Quando si evoca il concetto di territorio, si rischia facilmente di scivolare sul terreno minato degli equivoci. E’, infatti, una di quelle categorie descrittive in cui si stratificano una molteplicità di significati e di allusioni semantiche. La tentazione è, soprattutto e prevalentemente, quella di considerare il territorio come un unicum indistinto, come un’astrazione concettuale – contenitore, che prescinde dalle relazioni umane e sociali che si sviluppano all’interno del contesto e che si traducono in rapporti di forza in continua evoluzione.
Un fraintendimento di fondo che genera a cascata numerosi equivoci, fra cui l’enunciazione del superamento delle naturali conflittualità e competitività degli attori individuali e collettivi che agiscono all’interno del contesto e che insieme, nel moto di un processo dialettico permanente, contribuiscono a costruire la sintesi di una dimensione identitaria.
Il territorio lo si può analizzare in chiave politica o in chiave storica, in chiave culturale o in chiave paesaggistica. In chiave agronomica o in chiave sociologica. E così via. E ogni volta se ne deduce una matassa di significati e di valori differenti. Non è un unicum astratto, il territorio. E’, piuttosto, un contenitore combinato di fattori materiali e di fattori sociali che interagiscono dinamicamente, sino a definire di volta in volta la cristallizzazione di un profilo identitario collettivo, condiviso dai soggetti che lo agiscono dall’interno e riconosciuto come sintesi identificante e irripetibile da chi si pone come osservatore e/o fruitore esterno. Il concetto di territorio, quindi, comincia a chiarirsi come descrittore unitario e significativo, quando il contesto assume la conformazione di luogo in senso antropologico e sociologico. Dove per luogo si intende un contesto storicizzato, identitario e agito collettivamente in senso orizzontale; in una visione dei processi materiali, che supera l’esclusiva dimensione cartesiana di una mappatura geolocalizzata.
E tuttavia, i tratti della contemporaneità sono fortemente segnati dall’esperienza del territorio deidentificato e anonimizzato; un’esperienzialità che fa quasi apparire novecentesca e superata la visione del territorio come luogo socialmente agito. Un arretramento culturale e ideologico, funzionale alle esigenze della fungibilità globalizzata, che sposta irrimediabilmente in secondo piano gli elementi della storicità e dell’identitarismo originale dei contesti. La cifra della civiltà metropolitana, individuata dal principio dell’anonimato relazionale e della replicabilità massiva delle produzioni e degli scambi, si è dilatata anche al di fuori delle macro aree urbane e oggi si propone come descrittore quasi esaustivo della società globale; un modello unificante ed egemonico che investe anche le comunità della periferia e delle cosiddette terre alte, che per millenni avevano vissuto elaborando una grammatica valoriale e organizzativa autonoma rispetto a quella di matrice urbana. Anche queste comunità, oggi, si definiscono soprattutto nel punto di intersezione fra i fenomeni di internazionalizzazione globalizzata delle merci a quelli di digitalizzazione uniformante delle relazioni e della trasmissione delle conoscenze.
I processi di internazionalizzazione dei mercati e di produzione replicabile della merce, da una parte, e l’uniformazione dei comportamenti di consumo e degli stili di vita, hanno incrinato concettualmente e materialmente la categoria interpretativa territorio – luogo antropologico. E’ uno scenario che da un lato accentua l’alta fungibilità e sostituibilità delle merci, anche della filiera agro-alimentare, destinate prevalentemente ai mercati internazionali; destinazione che richiede necessariamente, perché rivolta a soggettività indistinte, una narrazione semplificata e decodificata del marcatore territoriale originario, e dall’altra impone costitutivamente l’omogeneizzazione delle dinamiche sociali e dei comportamenti di consumo che si svolgono all’interno del contesto.
Sullo sfondo di questo scenario il territorio, che da luogo è destinato a diventare non luogo, contenitore asettico di consumatori e di produttori, affidato a forme di governace sempre più ispirate a modelli aziendalizzati, verticali e tecnocratici, che impoveriscono la capacità di autogoverno, e di creazione di ricchezza, delle soggettività tradizionali. Una tendenza allo spossessamento delle autonomie decisionali e produttive, che si esprime con forza invincibile e ineluttabile attraverso i processi di concentrazione industriale e finanziaria; gli stessi che, per esempio, in questa stagione stanno investendo anche il movimento cooperativo, soprattutto nei settori del consumo e del credito, in Trentino, inducendo una disarticolazione strutturale delle relazioni comunitarie tradizionali. In mezzo un’infinità di sfumature e di processi evolutivi, o involutivi, che raccontano di come ogni singolarità territoriale abbia trovato il modo, a volte con la resa incondizionata a volte esprimendo capacità di resistenza, di confrontarsi e di trovare nuove forme di sintesi con le dinamiche ineluttabili che informano la contemporaneità globalizzata.
Tiziano Tano Bianchi AKA Cosimo Piovasco da Bordeaux