PADRE (DIONISO) PERDONA LORO PERCHÉ NON SANNO QUEL CHE FANNO. E NEPPURE QUEL CHE DICONO. Il giardiniere di Trento, il povero Maury, l’ormai mitologica Caschetto d’Oro e l’inarrivabile Failoni (quello che un paio di anni fa si faceva immortalare allegramente alle prese con una bottiglia Prosecco Astoria), ieri dal palco del Festival delle “bollicine” (come le chiamano loro) hanno lanciata una sfida epocale: “Più Trentodoc e meno Prosecco”. Insomma Vincere! E vinceremo! Chissà se qualcuno fra i tanti sacerdoti che scodinzolano al capezzale di questo improbabile brand ha spiegato loro che il Prosecco è una denominazione (anzi una piramide di denominazioni), mentre il cosiddetto “Trentodoc” è solo un marchio. Che si tratta di vini che nascono in territori differenti, da uve differenti, che vengono elaborati con metodi differenti. E che tecnicamente non possono entrare in competizione nemmeno pregando la Madonna e San Gennaro: intanto perché sono posizionati su fasce di prezzo molto distanti, poi perché il Prosecco certifica circa 700 milioni di pezzi, mentre il cosiddetto “Trentodoc” si ferma a 10 milioni. Il primo vende soprattutto all’estero, il secondo l’estero non sa nemmeno dove stia di casa. Ma loro, gli ineffabili quattro, come un (4) qualsiasi Cetto Laqualunque, promettono “cchiù Trentodoc pe’ tutti!”

È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.
Sorridiamoci sopra
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Voglio bene ai produttori trentini, meno alle regole e ai riti che si sono dati; per questo ho accettato l’invito di amici piemontesi per trascorrere il w.e. lontano da Trento. Direzione ostinata e contraria. Ho portato Johanniter metodo classico, Kerner, Sauvignon e Rebo Rigotti di Pravis. Nosiola no, hanno l’Arneis, nemmeno altri rossi, ovvio. In trattorie e ristoranti non manca l’Alto Adige, Trentino non pervenuto, Trentodoc…cos’lè? Hanno dei bei problemi anche loro (dalla flavescenza al mercato), ma l’approccio è simile a quello degli altoatesini. Anche lì, pieno di stranieri. A proposito, a Trento (e in Trentino) oltre agli invitati, quanti ce n’erano?
in questo momento ed in questo contesto tutti stanno felicemente stappando bottiglie di “bollicine”,ma qualche guastafeste deve pur dire che alcune sanno di tappo!
a me,per motivi miei ideologici,non piace questa enologia legata a doppio filo con la politica e con il turismo industriale che ,sempre a modesto parer mio,toglie l’anima al prodotto finale e lo massifica in tante bottilie uguali con le etichette diverse.
Che il Trento non sappia neanche dove stia di casa l’estero mi pare un understatement.
Poco prima della pandemia mi trovavo in un locale, una piccola enoteca interna, niente di pretenzioso ma abbastanza curato, anche nelle proposte di piatti per la pausa pranzo. Siamo nel Varesotto, non all’estero.
Tra i vini ci sono Franciacorta e Prosecco, anche al calice. Chiedo al proprietario se hanno un Trento: no, non me lo chiede nessuno, anche il Ferrari non vendo.
Sipario.