Non c’è proprio niente da festeggiare.
Ci mancava solo l’omicidio di Agitu in questo funesto 2020. Sospesi fra molti dolori e qualche speranza, non si vedeva l’ora di archiviarne la fine piuttosto che prepararsi a festeggiare l’anno nuovo. Quella martellata assassina su Agitu – ne sono certo – se la sentono addosso anche quanti, come lei, si sono battuti e si battono per il territorio. Lo stanno dicendo un po’ tutti che Agitu, con i valori alti che professava, aveva sempre il territorio come sfondo. Lo dicono anche quei pochi che il territorio lo stanno sfruttando brutalmente, ma sono quei pochi che lo hanno in mano per la maggioranza. E noialtri impotenti con la tastiera in mano.
Certo, Agitu era di una razza superiore, combattiva e colta. Mi stava simpatica sia per la sua battaglia impossibile in uno dei siti più difficili, ma anche perché era etiope: la razza delle razze da cui discendiamo tutti. E questo nel subconscio poteva dare fastidio agli ariani, non meno che all’africano che l’ha ammazzata.
Leggo che voleva tornare nella sua terra, ma che prima aveva un progetto per migliorare la sua esistenza nel sito che l’aveva adottata.
Agitu ci lascia in eredità, quindi, l’amore anche per questo territorio. Non dovremo sprecarla, questa testimonianza. Senza manometterla e piegarla ai nostri cosiddetti bisogni.
I bisogni, appunto. Che bisogno abbiamo di concentrarci solo o soprattutto sui temi economici quando la pandemia ha posto in cima alla scala il valore primario della vita? Il benessere dà soddisfazione, ma non è detto dia anche felicità. Anelare alla felicità coniugandola alla ricerca del benessere può essere l’obiettivo di una società post materialista. E in questo contesto il territorio dove si vive diventa centrale.
A fine anno si tirano le somme anche per il territorio vitivinicolo, con poche luci e le ombre di sempre. Fra le luci certamente la performance delle grandi cantine che hanno alimentato una GDO strategica in tempo di pandemia, mentre il canale Ho.re.ca <ho.re.ca/>. ha segnato il passo. Ma questo non autorizza nessuno a considerarla – per il territorio – l’unica soluzione. Anzi, è tempo di far tesoro dell’insegnamento di Agitu e di tornare alla giusta sua valorizzazione: rispetto per l’esigenza industriale, ma anche sviluppo per le centinaia di etichette che mancano per testimoniare la nostra valenza territoriale. Per davvero crediamo di risolvere felicemente il nostro futuro con le tre etichette dei nostri oligopoli? Come si fa, tanto per dirne una, a non programmare qualcosa che aiuti i viticoltori della media-alta collina che da anni spendono più di quanto guadagnano non avendo nemmeno la soddisfazione di vedere valorizzati sugli scaffali i loro Chardonnay e Mueller Thurgau?
Dell’estremo bisogno trentino di programmare ha scritto in questi giorni il proffessor Andreaus, mentre noi stiamo ancora aspettando di sapere che ruolo avrà la FEM prossima ventura, che stimoli darà mai l’assessorato all’agricoltura, cosa intendono fare il Consorzio Vini e i Vignaioli, ecc. ecc.
Agitu, pensaci tu.