di IVO MARAN E STEFAN MORANDELL (su gentile concessione di PUNKT – LA RIVISTA DI WEIN KALTERN) – Un documento datato 12 marzo 1273 nel quale il vescovo di Trento concede a Elisabetta, moglie del conte tirolese Mainardo II, il diritto di deforestare la zona che separava i vigneti di Termeno da quelli di Caldaro, attesta l’inizio della viticoltura sulle sponde del lago di Caldaro, a soli quattro chilometri dal centro del paese. Denominato “vinum lacus” e successivamente “Kalterersee” o “Lago di Caldaro”, per un lungo periodo questo è stato il vino più importante dell’ Alto Adige. Dal 1337 si ha notizia di vigneti e torchi sul lago di Caldaro. Il vino dei nuovi vigneti si chiamava semplicemente “vinum lacus” o “Seewein”. Nel XV secolo quest’area vinicola entra in possesso del Capitolo della cattedrale di Trento. Al periodo tra il 1479 e il 1600 risalgono numerosi registri di vendemmia e di cantina del Capitolo della cattedrale in cui erano documentati con precisione le date e i costi della vendemmia, le quantità di uva e i vini prodotti. Da questi documenti si può ricostruire come il passaggio dal vino bianco e dolce al vino rosso chiaro e brillante sia avvenuto nel XVI secolo. Con il tempo questo vino ha acquisito un suo profilo scalzando il Traminer che fino a quel momento era molto più famoso.
750 anni di Kalterersee
Due eventi in particolare possono essere considerati la ragione della trasformazione nella viticoltura: innanzitutto il peggioramento del clima verificatosi attorno alla fine del XVI secolo, spesso definito la “piccola era glaciale”, che impediva alle uve di raggiungere la maturazione necessaria alla produzione di vini dolci. Successivamente, nel XVI secolo, con la conquista di Milano da parte del re di Francia, la moda dei vini rossi leggeri arrivò dalla Francia al Nord Italia. Il bresciano Agostino Gallo ne parla nella sua famosa opera “Dieci giornate della vera agricoltura e piaceri della villa”, pubblicata nel 1564: “[…] lo stato di Milano, che si diletta di ben bevere piu d’ogni altra natione, non haverebbe mai abbandonato il farli bollire i vinti cinque, e trenta giorni, per bollire solamente tre, o quattro, come ha fatto dapoi che Lodovico re di Francia si fece signore di quel paese. Che per essere usanza de’Francesi di non bevere, se non vini claretti, come essi li chiamano cosi, per avere poco colore […]”. Gallo è anche il primo a descrivere l’utilizzo di un filtro per il mosto al fine di mantenere più a lungo la dolcezza del vino e raccomanda la coltivazione di uve Schiava: “Ancora sono buone per piantare le schiave nere grosse di grano; percioche abondano di uve, che fanno vino assai, benche sia debole al sapore, e fumoso […]”. Ma non tutti cedettero alla nuova moda dei vini rossi leggeri. Già nel 1526, Michael Gaismair raccomandava di coltivare il Lagrein scuro a bassa quota. Nel 1610, il medico Ippolito Guarinoni polemizzava su questi vini leggeri e dolci ritenendo che solo i vini tirolesi secchi, ricchi in tannini, gustati in piccole quantità, fossero benefici per la salute.
Aziende agricole e produttori di vino
In una seconda importante fase di bonifica nel XVII secolo, furono fondate le tre grandi aziende vinicole Kaltenburg, Manincor e Ringberg ed è probabile che fossero già coltivate soprattutto le varietà di uva rossa della famiglia della Schiava. Le numerose trasformazioni e le nuove costruzioni a Caldaro nel XVII secolo dimostrano ancora oggi che all’epoca il commercio del vino doveva essere molto redditizio. Beda Weber, nel suo Manuale del viaggiatore in Tirolo, descrive il vino di Caldaro come “Il più delicato e oleoso dell’Alto Adige, più rosso che bianco, spillato in bottiglie, essenzialmente diverso da quello che spesso fa presumere il suo nome in luoghi vicini e lontani”. Faceva notare inoltre che intorno al 1800 Caldaro era “la sede dei più rispettabili commercianti di vino del Tirolo tedesco”. Produttori caldaresi dell’epoca erano von Remich, von Pach, von Schasser, von Morandell, Ambach, von Röggla, Sölva e Luggin.
