In questi giorni è mancato Sergio Ferrari, il decano dei giornalisti agricoli. Era stato professore di Scienze, Patologia vegetale, Entomologia e altro all’Istituto Agrario di San Michele dove aveva formato centinaia di tecnici. Lo abbiamo pianto come ex allievi, lo ha pianto – in modo diverso – anche chi lo conobbe e ne ebbe a che fare nella sua veste di giornalista specializzato. Specializzato sì, nel senso che conosceva bene le cose di cui scriveva e quando non ne sapeva abbastanza andava a scavare sotto e sopra e pure dietro. Non si limitava a riportare i fatti, ma ci metteva del suo, come commento e più spesso come critica. Per alcuni critica costruttiva, per altri – quelli tirati in ballo – critica gratuita, deleteria e quindi da imbavagliare.
Un giornalista d’altri tempi, poco avvezzo ai social, ma attaccato al telefono e frequentatore assiduo delle conferenze stampa non meno che dei sopralluoghi. Alle conferenze stampa non ritirava solo le veline ma era spesso l’unico a fare domande di chiarimento e indagare su questioni su cui si era glissato. Ovvio che risultasse scomodo, per usare un eufemismo. Perché se volevi una notizia circostanziata, era la sua versione che si leggeva.
Aveva un’agenda con decine di numeri di telefono di personaggi da contattare, a seconda della notizia da avere o verificare. Se in confidenza, come con ex allievi suoi al lavoro in punti chiave, la domanda era ovviamente più diretta: dammi ‘na bomba! A chi non piacerebbe avere una notiziona in esclusiva? Ma quanti erano disposti a rischiare la seggiola per far piacere al vecchio professore? Chi dirigeva una cooperativa o un consorzio, infatti, era spesso anche segretario del CdA e segretario – istruiva un altro Maestro – deriva da segreto, quindi la riservatezza doveva essere assoluta. Nemmeno il prof. Ferrari ha mai tradito le sue fonti, pur pubblicando spesso notizie-bomba. Ci arrivava con la sua tenacia mettendo assieme una mezza ammissione con un silenzio sospetto… tre indizi sono una prova, insomma.
Come lui non se ne vedono altri all’orizzonte e con lui – speriamo di no – rischia di sparire un certo tipo di informazione, che poi è formazione. Sono cambiati i tempi si dirà, c’è un cambio generazionale con le nuove leve poco disposte a farsi il mazzo, con le nuove difficoltà che pure non mancano.
Forse è anche per queste considerazioni che il coro di chi lo ha rimpianto è stato generale, ma la cosa in qualche modo disturba. Perché Sergio Ferrari non andava a cercare l’unanimità delle opinioni e il plauso generale, sapeva benissimo che il suo modo di porsi e di scrivere avrebbe infastidito o irritato qualcuno dei potenti, eppure mantenne sempre la schiena dritta. Ancorché parco nei cibi e bevande, non credo avesse il problema dello smaltimento dei vini che si omaggiano a giornalisti compiacenti.
Disturbano quindi certe prefiche di palazzo che si sono unite al lamento funebre quando avrebbero fatto meglio a tacere, come a farlo tacere hanno tentato spesso e volentieri quand’era operativo, ossia fino a un mese fa. Inutile qui elencare le vessazioni di cui è stato oggetto, basti dire che in certe aziende non era gradito, altrove gli cassavano testi ritenuti scomodi, altri gli rifiutavano interviste. Un rammarico che talvolta traspariva garbatamente tra le righe dei suoi resoconti, ma nulla più. Da professionista preparato qual era.
Professionista anche nella formazione di giovani. La sua solida cultura tecnica poggiava su un altrettanto marcata base umanistica e finanche religiosa. Un mix che disorientava l’allievo impreparato perché al malcapitato sarebbe bastato contenere le domande già difficili della materia specifica, mentre il prof. Ferrari pretendeva coerenza su tutto il fronte.
Parlavamo di questo poche settimane fa nel corso dell’ultima telefonata, quando gli ricordai i sette 3 di fila che mi dette in altrettante interrogazioni cui non volevo rispondere perché lui aveva raccolto la spiata della vecchia segretaria della Scuola consapevole lei, che non avevo studiato: la mia stanza, infatti, era contigua a casa sua e non riusciva a riposare. Lo temevo e lo odiavo allora; col tempo ho capito la lezione e presto mi disse di dargli del tu, quando fu certo di avermi … recuperato.
Oggi lo rimpiango con tutti i compagni di classe (che sono rimasti tali) perché il prof. Ferrari non ti lasciava indietro, si accollava un supplemento di fatica per caricarsi sulle spalle la pecorella smarrita. Senza ipocrisia, come ha insegnato.
Enologo, direttore del Comitato Vitivinicolo Trentino fra gli anni Settanta, Ottanta e Novanta, già membro del CdA Fem e vicepresidente di UDIAS, l’associazione degli studenti di San Michele, ed ex capitolare della Confraternita della Vite e del Vino di Trento. Largo ai giovani.
buon viaggioProff.,
il ricordo più bello che mi rimane,è di quella interrogazione di entomologia con scena muta.
alla domanda,hai studiato?seguì un laconico no!
con lo sguardo un pò di traverso,fissandomi per qualche istante muto,con la sua voce grave,un pò goffa e impastata,mi disse:”sei proprio un mona!”