Qualche giorno fa a Trento nelle aule polverose di palazzo Trautmannsdorf, sede di Consorzio Vini del Trentino, si sono consumate le selezioni per l’edizione 2025 della più ascoltata guida enologica italiana, il Gambero Rosso. Se questa fosse la notizia, sarebbe una notizia di serie zeta. E invece la notizia c’è e sta tutta in un’assenza clamorosa e mai annunciata. Un’assenza che assomiglia ad un ossimoro. E che da sola diventa, invece, una notiziona: per la prima volta dopo oltre trent’anni di rigorose degustazioni sul campo, alla prova di assaggio della Guidona mancava il giornalista Nereo Pederzolli. Figura storica e di riferimento del Gambero in Trentino. Per tre decenni in Trentino il Gambero è stato lui. Un divorzio, unilaterale, che si è manifestato nei fatti prima che nelle parole. Le selezioni, infatti, sono state condotte, quasi di contrabbando e un poco clandestinamente, da due specialisti paracadutati in via Suffragio da Roma. E la sua emarginazione ha finito di mettere il sigillo tombale sulla critica enologica territoriale. Eppure Nereo non è defunto. Anzi, è vivo, vegeto e soprattutto ancora assai brioso.

E allora? Allora, si cambia. Si rinnova la Chiesa, figurarsi se anche il tempio editoriale del vino italiano non si lascia pervadere dalla frenesia del cambiamento. Sarà. Ma non c’è solo questo. Metto in fila le cose, anche quella che racconterò fra poco, non per adombrare un nesso eziologico. Me ne guardo bene. Ma perché lo suggerisce inflessibilmente la consecutio temporum.

Sul nome dell’autorevole enogastronomo trentino, infatti, tirava una brutta aria già qualche mese fa. Erano le giornate di Vinitaly e fra i corridoi dei padiglioni veronesi incombevano chiacchiere confidenziali e poco lusinghiere circa il suo ruolo di selezionatore. Ma soprattutto filtrava la notizia di un presunto “atto di non gradimento” pronunciato dalla governance del Ministero comunicazione e propaganda di via Romagnosi. Che, si sa, dispone di grasse e opulente commesse publi-promozionali da paracadutare qua e là. A seconda della bisogna.

Nelle settimane precedenti, Pederzolli aveva firmato per il Dolomiti una corposa e puntuta inchiesta tutta dedicata al naufragio delle politiche propagandistiche del vino trentino sulle piazze internazionali. Parole e giudizi documentati, ma tranchant, che, alle orecchie dell’establishment trentino devono aver fatto il medesimo effetto di un formicaio su cui ci si sieda a chiappe scoperte.

Il tema, chiaramente, a questo punto non è tanto quello delle sorti personali e professionali del maestrone, che fra l’altro pare stia già passando armi e bagagli ad altre Guide e ad altre commissioni di degustazione. E, queste sono le indiscrezioni di oggi, sarebbero tante quelle che hanno cominciato a corteggiarlo, dopo aver saputo del suo divorzio dal Gambero. Ciò che interessa, o che almeno dovrebbe interessare, invece è il manifestarsi reiterato, anche nello svolgimento e negli esiti di questa piccola storia ignobile, del vizio irrimediabile che ha corrotto e continua a corrompere questa terra, il Trentino; l’autoreferenzialità intrinseca che pervade le istituzioni e la governance politica e di settore. E che si traduce in un’atavica insofferenza, che talvolta diventa manifesta avversione, per la libera informazione, per la voce critica, per il giornalismo cane da guardia. Dei lettori senza padrini, non del padrone. Si dirà che che questo avviene ovunque. Che la confusione fra informazione, comunicazione e uffici stampa ormai è dilagante anzi imperante. E non solo, e malamente, in questa angusta periferia dell’impero. È vero. Ma in Trentino, in questo Trentino che se la suona, se la canta e se la beve da solo, lo è di più. Molto di più. Soprattutto nel triangolo maledetto della Gran Madre di tutte le markette.