Le malattie dell’uva
Nel 1851 la “malattia dell’uva” fa la sua prima comparsa a Caldaro. Venne definita così perché fino ad allora nella vite non erano mai stati osservati fenomeni analoghi. In seguito la malattia dell’uva venne rinominata “oidio” per distinguerla dalla “peronospora”, un’altra malattia fungina. L’oidio provocò ingenti perdite del raccolto fino a quando, a partire dal 1860, più volte nel corso dell’anno si cominciò a cospargere la vite con lo zolfo. Questa crisi, tuttavia, indusse singoli produttori di Caldaro a coltivare nuove varietà di uva introdotte dalla Germania seguendo l’esempio dell’arciduca Giovanni. Così Anton von Posch realizzò nella località di Barleit un impianto di Pinot Nero secondo le più moderne linee guida dell’epoca.
1873: il barone Josef Di Pauli fonda l’azienda vinicola
Particolarmente zelante, il barone gestiva anche un fiorente commercio di vini. Come riportato dai giornali tirolesi, nel 1885 il caldarese Franz Rainer non si lasciò sfuggire l’occasione di servire il Kalterersee del barone Di Pauli al suo matrimonio celebrato ad Avoca nel Minnesota. Attivo anche politicamente, Josef Di Pauli fu eletto al Parlamento di Vienna dove per un anno rivestì la prestigiosa carica di ministro del commercio. Nel 1898 egli aprì una taverna tirolese nel centro di Vienna, al numero 7 di Walfischgasse, dove vendeva il Kalterersee. Poco dopo le sue dimissioni da ministro, un politico dell’opposizione gli esternò il seguente complimento: “Eccellenza, quando siete stata eletto ministro, abbiamo fatto analizzare all’istituto sperimentale di Klosterneuburg i vini della Vostra osteria viennese senza indicarne la provenienza. Il Vostro vino è risultato assolutamente genuino. In caso contrario Vi avremmo immediatamente destituito per averlo adulterato. Invece, da allora, i miei compagni di partito sono diventati i clienti più assidui della Vostra mescita”. In Tirolo il barone Di Pauli non fu immune da polemiche: all’epoca era proprietario del lago e quando lo vendette al comune di Caldaro per una cifra che oggi sarebbe definita simbolica, sulla rivista satirica “Tiroler Wastl” apparve la seguente nota, poi ripresa da altri notiziari: “Il barone Di Pauli ha recentemente venduto il lago al comune di Caldaro per 12.000 corone, cosa che fa presumere che egli voglia abbandonare la sua attività vinicola. Ma non abbiamo certezze; a mio parere, l’unica cosa sicura è che Di Pauli non ha mai venduto tanta acqua in una sola volta”.
1900: nasce la prima cantina sociale di Caldaro
Nel 1900 veniva fondata a Caldaro la prima delle cinque cantine sociali. Si trattava di un tentativo da parte dei piccoli coltivatori di affrancarsi dalla dipendenza dei commercianti di vino. Nel 1901 la fillossera fece la sua prima comparsa e in pochi anni l’insetto distrusse i vigneti di Caldaro. Le difficoltà spinsero i viticoltori a piantare nei nuovi vigneti la Schiava grossa innestata su portainnesti resistenti alla fillossera. I nuovi vigneti vennero sottoposti a una concimazione eccessiva. Pur determinando un rapido aumento delle rese, ciò non ha giovato alla qualità del vino, come aveva riferito Arnold Becke, ispettore di cantina imperial-regio.
