociale ed economica che stiamo passando.
Caro Ezechiele, intanto ti ringrazio del commento, perché mi permette di chiarire quello che chiaro probabilmente non è.
Da molti anni invoco, in realtà insieme a pochi altri, un ruolo attivo della politica trentina in agricoltura. E più lo invoco, più la politica se ne allontana. E più, di questo comparto, in Trentino, se ne occupano i manager industriali senza patria (o, per dirla in dialetto, senza né dio né regno).
Ora, il caso di Toblino non è rilevante, politicamente rilevante, per i due licenziamenti. Su cui discetteranno sindacati e giudici del lavoro. Però è invece rilevante, fino a diventarne chiave di lettura, se inquadrato dentro il suo contesto e dentro la traiettoria della vitienologia trentina di matrice cooperativa degli ultimi 30 anni: orfana di una pianificazione politica, di un indirizzo politico, di un orientamento collettivo e condiviso.
Ti ricordi i vari Piano Vino (3, almeno 3) di una decina di anni fa: non solo non se ne è fatto più nulla, ma oggi non appare più nemmeno una questione da mettere in agenda. Una discussione, e una programmazione, di cosa sia, e di cosa debba diventare, la filiera agroenoalimentare trentina, quindi il territorio che è un valore e un patrimonio condiviso, non è più nemmeno un argomento all’ordine del giorno della politica.
Di questo volevo parlare con gli assessori, non dei licenziamenti dei due enologi sindacalizzati. Di cui pure la politica forse si potrebbe interessare. Ma non era su questo tema che volevo intrattenermi con gli assessori. Avrei chiesto loro come mai in Trentino, ogniqualvolta una cantina cooperativa prova ad emanciparsi dalle linee standardizzate imposte dal mercato globale, viene sepolta sotto un mare di merda. Avrei voluto chiedere loro, se si siano fatta un’opinione. Se su questo processo decadente (Lavis, Nomi, Isera, Mori, Avio) si sono formati una opinione. E se per caso abbiano elaborata un’idea di futuro per contrastarla. La decadenza.
Canzone adattissima alla bisogna: Italia di Venditti..
Pronti anche con Venditti!
Gli Assessori non rispondono ai giornalisti perché avranno già chiesto lumi a Lutterotti, presidente di Toblino; costui infatti, dopo essere stato presidente di Cavit, presidente del Consorzio Vini, vicepresidente vicario per pochi mesi della Federazione Trentina delle Cooperative e dopo aver mestamente perso tutte queste cariche ora lo si può trovare proprio in Piazza Dante a fare l’usciere della PAT.
Gli assessori in silenzio-stampa mi mancavano.. Fateli chiamare da Hannibal Lecter..
errata corrige:ammetto
ametto che rifugiarsi spesso dietro il testo di una canzonetta,forse corre il rischio di banalizzare gli avvenimenti e non posso certo dire di vantare chissà quale specifica conoscenza dei fatti.
ne tantomeno di proporre delle soluzioni.
però tutte queste faccende mi evocano “mangiafuoco”di bennato……adesso me la riascolto cercando nei volti dei personaggi,le varie figure istituzionali e non.
ad majora
ti prendo in parola….mi sembra la canzonetta d’accompagnamento perfetto: e la inserisco!