Lo scenario di questa “guerra del vino” che ebbe pesanti e complicati risvolti internazionali si dipanò fra le anse delle due questioni che avevano diviso il mondo vitivinicolo altoatesino, ossia mantenere la zona di produzione in destra Adige o estenderla in Bassa atesina anche a sinistra, per rispondere convenientemente alla forte domanda di Kalterer allora esistente.
In questo scenario anche i trentini si trovarono divisi: da un lato i produttori di Schiava che tradizionalmente fornivano di mosti o vini le cantine altoatesine (che di norma le commercializzavano anche come Kalterer) e dall’altro chi con lungimiranza sosteneva il bisogno di concretizzare la via della qualità con denominazioni più tipiche come indicato dal DPR 930/63 sulle DOC. Fra questi ultimi, anche i produttori di Schiava “sud Avisio” (*) storicamente esclusi dal business del Caldaro.
Dopo la DOC Teroldego rotaliano (facile da delimitare), fin dalla fine degli anni ’60 al Comitato vitivinicolo provinciale si cercava una soluzione per tutelare la dozzina di pregiate tipologie varietali, trovandola con la denominazione “Trentino” a fare da cappello. Anche per questo il tema Caldaro fu condizionato dai diretti interessati, soprattutto alla potente Cantina di Lavis-Sorni-Salorno (con il direttore cav. Ezio Cesconi) e ai Commercianti della zona. Tre erano i punti di forza per chiedere l’allargamento – inizialmente in 8 Comuni trentini – della zona di produzione del Caldaro: 1. La similitudine pedo-climatica e ambientale; 2. Identicità varietale, delle pratiche colturali, dei metodi di vinificazione, delle caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche; 3. Analogia del fattore umano e del commercio tradizionale del Caldaro come uso “leale e costante” documentato fin dai primi anni ’50. La richiesta di regolarizzare soprattutto la Schiava della Val di Cembra veniva anche dal mondo altoatesino per quel gradiente di acidità in più che le caratterizzava, così utile per meglio sostenere la serbevolezza del Caldaro. Un aspetto, questo, che giocò il suo ruolo quando le contestazioni toccarono i più elevati limiti altimetrici cembrani rispetto ai 2-300 m slm della zona originaria.
Si giunse così alla promulgazione del DPR 23.3.1970 cui seguì il DPR 22.9. 1981 per includere nella zona di produzione anche l’unghia pedemontana di Mezzocorona e la zona dei Sorni di Lavis in un primo tempo rimasta esclusa. Sorni, infatti, era ed è la vera polpa della Schiava trentina e per essa si batté in primis il combattivo viticoltore Cirillo Moser (Maso Nero) per avere una DOC specifica. Non ebbe la soddisfazione di vederla da vivo, né gli sarebbe piaciuta la soluzione trovata di sovrapporre nella sua zona sia la DOC Sorni che la DOC Caldaro, a scelta dei produttori.
Non finì qui. Sconfitta a Roma con il decreto del ’70, Bolzano masticò amaro e cercò istanze superiori per la tutela di un diritto che a ragione o torto credeva infranto. Minacciò di appellarsi all’ONU (tutela delle minoranze), con l’Austria non ancora nella UE, ma trovò facile sponda nella Baviera di Franz Josef Strauss che patrocinò la causa del Kalterer solo altoatesino in sede europea.
(*) I mercuriali della Camera di Commercio I.A.A. di Trento riportavano all’epoca, due diverse quotazioni (Schiava e Schiava sud Avisio) per le relative uve e i relativi mosti o vini di Schiava; le prime, rilevate dall’apposita Commissione uve e graspati sulla base della convenzione “a prezzo aperto” (ossia quelle non conferite alle Cantine Sociali), i secondi, rilevati dalle contrattazioni alla borsa merci camerale del martedì mattino fra produttori, acquirenti e mediatori.
Fu così che l’Italia stessa venne condotta sul banco degli imputati e il CVP affiancò l’Avvocatura dello Stato con un eccellente esperto di diritto internazionale. La sentenza fu tombale, favorevole all’Italia e quindi a Trento… (*). Una vittoria in punta di diritto che aveva sfiancato le due parti, tant’è che nei corridoi si sentì dire da un trentino: ora che il Caldaro è definitivamente anche nostro, metteremo la DOC nel cassetto perché la nostra strategia poggia ormai sulla denominazione Trentino, cosicché il Caldaro ve lo potete tenere!
