È andata a Silvano Clementi, ricercatore e titolare dell’Azienda Agricola Villa Persani, la quarta edizione del premio “Nel segno di Zierock”. Prima di lui lo avevano vinto gli alto atesini Martin Gojer, Clemens Lageder e Thomas Niedermayr


Guardare il mondo a testa in giù, ribaltare le prospettive consuete, forse aiuta ad esplorare un orizzonte che non si ferma al tetto. O al vigneto. Lo sento un po’ così Silvano Clementi, il ricercatore della Fondazione Mach, ma soprattutto poeta vignaiolo sulla collina di Pressano in Trentino, dove conduce in regime bio l’azienda agricola Villa Persani, non solo vino, ma anche mele e succhi bio vegani.

Me lo sono sempre figurato così, come un sovvertitore di orizzonti e di prospettive, Silvano. Fin da quando incrociai per la prima volta quella foto, che a suo tempo fece il giro del web, che lo ritraeva sospeso come un grappolo rasta fra i suoi vigneti di collina.
Così lo ho percepito, come un sovvertitore delle regole e del gusto, quando mi capitò per la prima volta di assaggiare la sua Aromatta, un vino allora quasi clandestino che scartava ogni certezza organolettica e colpiva per la sua sorprendente novità. Del resto erano tempi, allora, pionieristici per le varietà resistenti, quasi un sacrilegio, un atto di contrabbando, anche il solo evocarle.
Così lo sento Silvano, come un uomo capace di rovesciare con naturale semplicità, che però non è semplificazione, i punti di vista abituali quando leggo i suoi versi rurali, pubblicati sul sito aziendale:

Sai come vedo l’amore?/Che sia compenso mai sovrappeso/costruzione parallela di orizzonti comuni/tanti discorsi sinceri e mai premeditazione/Sai come vedo il tramonto?/La fine di un giorno lento/mai pensato, mai provato,
in un tempo mai conosciuto/aldilà del mio sguardo/di quello che io abbia mai vissuto

È un uomo la cui cifra stilistica si colloca all’incrocio fra la sovversione e l’ adesione al territorio, fra l’innovazione – è un ricercatore, tecnico del Centro Ricerca e Innovazione della Fondazione Edmund Mach – e la tradizione. Ed è per queste ragioni, credo, che la giuria del premio “Nel Segno di Zierock”, qualche mese fa, nell’ambito del Merano Wine Festival, gli ha consegnato, prima volta per un non alto atesino, l’onore e l’onere di custodire la memoria viva di Reiner Zierock, il  filosofo agrario  di origini tedescche, scomparso una quindicina di anni fa; al quale si deve l’introduzione e la divulgazione nel nostro Paese dei principi della biodinamica e dell’antroposofia applicati al vigneto, alla cantina e più in generale all’agricoltura. Il professore visionario – fra l’altro insegnò anche a San Michele – impregnato solidamente, come solo i tedeschi sanno fare quando si innamorano della civiltà mediterranea, di cultura classica, che dedicò la sua esistenza alla costruzione di una metafisica della madre terra, ad un’idea del vino come sfida all’immortalità e al tempo, al vino come grimaldello per aprire le porte del regno degli Dei. Qualche anno fa Elisabetta Foradori lo ricordò così: “Rainer è il padre dei miei figli è stato mio marito, l’uomo di cui mi innamorai perdutamente a 22 anni, il filosofo agrario che mi insegnò a vedere la natura con uno sguardo diverso e ad imparare ad ascoltarla. Mi prese per mano e vidi il mondo con altri occhi. Solo negli ultimi anni del mio percorso di donna, contadina e viticoltrice, ho preso coscienza di quello che cercò di trasmettermi. Era un uomo di una bontà infinita che amava la vita, che si batteva per la conservazione del creato, per gli ideali di una cultura agraria con al centro l’uomo, per la libertà dei contadini, per la dignità del lavoro nei campi”.
Il comitato scientifico del Premio, composto da Theo Zierock, Helmuth Köcher e Angelo Carrillo – alla cui ostinazione si deve l’istituzione di questo riconoscimento – ha motivato così la scelta di Clementi come erede della memoria e della prassi di Zierock: “Innovatore, ma anche tecnico qualificato, ha saputo conciliare il mondo della vinificazione in armonia con la natura, col sapere scientifico, recuperando terreni incolti e producendo vini di carattere ma di elegante precisione”. Una motivazione che ritrae il poeta visionario di Pressano nella sua intima natura: quella del sovvertitore e innovatore innamorato della tradizione territoriale.