Dal Kalterersee al Lago di Caldaro
Dopo la prima guerra mondiale, inizialmente l’Alto Adige perse i suoi tradizionali acquirenti di vino a nord delle Alpi. Tuttavia, le buone conoscenze in Svizzera diedero i loro frutti e alcuni commercianti riuscirono a sfruttare i loro contatti per vendere i vini tirolesi anche dopo la guerra. Inizialmente si trattava in particolare della famiglia Walch di Termeno e di Antonio Cembran. Quest’ultimo proveniva dalla Val di Cembra in Trentino e, dopo una cantina a Lavis, nel tempo aveva acquisito anche vigneti e altre cantine in Alto Adige, potendo così rifornire meglio il mercato svizzero di vini altoatesini. All’epoca, nella gastronomia svizzera, i vini tirolesi vantavano una quota di mercato del 25% circa e il Kalterersee era il vino tirolese più conosciuto accanto al Santa Maddalena. Entrambi erano relativamente costosi. Le qualità più economiche erano generalmente commercializzate come “vino tirolese” di cui potevano essere prodotte anche quantità maggiori. Tuttavia non esisteva ancora una tutela o una denominazione di origine controllata. Il tentativo di alcuni commercianti di vino di tutelare il Tirolerwein fallì definitivamente quando, a metà degli anni Venti, fu vietato l’uso della lingua tedesca e soprattutto di tutto ciò che conteneva il nome “Tirolo”. Le zone di produzione del “Santa Maddalena” e del “Lago di Caldaro”, come venivano ora ufficialmente chiamati i vini, furono definite con un decreto ministeriale del 1931: l’area di produzione del Kalterersee si estendeva dalla chiusa di Termeno a Castel Ringberg e copriva una superficie di 64 ettari. La giustificazione storica di questa decisione fu redatta da Friedrich Tessmann, all’epoca amministratore della principessa Campofranco, proprietaria di grandi possedimenti sul lago di Caldaro. La terza e ultima grande bonifica del lago di Caldaro fu realizzata da Antonio Cembran. Negli anni Trenta, con grande sforzo economico, Cembran fece disboscare un’erta collina sopra al lago ancora compresa nella zona di produzione, e vi fece piantare dei vigneti. La collina fu chiamata Römigberg dal nome della famiglia von Remich, che possedeva vigneti ai piedi del poggio. Cembran, che fu anche il primo presidente del consorzio di irrigazione di Santa Maddalena istituito negli anni Venti, progettò anche l’irrigazione delle viti. Senza tali presupposti non sarebbe stato, e non sarebbe possibile, portare avanti una redditizia produzione viticola su questi ripidi pendii. Grande soddisfazione gli procurarono gli elogi di illustri commercianti di vino svizzeri per il suo Kalterersee del Römigberg Caldaro”, come venivano ora ufficialmente chiamati i vini, furono definite con un decreto ministeriale del 1931: l’area di produzione del Kalterersee si estendeva dalla chiusa di Termeno a Castel Ringberg e copriva una superficie di 64 ettari. La giustificazione storica di questa decisione fu redatta da Friedrich Tessmann, all’epoca amministratore della principessa Campofranco, proprietaria di grandi possedimenti sul lago di Caldaro. La terza e ultima grande bonifica del lago di Caldaro fu realizzata da Antonio Cembran. Negli anni Trenta, con grande sforzo economico, Cembran fece disboscare un’erta collina sopra al lago ancora compresa nella zona di produzione, e vi fece piantare dei vigneti. La collina fu chiamata Römigberg dal nome della famiglia von Remich, che possedeva vigneti ai piedi del poggio. Cembran, che fu anche il primo presidente del consorzio di irrigazione di Santa Maddalena istituito negli anni Venti, progettò anche l’irrigazione delle viti. Senza tali presupposti non sarebbe stato, e non sarebbe possibile, portare avanti una redditizia produzione viticola su questi ripidi pendii. Grande soddisfazione gli procurarono gli elogi di illustri commercianti di vino svizzeri per il suo Kalterersee del Römigberg
Produzione di massa a partire dagli anni Cinquanta