Ma Bolzano non si fidò e cambiò strategia, mettendo la sua Schiava/Vernatsch sotto il cappello della DOC Alto Adige/Südtirol. Fu la fortuna di quel territorio e anche la fortuna del Vernatsch che dopo lo sbandamento oggi vive ancora una fresca primavera e con spazi interessanti per lo stesso Kalterersee non più insidiato dai trentini… (**).
Nel tempo, a riprova della validità del proverbio che dice: ride bene chi ride ultimo, per la Schiava e per il Caldaro a sud di Salorno, le cifre sono diventate impietose. Se nel 1990 c’erano ancora 500 ettari trentini iscritti alla DOC Caldaro o Lago di Caldaro con 1,6 milioni di bottiglie, nel 2010 gli ettari si erano ridotti a 130 e nel 2014 le bottiglie certificate solo 120 mila. L’anno successivo ISMEA riportava che il Kalterer di Bolzano valeva alla produzione 165 Euro/ha, mentre nel 2021 un raro Kalterersee Auslese di Cavit si trova online a 3,98 Euro/bott. contro gli analoghi altoatesini che quotano almeno il doppio, normalmente il triplo e non di rado anche oltre.
Ma qui entriamo in dinamiche che trascendono la vicenda del Caldaro, interessando le diverse strategie che le due provincie di Trento e Bolzano hanno intrapreso con risoluta determinazione a cavallo del terzo millennio. Chi vivrà, vedrà.
(*) Sentenza della Corte di Giustizia dell’Aja del 25.4.1989 su Commissione delle Comunità europee contro la Repubblica italiana: Disposizioni relative ai V.Q.P.R.D. “Lago di Caldaro”. Causa 141/87
(**) Doc Caldaro, la storia siamo noi – di Angelo Rossi, 10.2.2016 sul blog Territoriocheresiste.it
Enologo, direttore del Comitato Vitivinicolo Trentino fra gli anni Settanta, Ottanta e Novanta, già membro del CdA Fem e vicepresidente di UDIAS, l’associazione degli studenti di San Michele, ed ex capitolare della Confraternita della Vite e del Vino di Trento. Largo ai giovani.
Nonostante gli sforzi promozionali al latte di casa importato dal Nord, questi potenziali clienti stanno cercando su Wilkipedia se “Trentino” fa parte del Veneto o dell’Alto Adige, e come ci si arriva ….
File Allegato
Caro Angelo, ogni volta che ti leggo torno giovane e anche un po’ arrabbiato, non con te ma con tutti quelli che nel CVT si facevano …le uova loro !
Ricordi bene che talvolta non eravamo d’accordo perchè tu – uomo di cultura e degno figlio di San Michele – ti arrabbiavi cercando di porre una seria cultura alla nostra tradizionale ignavia tridentina per le vigne. (pochete ma sicurete) Ricordando che il CVT nacque nel dopoguerra come Confindustria del vino trentino (…. le mostre a Torre Vanga), considerato poi che i privati sia grandi che minuscoli preferirono aderire alle farneticazioni legislative della Provincia, per avere quel bashish di tornaconto che poi li avrebbe o finiti o sottosviluppati, eccoci qui a parlare ancora di “Schiava”., “gentile” perchè soppressa, escortizzata.
Secondo i produttori che ben conosciamo al tempo non valeva nulla: valeva meno di quei nostri vini di rango che vivano venduti alla ventura e che poi sono finiti per essere degustati – e solo venduti nelle nostre cantinote di paese.
E’ qui il busillis : chi sa che deve e vuole camminare da solo (magari facendo un giro waltzer con Mamma Provincia) e chi aspetta sempre il “Miracolo Trentino del Vino”, quello che non c’è più.
Del resto, caro Angelo, la schiavitù è stata abolita e questo vino , dovrebbe essere chiamato : “Libera e Buona” ………..
propongo,