PROFILO AZIENDALE – www.villapersani.com

Villa Persani è una piccola cantina di Pressano, piccolo paese a nord di Trento, dove da secoli è inserita la coltura della vite. L’azienda è nata nel 2006 grazie all’idea di Silvano Clementi, specializzato in genetica e miglioramento genetico della vite, di valorizzare le idee e l’arte che da generazioni fa parte della famiglia Clementi.
Sull’impronta del padre Renzo, Silvano ha recuperato gli appezzamenti di famiglia con l’idea di trasformare i vigneti mirando ad un’agricoltura più attenta alla salvaguardia dell’ambiente e del territorio. Sin dall’impianto dei nuovi vigneti e frutteti, l’impronta filosofica dell’azienda è stata quella di allontanarsi dalla dipendenza dal settore secondario rendendosi indipendente. Ad oggi tutti i vigneti e frutteti sono certificati biologici ICEA (Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale). Nel corso del 2014 l’azienda si è impegnata nel ripristino di una zona di produzione ad est di Pressano, anticamente coltivata a vite ma abbandonata dagli anni ’20. Sono stati ripristinati gli appezzamenti conservando gli antichi terrazzamenti e muretti a secco preesistenti e valorizzato allo stesso tempo un vitigno autoctono di Pressano, la Nosiola.

REINER ZIEROCK

Uno dei personaggi più discussi, contraddittori, geniali, polemici, anticonformisti, lungimiranti, che hanno abitato il mondo del vino internazionale e trentino: Rainer Zierock.

L’ultimo ghoethiano, qualcuno lo ha definito. Rainer arrivò in Italia dalla Germania, dove si era laureato a Hohenheim  e dopo aver studiato a Montpellier.

In Italia, innamorato del mito del mediterraneo, arrivò a metà degli anni Settanta del secolo scorso, dopo essere stato, nel suo Paese, uno dei leader del movimento spartachista del ‘68, vissuto come attualizzazione concreta e moderna delle esperienze cinquecentesche delle guerre rustiche.

In Italia, intessé rapporti, relazioni e collaborazioni con aziende, consorzi, istituti di ricerca agraria; per molti anni fece coppia fissa con il professor Attilio Scienza. Fu grazie a Rainer e alla sua intensa e vulcanica attività di conferenziere e sperimentatore che in Italia arrivarono le barriques e tanto altro.

Poi approdò in Trentino, all’Istituto agrario di San Michele. E anche qui lasciò il segno e non solo come maestro per qualche generazione di studenti. In Trentino per un attimo trovò pace: divenne il marito di una giovanissima Elisabetta Foradori e padre dei suoi tre figli. Il Granato  Foradori, quello che oggi è uno dei vini iconici a livello internazionale, porta la sua firma. Ma in Trentino e in Alto Adige continuò a sperimentare la sua visione olistica e steineriana del vino: pioniere e iniziatore della biodinamica applicata all’enologia e antesignano dei vini naturali. I segni che ha lasciato dalle nostre parti sono tanti e indelebili, il cenacolo e il manifesto di Dolomihtos, vini indimenticabili e al limite del concetto di vino, come Phineas (insieme a Reiterer), Zeus (con Oxenreiter), l’etichetta balenosa del metodo classico Cesconi, il Blauwal.

Ma queste sono solo brevi note biografiche. Rainer fu un intellettuale del vino e della vita a tutto tondo: un filosofo agrario, come amava definirsi, profondamente ispirato dalla civiltà greca e mediterranea; immaginava il vino come porta per accedere al regno degli dei. Un vino che doveva essere capace di sfidare il tempo e l’immortalità. Del resto Rainer era ispirato immanentemente dal mito di Dioniso e di Demetra.