La vera produzione di massa del Kalterersee sembra essere iniziata a metà degli anni Cinquanta. Ne era convinto Luis von Dellemann, storico enologo della cantina Alois Lageder. Lo dimostrano anche i dati in forte crescita relativi alle esportazioni, soprattutto verso la Germania. Come riferiva von Dellemann, non erano rari raccolti di 300 quintali per ettaro. Ciò è stato possibile grazie alla coltivazione di adeguati cloni di Schiava in combinazione con un’intensa concimazione e un’abbondante irrigazione. In più occasioni si è cercato di tutelare la qualità del Kalterersee. Già nel 1952 fu fondato un consorzio di tutela per garantirne quantomeno l’autenticità. Ad ogni consegna veniva apposto il timbro che ne attestasse la provenienza. La grande richiesta da parte della Germania di vini a basso costo ha esercitato una forte pressione sui produttori e sui commercianti di vino affinché li producessero. I commercianti di vino altoatesini dovevano essere particolarmente zelanti: in virtù della loro cultura tedesca, nei primi due decenni del secondo dopoguerra erano avvantaggiati rispetto al resto d’Italia nell’esportazione di vini in Germania. Altrimenti non si spiegherebbe una presenza dell’Alto Adige, pari all’89% del totale delle esportazioni italiane di vini da tavola in Germania nel 1962. Nel 1963 sono stati esportati 267.780 ettolitri solo di Kalterersee. Denominazione di origine controllata per il Kalterersee
Quantità come queste non potevano certo essere prodotte a Caldaro o nei comuni limitrofi. Quando negli anni Sessanta iniziarono le trattative per la denominazione di origine controllata DOC per il Kalterersee, anche i produttori di vino trentini volevano assicurarsi una fetta della torta e non solo avere il ruolo di terzisti di quei vini che in Alto Adige si trasformavano in Kalterersee diventando facilmente vendibili. Ciò si è tradotto nel disciplinare DOC per il Kalterersee, deciso a Roma nel 1970 e confermato a Bruxelles nonostante esso sia stato oggetto di contestazione da parte dell’Alto Adige per diversi anni. Secondo il disciplinare l’area di produzione del Kalterersee si estendeva da Andriano (a nord) a Lavis in Trentino (a sud). Tuttavia, questa disposizione non fu decisiva per la qualità del Kalterersee e nemmeno per la crisi delle vendite a partire dagli anni Ottanta. La grande richiesta portò a una produzione di massa che l’Alto Adige non avrebbe potuto coprire nel lungo periodo, se non altro per via degli elevati costi di produzione.
Vini di carattere provenienti da singole zone
A dispetto dell’imperante produzione di massa, sono sempre esistiti vini di carattere, provenienti per lo più da singoli vigneti molto apprezzati dagli intenditori. All’epoca, tra i Kalterersee preferiti si annoverava per esempio il “Bischofsleiten” di Castel Sallegg, vinificato dal maestro cantiniere Walter Tapfer. Per lungo tempo questo vino è stato considerato il simbolo del Kalterersee per eccellenza. Poi c’erano il “Keil” del Barone Dürfeld, vinificato dalla Cantina Brigl, l’“Ambachhof” di Walter Ambach della locanda Cavallino Bianco, l’“Ölleiten” della Cantina Laimburg, il “Römigberg” di Alois Lageder, il “Bichlhof” della Cantina Di Pauli e il “Prey-Hof” della Bauernkellerei Kaltern con il suo leggendario maestro cantiniere Albert Bollego. Va da sé che questi vini fossero per forza di cose disponibili solo in quantità limitate e fu impossibile evitare che il Kalterersee acquisisse l’immagine di un prodotto di massa, sempre più difficile da vendere.
Le Giornate Caldaresi del vino e wein.kaltern
La prima edizione delle Giornate Caldaresi del vino risale al 1986. L’obiettivo era contrastare il progressivo danno di immagine. Quando nel 1999 nasceva wein.kaltern, l’intenzione era diffondere una più ampia cultura del vino. Per i produttori le guide enologiche sono diventate importanti strumenti di vendita e hanno premiato l’impegno profuso. Nel 2012 per la prima volta la guida del Gambero Rosso assegnava a un Kalterersee gli ambiti “Tre Bicchieri” successivamente seguiti da altri riconoscimenti. Oggi le rese per ettaro dei Kalterersee di punta sono ben al di sotto del limite legale. Anche l’estensione delle superfici di produzione ha subito una contrazione. A Caldaro, ad esempio, con una superficie vitata totale pari a 757 ettari, solo 119 ettari sono coltivati a Schiava. Nel 2021 la produzione totale di Kalterersee nell’intera area DOC è scesa a poco meno di 25.000 ettolitri. Ciò fa sperare che questa specialità possa trovare la sua collocazione come prodotto di nicchia e garantire ai produttori un reddito nel lungo periodo. Nella sua opera “Heimgärtners-Tagebuch” (Diario di un giardiniere domestico), il poeta e scrittore austriaco Peter Rosegger scriveva “Questa piccola bottiglia quotidiana di vino tirolese mi rende un uomo migliore, suscita in me sentimenti più nobili, pensieri più gentili e propositi più altruistici. Un bicchiere di questo vino potrebbe forse farmi essere la persona virtuosa che alcuni pensano io sia”.
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.